"Kingdom of Naples" - La collezione di Mario Merone con commento tecnico di pasfil e note storiche di gianni tramaglino

Forum di discussione sulle emissioni e la storia postale del Regno delle Due Sicilie - Domini al di qua del faro - Napoli
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gipos
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Re: Da Napoli a Sofia..........

Messaggio da gipos »

Da Liberté, Sguardi francesi sull'Unità italiana : Giorgio Longo
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pasfil
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Re: Da Napoli a Sofia..........

Messaggio da pasfil »

Giuseppe, le immagini che hai postato sono davvero riassuntive. :evvai:
Ciao: Ciao: Ciao:
pasfil
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gipos
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Re: Da Napoli a Sofia..........

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Ciao: se possono essere utili continuo con altre immagini tratte dallo stesso volume, un cordiale Ciao: Ciao:
Giuseppe
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pasfil
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Re: Da Napoli a Sofia..........

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Ciao Giuseppe ed un saluto a tutti.
Sarò banale e ripetitivo, ma questo thread iniziato da Gianni è il miglior modo di collezionare perchè ci fa meglio comprendere la collocazione storica dei nostri FB, lettere e frammenti che rispettosamente conserviamo nelle nostre collezioni.
Ciao: Ciao: Ciao:
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borbone0
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Re: Da Napoli a Sofia..........

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Bravo Pietro e grazie per l'intervento. Grazie anche a Giuseppe per le splendide foto allegate. Mario
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gianni tramaglino
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Re: Da Napoli a Sofia..........

Messaggio da gianni tramaglino »

E la storia porta a Gaeta
di Nicola Della Monica

C'è un filo conduttore che lega Napoli a Gaeta. Entrambe hanno visto gli ultimi momenti del Regno delle Due Sicilie, il più esteso, evoluto, ricco e ben armato Stato della penisola italiana.
Siamo ai primi di Settembre del 1860, l'avventuriero Giuseppe Garibaldi, proveniente dalla Sicilia, dov'è sbarcato con circa mille uomini, proveniente da Genova, marcia con questi verso Napoli. Ha risalito lo stivale accogliendo fra le sue schiere raccogliticce, preti "spogliati", rivoluzionari utopisti e quanti speravano per loro in una condizione migliore. Le genti del Sud non immaginano la portata del fenomeno e aprono le loro braccia ai fratelli garibaldini dalle camicie rosse e dai volti solari.
Il giorno 7 di settembre del 1860, a mezzogiorno, Garibaldi giunse a Napoli da Salerno, con un treno speciale; con lui viaggiavano i suoi fidi, Enrico Cosenz, Giuseppe Missori e Francesco Nullo, insieme con un pittoresco frate francescano, padre Pantaleo, che divisava il suo sacro saio con una fascia tricolore, portando ai lati una sciabola e due pistole. Il treno giunse dov'è ora la Stazione della Ferrovia Circumvesuviana, qui Garibaldi fu acclamato dalla folla, nonostante gli fossero stati puntati i cannoni contro, raggiunse la piazza del Real Palazzo, dopo che i soldati della Gran Guardia – antistante Castel Nuovo, attratti dalla magia del momento e da quel magnetico personaggio, gli ebbero presentato le armi. Salì le scale del palazzo della Foresteria, che è quello dell'attuale Prefettura, salutò la folla con poche parole pronunciate «con forte accento ligure». Mariano d'Ayala lo ringraziò con «il bacio di cinquecentomila napoletani». Poi, andò al duomo, dove non avvenne il miracolo benaugurante di san Gennaro. La cattedrale era vuota, perché il cardinale arcivescovo Sisto Riario-Sforza, un vero signore reazionario, gli fece trovare il tempio vuoto, disdegnando ogni tipo d'agevolazione. L'«eroe dei due mondi» prese alloggio nel palazzo dei principi Doria d'Angri, nel Largo dello Spirito Santo. Fu qui che accorsero i dignitari voltagabbana della prima ora a rendergli omaggio, in un rituale fenomenologicamente tipico delle repentine conversioni in massa, che storicamente hanno accompagnato, in Italia, i cambi di regime. Tra questi primeggiava l'ammiraglio Carlo Pellion, conte di Persano, che stupito per la temerarietà di quel condottiero, non esitò ad indossare l'alta uniforme, correndo a fargli omaggio. Con un decreto, il dittatore Garibaldi stabilì che «tutti i bastimenti da guerra e mercantili appartenenti allo Stato delle Due Sicilie, arsenali, materiali di Marina, eccetera, sono aggregati alla squadra del Re d'Italia Vittorio Emanuele, comandata dall'Ammiraglio Persano». I comandanti delle navi tradirono, giurando fedeltà al re d'Italia, con tutti gli ufficiali il 9 settembre 1860, penultimo giorno di festeggiamenti che si unirono a quelli della Piedigrotta. I cronisti di parte borbonica descrivono quei giorni a fosche tinte, definendoli un'orgia continuata, scatenata da «stranieri e camorristi», donne «spudorate»... «femminacce luride baccanti». Altri testimoni scrissero che era stata una bella festa di un popolo esaltato ma privo della precisa idea di che cosa si stesse acclamando, certo è che la festa sostituì il prevedibile bombardamento della città e la conseguente battaglia per le strade.
Tutto questo avveniva, mentre il barone Antonio Winspeare, ministro del governo delle Due Sicilie, si trovava a Torino quale ambasciatore del re Francesco II di Borbone, che con la moglie regina Maria Sofia Wittelsbach di Baviera – imbarcato sul «Messaggero» - aveva lasciato Napoli il giorno 6, raggiungendo Gaeta alle sei del mattino del 7 settembre. Qui il re e sua moglie dettero inizio a quell'epopea che la storia registra come l'Assedio di Gaeta; la pagina più appassionante della resistenza borbonica all'iniqua aggressione piemontese.
Il castello di Gaeta era imprendibile, proteso per metà nel mare, fu raggiunto da molti marinai che lasciarono le loro navi e dagli allievi dell'accademia militare della Nunziatella, nominati prontamente «allievi alfieri». Riguardo alle armi di difesa, se ne contavano quasi settecento, fra cannoni, obici e mortai, ma la loro qualità era scadente, soprattutto quella dei cannoni, che non erano rigati e risalivano all'assedio napoleonico del 1806, condotto da un nizzardo, il generale Andrea Massena (1758-1817). Ogni pezzo d'artiglieria aveva almeno settant'anni d'età, ma molti recavano come anno di fabbricazione il 1732 e il 1756, per non parlare di due obici fusi nel Quattrocento e che adornavano gli spalti della fortezza, ma che avrebbero figurato meglio nella sala di un museo. Le munizioni non mancavano, soprattutto c'erano i fucili, ma poco usati durante l'assedio. Il primo problema che il re dovette risolvere fu quello delle condizioni di vita nella cittadella fortificata, che comprendeva l'attuale centro storico con il monte e la Torre d'Orlando; tutto rigorosamente protetto da una cinta bastionata verso l'istmo di Montesecco, dov'è oggi la spiaggia di Serapo, cinta vergognosamente demolita dalle giunte comunali che si sono succedute alla guida del Comune di Gaeta.
Non appena sbarcati, il re con la regina e la piccola corte, trovarono ventimila soldati, oltre alla popolazione civile. Normalmente, Gaeta conteneva tremila abitanti e una normale guarnigione. A complicare la vita, c’erano più di mille tra muli e cavalli, per i quali non c’era foraggio e che comunque non sarebbero serviti a nulla. Si aggiravano lenti per le impervie strade strappando dai muri qualche ciuffo d’erba, ridotti alla fame. Ai soldati mancavano le coperte da campo, i pagliericci e la biancheria con gli abiti di ricambio. Dormivano per terra stremati e le loro condizioni igieniche erano preoccupanti. Dunque, si pensò di mandar via il maggior numero possibile di persone, in modo da rendere più agevoli le manovre di difesa della roccaforte.
Mentre nella cittadella fervevano i lavori necessari alla resistenza, fuori – verso Mola di Gaeta, attuale Formia – il generale piemontese Enrico Cialdini (1811-92) aveva stabilito il suo stato maggiore, preoccupato per le invulnerabili fortificazioni di Monte Orlando. Il 4° Corpo d’Armata italiano era dotato di un’insufficiente artiglieria, che non avrebbe mai assicurato un intero bombardamento, né tanto meno l’apertura di un varco. Cialdini, in attesa di altri cannoni, ordinò la costruzione di diciotto chilometri delle strade necessarie, di ponti e viadotti, attraverso i quali dovevano passare i pezzi d’artiglieria, il legname per gli affusti e le munizioni, con i sacchi di terra per la costruzione dei parapetti. Operazione condotta da un valente ufficiale, il generale Luigi Federico Menabrea (1809-96), comandante del Genio; un ingegnere di buona cultura e di viva intelligenza; letterato e storico, insegnò arte militare all’Accademia e scienze delle costruzioni all’Università. Alcuni mesi dopo l’assedio, il 9 novembre 1861, fu creato conte e dall’ottobre 1867 al gennaio 1868 presidente del Consiglio dei Ministri.

PARTE 2
Il Comando italiano aveva deciso di piazzare le batterie sulle alture dei colli che dominano Montesecco, sul colle dei Cappuccini, dove oggi c’è l’ospedale, sul Lombone e su quelli più distanti di Monte Cristo – verso la Torre Scissura – e di Monte Tortona che domina il Golfo di Gaeta.
Cialdini, in una lettera a Cavour, lamenta che giornalmente entravano «viveri in Gaeta sotto bandiera francese, spagnola e napoletana, che ne escano uomini, cavalli, famiglie e quanto torni soverchio e grave alla piazza». Tuttavia i cannoneggiamenti sulla piazzaforte venivano condotti da cannoni che avevano una lunga gittata, anche fino a quattro chilometri; s’interruppero solo il 19 novembre 1860 per consentire l’esodo degli abitanti civili dalla cittadella. Anche la regina madre, Maria Teresa d’Austria, abbandonò con i figli la fortezza, diretta a Roma, lasciando la giovane regina Maria Sofia von Wittelsbach, ad incitare i soldati e a prendersi cura di quelli feriti e malati. Questa giovanissima sovrana era la figlia del duca Massimiliano, cadetto della Casa Reale di Baviera, sorella della principessa Elisabetta, sposata a Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria e nota come Sissi. Divenne la protagonista dell’assedio, appariva sugli spalti con il suo mantello bianco e a cavallo, era un’abile amazzone, educata alla semplicità dalla sua famiglia alquanto anticonformista; non aveva ancora vent’anni. Fu lei la vera anima degli assediati, tanto che nel poemetto di Ferdinando Russo (1866-1927), «O’ surdato ‘e Gaeta», ci sono i versi di un reduce dell’assedio che così la descrive: «E ‘a Riggina! Signó! ... Quant’era bella! / E che core teneva! E che maniera! / Mo ‘na bona parola ‘a sentinella, / mo ‘na strignuta ‘e mano a l’artigliere … / Steva sempe cu nuje! Muntava ‘nsella / currenno e ‘ncuraggianno, juorno e sera, / mo ccà, mo llà… Ve ‘o ggiuro ‘nnanz ‘e sante! / N’èramo nnammurati tutti quanti! / Cu chillo cappellino ‘a cacciatore, / vuie qua’ Riggina! Chella era ‘na fata! / E t’era buonaùrio e t’era sora, / quanno cchiù scassiava ‘a cannunata! … / Era capace ‘e se fermà pe n’ora, / e dispensava bugli ‘e ciucculata… / Ire ferito? E t’asciuttava ‘a faccia… / Cadiva muorto? Te teneva ‘mbraccia … »
L’attaccamento di questa regale signora per i napoletani ha sfidato il tempo. Durante la Prima guerra mondiale (1915-18) prese l’abitudine di visitare i campi di prigionieri italiani, a cui portava libri e cibo, emozionandosi nel chiedere notizie soprattutto a quelli del Sud, che non riuscivano a capire chi fosse quell’anziana signora tedesca, che parlava un italiano con un marcato accento napoletano. Era l’ultima illustre sopravvissuta dell’epopea di Gaeta, che vide finanche l’ascesa in Italia di Mussolini, poi, nel 1925 si spense serbando care le immagini ultime di Napoli e di Gaeta. Sopravvisse al marito re Francesco II per trentuno anni. Lei morì a Monaco di Baviera, lui scomparve ad Arco, in Trentino, nel 1894. Le loro salme fecero ritorno a Napoli il 10 aprile del 1984, nel pomeriggio, insieme a quella della piccolissima erede Maria Cristina Pia, morta a soli tre mesi. Chi scrive apprese alla radio del rientro e fu mosso da una curiosità particolarmente storica, raggiungendo la Basilica di Santa Chiara, dov’è la cappella reale dei Borbone delle Due Sicilie. Quando arrivai nel cortile antistante alla chiesa, c’era una piccola folla, mentre giungevano due auto funebri di colore blu metallizzato con le spoglie del re Francesco II, della moglie Maria Sofia e della principessina. Provenivano dalla chiesa romana di Santo Spirito dei Napoletani, in via Giulia, dove riposavano insieme dal 1938, dopo alterne vicende. Le auto erano state scortate da Roma a Napoli dai Carabinieri. Erano 124 anni che Francesco II aveva lasciato Napoli con la moglie, ora tornava degnamente ma in modo semplice, discreto. Le tre casse di abete grezzo venivano portate a spalla, attraverso l’immensa navata centrale, mentre l’organo intonava la “Marcia reale” di Paisiello. Innegabile l’emozione che colse i presenti, che videro passare sotto i loro occhi più che un simbolo, un segno tangibile di una parte della storia di Napoli, le spoglie di un uomo che ha difeso l’antica capitale e il suo Stato fino allo stremo delle forze.
I tre sarcofagi furono allineati ai piedi dell’altare, mentre la cerimonia funebre fu celebrata da monsignor Giuseppe Müller, gran priore dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio, pronipote di un colonnello comandante un reggimento svizzero all’assedio di Gaeta.
Insieme alla corona, sulla semplice bara, fu appoggiato un vassoio di porcellana bianca, che conteneva al centro un piatto colmo di terreno, recante una bandierina con scritto «Terra del Reame», tutt’intorno erano tante zolle di terra, quante erano le province del Regno. Su ciascuna era infissa l’asta di una bandierina con la scritta. Terra di Lavoro, Principato Citra, Principato Ultra, Basilicata, Calabria Citra, Calabria Ultra, Terra d’Otranto, Terra di Bari, Abruzzo Citra, Abruzzo Ultra, Contado di Molise, Capitanata. In tre vicine ampolline erano le acque con la sabbia dei mari che bagnavano il Regno; Adriatico, Ionio, Tirreno. Al termine della cerimonia, nella cappella, tolta la botola di marmi policromi con lo stemma dei Borbone, le tre casse furono calate nella cripta, sotto lo sguardo attento dell’anziano marchese Achille di Lorenzo – maggiordomo maggiore di Casa Reale - e del principe Giovanni di Borbone, a cui la giornalista Serena Romano rivolse qualche domanda. Gli chiese cosa significasse per lui e per i discendenti della Casa di Borbone delle Due Sicilie la venuta delle tre salme a Napoli. Don Giovanni, che aveva allora cinquant’anni, rispose: «Il ritorno a casa. Perché per noi tutti, Napoli è la nostra casa, è la terra d’origine, anche se non viviamo qui o se ci capitiamo solo occasionalmente. Riunire in Santa Chiara tutti i Borbone di Napoli è un desiderio antico, di varie generazioni, che oggi, finalmente, si è realizzato».
Di questa semplice cerimonia, quasi familiare, in linea con il modo di fare del mite Francesco II, mi è rimasto particolarmente un curioso ricordo. Giovanni di Borbone, che era scapolo e viveva a San Paolo del Brasile, dirigeva una rivista gastronomica, e lì aveva un ristorante e due negozi di pasta e sughi. Alto, biondo, occhi azzurri, per ironia della sorte, a ben riflettere, era una buona copia di Vittorio Emanuele di Savoia, il vivente discendente dell’omonimo antenato che spodestò da Napoli i Borbone.
A questa cerimonia in forma quasi privata, seguì il 17 maggio 1984, nella stessa chiesa, una messa solenne a cui parteciparono molte teste coronate d’Europa. C’era anche Amedeo di Savoia, duca d’Aosta, insomma c’erano i discendenti di quei regnanti che lasciarono che si consumasse sugli spalti della fortezza di Gaeta una delle più chiacchierate ingiustizie che la storia registri.

Nella foto, il castello di Gaeta
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borbone0
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Re: Da Napoli a Sofia..........

Messaggio da borbone0 »

Un BRAVO anche a Gianni che ci riporta tantissime notizie storiche. Mario
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gipos
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Re: Da Napoli a Sofia..........

Messaggio da gipos »

:clap: :clap: clap: :clap: grazie per queste splendide nozioni storiche :evvai:
Ciao:
Giuseppe
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gipos
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Re: Da Napoli a Sofia..........

Messaggio da gipos »

Ciao: Ciao: a tutti, immetto le scansioni di documenti tratti dal testo l'Estrema difesa del Regno delle Due Sicilie edito a Napoli a cura della Società di Storia Patria, sperando che possano servire e che siano di vostro gradimento.
Un cordiale Ciao: Ciao:
Giuseppe
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pasfil
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Re: Da Napoli a Sofia..........

Messaggio da pasfil »

Un saluti a tutti.
Da una cartolina in vendita sulla rete:
"Due bersaglieri settantenni ex-garibaldini".
Mi chiedo, se dall'equipaggiamento sembra ambientata nella "Grande Guerra", a quale delle sette campagne garibaldine presero parte?
ex-garibaldini.jpg

- dei 1000 in Sicilia, all'età di circa 10 anni :mmm: ;
- III guerra d'indipendenza - probabile :mmm: ;
- in fasce dal 1848 :-)

Certo era proprio una vocazione
Ciao: Ciao: Ciao:
pasfil




P.S.: Senza nulla togliere o sminuire il prestigioso Corpo e l'inestimabile valore di ogni soldato.
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gipos
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Re: Da Napoli a Sofia..........

Messaggio da gipos »

Ciao: Ciao:
credo che tu abbia ragione riguardo all'equipaggiamento, rispecchia fedelmente quello utilizzato nella Grande guerra, per quanto riguarda all'eventuale partecipazione dei due ad una delle campagne garibaldine penso la più plausibile quella del 1866.
Ciao: Ciao:
Giuseppe
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Laurent
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Re: Da Napoli a Sofia..........

Messaggio da Laurent »

:mmm:

:clap: sempre interessante...

... rammentiamo che Garibaldini hanno combattuto ancora coi Repubblicani francesi nel 1870 contro i Prussiani :

a17.gif


Laurent Ciao:
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pasfil
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Re: Da Napoli a Sofia..........

Messaggio da pasfil »

Ciao Giuseppe e Laurent. :clap: :clap:


Forse non tutti sanno che...:
Garibaldi_0001.jpg

Garibaldi_0002.jpg

Ciao: Ciao: Ciao:
pasfil
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pasfil
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Re: Da Napoli a Sofia..........

Messaggio da pasfil »

Ancora.
Da:
QUARTO AL VOLTURNO - NOTERELLE D'UNO DEI MILLE - di GIUSEPPE CESARE ABBA.

Ebbene, a proposito della "cittadella" (credo riferendosi a Gaeta), Garibaldi non permise al Colonnello garibaldino Griziotti di lanciare qualche bomba sulla cittadella, ritenendo facile la resa: "No, se un fanciullo, una donna, un vecchio morisse per una bomba lanciata dal nostro campo, non avrei più pace!".

Tuttavia, la storia...Gianni e Giuseppe ...ci raccontano che con l'arrivo dei Reparti "non garibaldini" i fatti ebbero un epilogo opposto.

IMG_0001.jpg

IMG_0002.jpg

IMG_0003.jpg

Ciao: Ciao: Ciao:
pasfil




P.S.: ho corretto delle mie imprecisioni
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Ultima modifica di pasfil il 14 aprile 2013, 22:27, modificato 2 volte in totale.
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gipos
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Re: Da Napoli a Sofia..........

Messaggio da gipos »

Ciao: Pietro, condivido la tua analisi! :evvai:
Ciao: :abb:
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pasfil
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Re: Da Napoli a Sofia..........

Messaggio da pasfil »

Grazie Giuseppe :evvai:

Una curiosità dal libro "S. GIOVANNI ROTONDO DURANTE IL RISORGIMENTO, 1820-1860" di GIOSUE' FINI.
IMG.jpg

Ciao: Ciao: Ciao:
pasfil
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gipos
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Re: Da Napoli a Sofia..........

Messaggio da gipos »

Ciao: Pietro, la stessa immagine riportata sulla moneta da 5 lire del 1848 coniata durante il Gov. Prov. della Lombardia.
Ciao: Ciao:
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Laurent
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Re: Da Napoli a Sofia..........

Messaggio da Laurent »

:clap:

Bravi ambedue !


Laurent Ciao:
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gianni tramaglino
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Re: Da Napoli a Sofia..........

Messaggio da gianni tramaglino »

Il Sud perseguitato dal Nord
(da Il Tempo, 09-01-2011)


In un articolo non va bene abbondare in citazioni perché diventa noioso. Nel caso della conquista del regno delle Due Sicilie però, conviene ricorrere il più possibile alle testimonianze dirette perché quello che raccontano è semplicemente incredibile. Incredibile che nel nome della libertà, del progresso, della costituzione, della gloria dell’Italia da riconquistare, degli italiani abbiano perseguitato altri italiani. Un’intera popolazione di italiani: la più numerosa, quella meridionale.
Il liberalismo italiano ed europeo dell’Ottocento rigurgita di appelli alla morale. Al Congresso di Parigi del 1856, in nome della morale, Cavour denuncia le orribili condizioni in cui versano gli abitanti dell’Italia centro-meridionale, oppressi dal malgoverno borbonico e pontificio. Gli italiani “gemono”, questo dicono i rappresentanti delle grandi potenze: andarli a liberale è un dovere.
E così un regno in pace con tutti, il Regno delle Due Sicilie, è attaccato senza dichiarazione di guerra da Vittorio Emanuele II di Savoia, cugino di Francesco II di Borbone. Francesco II, salito al trono giovanissimo alla morte improvvisa del padre, così ricorda: “Ho creduto in buona fede che il re del Piemonte, che si diceva mio fratello e mio amico, che si protestava disapprovare l’invasione di Garibaldi non avrebbe rotto tutti i trattati e violate tutte le leggi per invadere tutti i miei stati in piena pace, senza motivi né dichiarazioni di guerra”.
La morale del conte di Cavour non è da meno. Subito dopo il Congresso di Parigi organizza nei dettagli l’invasione delle Due Sicilie assieme allo storico massone Giuseppe La Farina, siciliano, segretario della Società Nazionale. Così racconta La Farina nel 1862: “Per quattro anni vidi quasi tutte le mattine il conte di Cavour, senza che alcuno dei suoi amici intimi lo sapesse, andando sempre due o tre ore prima di giorno, e sortendo spesso da una scaletta segreta, ch’era contigua alla sua camera da letto, quando in anticamera era qualcuno che lo potesse conoscere! E in uno di questi notturni abboccamenti, nel1858, fu presentato al conte di Cavour il generale Garibaldi, venuto clandestinamente da Caprera”. Naturalmente, ove la cosa fosse trapelata, Cavour avrebbe rinnegato tutto: “Venga da me quando vuole, ma pria di giorno, e che nessuno lo veda e che nessuno lo sappia. Se sarò interrogato in Parlamento o dalla diplomazia (soggiunse sorridendo) lo rinnegherò come Pietro e dirò: non lo conosco”.
Quando il 13 settembre 1860 Pio IX scrive a Francesco II per confortarlo (“ho veduto la Maestà Vostra tradita da uomini cattivi o inetti o deboli, ho detto tradito perché è verità”), non a caso parla di tradimento: il re è circondato da traditori, a cominciare dal primo ministro Liborio Romano, massone anche lui, segretamente alleato con Cavour e Garibaldi. Fidando sulla bontà d’animo del giovane Re, Romano gli consiglia, per evitare la distruzione dell’adorata Napoli, di lasciare il campo senza combattere limitandosi ad invocare a giudice l’Europa ed aspettando “dal tempo e dalla giustizia di Dio il ritorno della fiducia, ed il trionfo dei suoi diritti legittimi”.
Succede l’incredibile: Francesco II abbandona la capitale senza combattere. “Discendente di una Dinastia che per 126 anni regnò in queste contrade (così Francesco scrive ai cittadini) i miei affetti sono qui. Io sono Napoletano”. Tutti conoscono il mio amore per Napoli ed il mio desiderio di “guarentirla dalle rovine e dalla guerra, salvare i suoi abitanti e le loro proprietà, i sacri templi, i monumenti, gli stabilimenti pubblici, le collezioni di arte, e tutto quello che forma il patrimonio della sua civiltà e della sua grandezza”.
Francesco scambia il desiderio di pace e di prosperità con il dovere del sovrano di difendere la nazione. L’errore è imperdonabile: il regno è messo a ferro e fuoco, la ricchezza pubblica e privata dilapidata, borghi e città devastati, moltissimi sudditi trucidati perché fedeli al proprio re ed alla religione cattolica.
Così documenta la rivista dei gesuiti Civiltà Cattolica dopo aver elencato tutte le insurrezioni spontaneamente esplose ovunque contro i garibaldini: “la reazione scoppiò come un vulcano, e fu spenta nel sangue sparsovi largamente e con inaudita crudeltà dai sicarii Garibaldini guidati da Ungheri, da Scozzesi, da Inglesi e da Francesi”. La precisazione non è un dettaglio: alla liberazione dell’Italia dal cattolicesimo partecipano congiunte tutte le forze del progresso. L’internazionale liberale precede nel tempo quella comunista. Lasciando Gaeta, quando la sua vicenda di Re è ormai conclusa, Francesco II così fotografa la situazione: “Le finanze non guari sì fiorenti, sono completamente ruinate, l’amministrazione è un caos, la sicurezza individuale non esiste. Le prigioni sono piene di sospetti, in luogo della libertà, lo stato d'assedio regna nelle provincie e un generale straniero pubblica la legge marziale decretando le fucilazioni istantanee per tutti quelli dei miei sudditi che non s’inchinano innanzi alla bandiera di Sardegna. Uomini che non hanno mai visto questa parte d’Italia costituiscono il vostro governo, le Due Sicilie sono state dichiarate provincie d’un regno lontano. Napoli e Palermo saranno governate da prefetti venuti da Torino”. Viva l’Italia.
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gipos
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Re: Da Napoli a Sofia..........

Messaggio da gipos »

Ciao: credo che ormai siano ben pochi gli aggettivi da poter dedicare al mitico gianni, :clap: :clap: :clap: per continuare il discorso intrapreso dalla nostra memoria storica (gianni tramaglino) immetto le scansioni del giornale la Gazzetta di Milano del 23 Ottobre 1856, in cui caso strano ben 4 anni prima della spedizione dei Mille si discute sulla situazione che si sta delineando nel Regno di Napoli, sempre sullo stesso giornale vi è un articolo ripreso dalla Gazette de France sulla politica estera messa in atto dalla Gran Bretagna.
Sperando che possano essere utili un Ciao: Ciao: a tutti
Giuseppe
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