Particolare da un vecchio
thanka (collezione privata).
Marco Polo (Venezia, 15 settembre 1254 - Venezia, 8 gennaio 1324) è stato il primo occidentale a narrare in Europa in modo
esplicito la vita
completa di Buddha dandone un'ampia diffusione.
Marco
Polo in un francobollo del 1954.
Lo chiama Sagamoni Borcan (in altri codici e trascrizioni de "Il
Milione" troviamo scritto anche "Sergamom Borcam", "Sargamo
Borgani", "Sagomombar Can", "Sergamon Borcham",
"Sergamoni Borcan"), una evidente alterazione del nome
Śākyamuni Bhagavān, ovvero il Buddha, dove Śākyamuni
significa "l'uomo saggio dei Śākya" (la tribù
alla quale apparteneva) e Bhagavān "Venerabile", "Signore",
"Beato", "Perfetto".
Marco Polo precisa che Sagamoni Borcan «...nella nostra lingua vorrebbe
dire Sagamoni il Santo».
Così Marco Polo inizia a tratteggiare la figura di Buddha: «Questo Sagamoni fu il primo uomo che sia stato fatto idolo. Perché
secondo la leggenda è stato l'uomo migliore che abbia mai vissuto: e fu il
primo che gli idolatri [così Marco Polo chiama i Buddisti,
N.d.R.] abbiano venerato come santo, e il primo idolo che abbiano
avuto».
Inizia poi la storia della vita di Buddha:
«Era figlio di un gran re ricco e potente ed era di tale santa vita
che non volle occuparsi mai di nessuna cosa mondana né diventare re.
Il padre quando vide che suo figlio non voleva diventare re né voleva
interessarsi a nessuna cosa mondana, fu preso da gran collera: gli fece
grandi offerte, gli disse che voleva incoronarlo e lasciarlo regnare come
gli piacesse: avrebbe abdicato, non avrebbe più comandato lasciando al
figlio ogni potestà.
Il figlio rispose di non voler niente.
E quando il padre fu certo che non voleva in nessun modo la signoria, si
addolorò così profondamente che quasi ne morì; e si può capire, perché
aveva questo figlio solo e non sapeva a chi lasciare il trono.
Il re allora pensò di agire in questo modo: decise di fare una cosa che
secondo lui avrebbe piegato volentieri il figlio ai piaceri terreni e che
gli avrebbe fatto prendere regno e corona.
Lo fece alloggiare in un palazzo bellissimo con trentamila fanciulle belle e
attraenti per servirlo. E nessun uomo osava entrare là dentro; soltanto le
fanciulle erano con lui, lo mettevano a letto, gli preparavano la tavola, e
gli facevano sempre compagnia. Cantavano e ballavano alla sua presenza e
cercavano di divertirlo il più possibile secondo il comando del re.
Ma nessuna poté far sì che il giovane si lasciasse sedurre dalle cose
amorose, anzi sembrava sempre più casto. E faceva una vita molto austera
secondo le loro usanze.
Dovete sapere che il giovane era cresciuto con tanta delicatezza che non
aveva mai messo piede fuori del palazzo, e non aveva mai visto un morto, né
incontrato nessuno che non fosse sano nelle membra. Il padre non permetteva
che gli apparisse davanti un uomo vecchio o infelice.
Avvenne che un giorno il giovinetto, cavalcando per la via, vedesse un uomo
morto e restasse stupefatto non avendone mai visti: domandò subito a quelli
del suo seguito che cosa fosse: e quelli risposero che era un morto.
- Come -disse il principe,- allora tutti gli uomini muoiono?
- Certo, tutti -gli risposero.
L'isola
di Seilan (Sri Lanka) chiamata Saylam nel mappamondo di Fra Mauro (circa 1450).
L'orientamento della mappa non è quello codificato oggi: il Nord è
in basso, il Sud in alto. Sull'isola è indicato il «monte de Adam».
Il giovane non disse altro e cavalcava pensoso. E dopo aver cavalcato a
lungo incontrò un uomo molto vecchio che non poteva camminare e non aveva
denti in bocca perché gli erano caduti tutti per la sua gran vecchiaia.
Quando il figlio del re vide il vecchio domandò chi fosse e perché non
poteva camminare. Gli fu risposto che per vecchiaia non poteva camminare e
che per vecchiaia aveva perduto i denti.
Intese a fondo queste cose, del morto e del vecchio, il figlio del re tornò
al palazzo e disse che non voleva più stare in questo tristissimo mondo ma
sarebbe andato a cercare colui che non muore mai e che lo aveva creato.
Lasciò dunque il palazzo di suo padre e se ne andò su monti altissimi e
dirupati e visse là tutta la sua vita austeramente e castamente facendo
molta astinenza».
Mentre la diffusione del buddismo fu una conseguenza della predicazione
dello stesso Buddha e dell'opera dei suoi seguaci, nel racconto di Marco
Polo sarebbe stato invece il padre a favorirne la propagazione. Scrive
infatti: «Quando il
figlio del re morì, il suo corpo venne riportato al padre; ed è inutile
narrare quale angustiato dolore provasse il vecchio re nel veder morto colui
che amava più di se stesso. Indicibile fu il suo pianto; poi fece fare una
statua a sua immagine tutta d'oro e di pietre preziose e lo fece onorare dai
sudditi come un dio.
Dissero di lui che morì ottantaquattro volte e tutte le volte
reincarnandosi in un animale: la prima volta in un bue, poi in un cavallo,
poi in un cane; all'ottantaquattresima volta dicono che morì e divenne dio.
Per gli idolatri è lui il più grande dio che abbiano, il primo, dal quale
discesero poi gli altri».
Marco Polo è restato evidentemente molto colpito dalla figura di Sagamoni
Borcan (Śākyamuni Bhagavān, ovvero Buddha) al punto di
esprimere l'opinione che «...se fosse stato cristiano sarebbe stato un
grande santo in compagnia di Nostro Signore Gesù Cristo».
Tuttavia Marco Polo localizza gli avvenimenti della vita di Buddha a Seilan,
come lui chiamava l'isola di Sri Lanka, in passato nota come Ceylon: «E
ciò accadde nell'isola di Seilan, in India».
L'errore trova però alcune giustificazioni: prima di tutto, già ai tempi
di Marco Polo, la popolazione di Sri Lanka era a maggioranza fortemente
buddista già da millecinquecento anni.
Inoltre Marco Polo è restato sicuramente influenzato dalle storie, che
evidentemente aveva sentito, attorno al monte Sri Pada (che significa "piede sacro",
in inglese Adam's Peak, ovvero vetta d'Adamo, alto 2.243 metri).
L'Adam's
Peak in un francobollo del 1935.
E' una montagna sacra per i buddisti che già nel III secolo a. Cr. eressero un
piccolo santuario sulla sommità, accanto ad un incavo sulla superficie di
una roccia che dà l'illusione di un'impronta di un piede sinistro, lunga circa m.
1,80. Nel 1817 l'impronta venne descritta criticamente per la prima volta da
John Devy che parla di «...una cavità superficiale (...) ornata
da un bordo d'ottone con incastonate delle pietre dure di scarso valore: ha
un tettuccio sostenuto da quattro pilastri ed è circondata da un muretto.
Il tettuccio è rivestito di stoffe colorate con il bordo coperto di fiori.
La cavità ha effettivamente una grossolana somiglianza con la figura di un
piede umano, ma se fosse realmente un'impronta, il risultato non sarebbe ben
riuscito». Solo nel 1859 James Emerson Tennent la liquida
esplicitamente come «...una
cavità naturale allargata artificialmente, che mostra la sagoma approssimativa
di un piede...»
Ma Marco Polo non poteva saperlo, come
non lo sanno quanti andavano, e vanno, in pellegrinaggio in questo luogo.
I buddisti, fin dal I secolo a. Cr, credono che sia stato Buddha a lasciare l'impronta quando, dopo
aver visitato Sri Lanka, si innalzò verso il Paradiso (secondo altre
versioni leggendarie su invito del dio Saman affinché lasciasse un proprio
segno da adorare).
Nei secoli le altre religioni che si sono succedute si sono volute
appropriare di questo segno: così i musulmani credono invece che l'impronta sia stata lasciata da Adamo
quando, scacciato dal Paradiso terrestre, si nascose qui per espiare il
peccato commesso; secondo alcune tradizioni, collegate all'idea che Sri
Lanka fosse l'Eden biblico, avrebbe qui anche la sua tomba. Altri musulmani
cingalesi fanno invece riferimento al profeta Al-Rohun, o Adam.
Ma non basta: per i tamil induisti l'impronta sarebbe stata lasciata dal
piede di Shiva
durante la danza della creazione; infine per certi cristiani portoghesi sarebbe
quella di San Tommaso, l'apostolo di Gesù, oppure dell'eunuco, funzionario della Regina
d'Etiopia Candace, di cui parlano gli Atti degli Apostoli.
Marco Polo comunque doveva essere assai informato per molti dettagli che ci
lascia, a cominciare dalla montagna Sri Pada: «Seilan, come ho detto già
in questo libro, è una grande isola. Quest'isola ha una montagna molto
alta, dalle pareti così scoscese che nessuno potrebbe salirvi se non nella
maniera che vi dirò: dall'alto della montagna pendono molte catene di ferro
congegnate e fissate in tal maniera che gli uomini possono arrampicarsi
aiutandosi con le catene fino al sommo della montagna».
Tracce di queste catene sono oggi ancora visibili sulla parete Sud-ovest della
montagna. Nello "Zaffer Namah Sekanderi" (Il libro delle conquiste
di Alessandro), un poema persiano del XV secolo, è scritto che Alessandro
Magno «...fissò catene con anelli e chiodi di ferro e ottone, i cui resti
esistono ancora, in modo che i viaggiatori, per mezzo di essi, possono
scalare la montagna ricevendo la gloria trovando il sepolcro di Adamo».
In realtà esistono altre fonti cingalesi che attribuiscono queste catene
alla volontà del Re Vijayabahu (circa 1058-1114), il quale tra l'altro
emise delle leggi in modo che i pellegrini trovassero assistenza nei
villaggi che attraversavano; i documenti ricordano che anche Devaprathiraja,
ministro di Re Parakramabahu II (1250-1284), avrebbe installato delle catene
per rendere più facile la salita dei devoti, e così avrebbero fatto altri
ancora: è del tutto plausibile che le catene venissero periodicamente
sostituite nel corse del tempo..
Marco Polo prosegue nella sua narrazione introducendo il tema della tomba di
Buddha; evidentemente i suoi informatori non erano stati chiari, oppure
avevano confuso le tradizioni: «Dicono che lassù ci sia il sepolcro di
Adamo nostro progenitore. Dicono così i saraceni [Marco Polo usa sempre
questo termine per indicare i seguaci di Maometto intendendo i musulmani
- N.d.R.]: gli idolatri invece dicono che è la tomba di Sagamoni Borcan».
Infine Marco Polo termina così la narrazione: «Vi ho raccontato del primo
idolo. E aggiungo che gli idolatri vengono da molto lontano in
pellegrinaggio come i cristiani vanno a San Giacomo di Compostella. Essi
dicono che la tomba che si trova su quella montagna sarebbe del figlio del
re di cui abbiamo parlato; i denti, i capelli e la scodella che vi sono
conservati sarebbero di lui, di questo Sagamoni Borcan (...) I saraceni,
invece, che anche loro vanno in pellegrinaggio a quella tomba, affermano che
quello è il sepolcro di Adamo nostro progenitore e che suoi sono i denti, i
capelli e la scodella che vi si conservano.
Ho raccontato così come gli idolatri dicono che la tomba è del figlio del
re loro primo idolo e loro primo dio, e i saraceni dicono che è di Adamo
nostro primo padre; ma Dio sa chi è e chi è stato. Per nostro conto non
crediamo che le reliquie siano di Adamo perché la Sacra Scrittura disse che
è stato sepolto in un'altra parte del mondo.»