Il Buddha di Marco Polo

|Torna all'indice della home page| |Torna all'indice "I miei viaggi"|
 
  I brani riportati sono tratti dal codice 1116 conservato presso la Bibliothèque Nationale de France, scritto in lingua franco italiana nei primi anni del XIV secolo, quando Marco Polo era ancora vivente, pubblicato per la prima volta dalla Société de Géographie di Parigi nel 1824.
La traduzione in italiano corrente è di Maria Bellonci per la © ERI - Edizioni RAI Radiotelevisione Italiana.
   
Particolare da un vecchio thanka (collezione privata).
Marco Polo (Venezia, 15 settembre 1254 - Venezia, 8 gennaio 1324) è stato il primo occidentale a narrare in Europa in modo esplicito la vita completa di Buddha dandone un'ampia diffusione.
 
Marco Polo in un francobollo del 1954.
 
Lo chiama Sagamoni Borcan (in altri codici e trascrizioni de "Il Milione" troviamo scritto anche "Sergamom Borcam", "Sargamo Borgani", "Sagomombar Can", "Sergamon Borcham", "Sergamoni Borcan"), una evidente alterazione del nome Śākyamuni Bhagavān, ovvero il Buddha, dove Śākyamuni significa "l'uomo saggio dei Śākya" (la tribù alla quale apparteneva) e Bhagavān "Venerabile", "Signore", "Beato", "Perfetto".
Marco Polo precisa che Sagamoni Borcan «...nella nostra lingua vorrebbe dire Sagamoni il Santo».
Così Marco Polo inizia a tratteggiare la figura di Buddha:
«Questo Sagamoni fu il primo uomo che sia stato fatto idolo. Perché secondo la leggenda è stato l'uomo migliore che abbia mai vissuto: e fu il primo che gli idolatri [così Marco Polo chiama i Buddisti, N.d.R.] abbiano venerato come santo, e il primo idolo che abbiano avuto».
Inizia poi la storia della vita di Buddha:
«Era figlio di un gran re ricco e potente ed era di tale santa vita che non volle occuparsi mai di nessuna cosa mondana né diventare re.
Il padre quando vide che suo figlio non voleva diventare re né voleva interessarsi a nessuna cosa mondana, fu preso da gran collera: gli fece grandi offerte, gli disse che voleva incoronarlo e lasciarlo regnare come gli piacesse: avrebbe abdicato, non avrebbe più comandato lasciando al figlio ogni potestà.
Il figlio rispose di non voler niente.
E quando il padre fu certo che non voleva in nessun modo la signoria, si addolorò così profondamente che quasi ne morì; e si può capire, perché aveva questo figlio solo e non sapeva a chi lasciare il trono.
Il re allora pensò di agire in questo modo: decise di fare una cosa che secondo lui avrebbe piegato volentieri il figlio ai piaceri terreni e che gli avrebbe fatto prendere regno e corona.
Lo fece alloggiare in un palazzo bellissimo con trentamila fanciulle belle e attraenti per servirlo. E nessun uomo osava entrare là dentro; soltanto le fanciulle erano con lui, lo mettevano a letto, gli preparavano la tavola, e gli facevano sempre compagnia. Cantavano e ballavano alla sua presenza e cercavano di divertirlo il più possibile secondo il comando del re.
Ma nessuna poté far sì che il giovane si lasciasse sedurre dalle cose amorose, anzi sembrava sempre più casto. E faceva una vita molto austera secondo le loro usanze.
Dovete sapere che il giovane era cresciuto con tanta delicatezza che non aveva mai messo piede fuori del palazzo, e non aveva mai visto un morto, né incontrato nessuno che non fosse sano nelle membra. Il padre non permetteva che gli apparisse davanti un uomo vecchio o infelice.
Avvenne che un giorno il giovinetto, cavalcando per la via, vedesse un uomo morto e restasse stupefatto non avendone mai visti: domandò subito a quelli del suo seguito che cosa fosse: e quelli risposero che era un morto.
 - Come -disse il principe,- allora tutti gli uomini muoiono?
 - Certo, tutti -gli risposero.
L'isola di Seilan (Sri Lanka) chiamata Saylam nel mappamondo di Fra Mauro (circa 1450). L'orientamento della mappa non è quello codificato oggi: il Nord è in basso, il Sud in alto. Sull'isola è indicato il «monte de Adam».
Il giovane non disse altro e cavalcava pensoso. E dopo aver cavalcato a lungo incontrò un uomo molto vecchio che non poteva camminare e non aveva denti in bocca perché gli erano caduti tutti per la sua gran vecchiaia.
Quando il figlio del re vide il vecchio domandò chi fosse e perché non poteva camminare. Gli fu risposto che per vecchiaia non poteva camminare e che per vecchiaia aveva perduto i denti.
Intese a fondo queste cose, del morto e del vecchio, il figlio del re tornò al palazzo e disse che non voleva più stare in questo tristissimo mondo ma sarebbe andato a cercare colui che non muore mai e che lo aveva creato.
Lasciò dunque il palazzo di suo padre e se ne andò su monti altissimi e dirupati e visse là tutta la sua vita austeramente e castamente facendo molta astinenza»
.
Mentre la diffusione del buddismo fu una conseguenza della predicazione dello stesso Buddha e dell'opera dei suoi seguaci, nel racconto di Marco Polo sarebbe stato invece il padre a favorirne la propagazione. Scrive infatti: «Quando il figlio del re morì, il suo corpo venne riportato al padre; ed è inutile narrare quale angustiato dolore provasse il vecchio re nel veder morto colui che amava più di se stesso. Indicibile fu il suo pianto; poi fece fare una statua a sua immagine tutta d'oro e di pietre preziose e lo fece onorare dai sudditi come un dio.
Dissero di lui che morì ottantaquattro volte e tutte le volte reincarnandosi in un animale: la prima volta in un bue, poi in un cavallo, poi in un cane; all'ottantaquattresima volta dicono che morì e divenne dio. Per gli idolatri è lui il più grande dio che abbiano, il primo, dal quale discesero poi gli altri»
.
Marco Polo è restato evidentemente molto colpito dalla figura di Sagamoni Borcan (Śākyamuni Bhagavān, ovvero Buddha) al punto di esprimere l'opinione che «...se fosse stato cristiano sarebbe stato un grande santo in compagnia di Nostro Signore Gesù Cristo».
Tuttavia Marco Polo localizza gli avvenimenti della vita di Buddha a Seilan, come lui chiamava l'isola di Sri Lanka, in passato nota come Ceylon: «E ciò accadde nell'isola di Seilan, in India».
L'errore trova però alcune giustificazioni: prima di tutto, già ai tempi di Marco Polo, la popolazione di Sri Lanka era a maggioranza fortemente buddista già da millecinquecento anni.
Inoltre Marco Polo è restato sicuramente influenzato dalle storie, che evidentemente aveva sentito, attorno al monte Sri Pada (che significa "piede sacro", in inglese Adam's Peak, ovvero vetta d'Adamo, alto 2.243 metri).
 
L'Adam's Peak in un francobollo del 1935.
 
E' una montagna sacra per i buddisti che già nel III secolo a. Cr. eressero un piccolo santuario sulla sommità, accanto ad un incavo sulla superficie di una roccia che dà l'illusione di un'impronta di un piede sinistro, lunga circa m. 1,80. Nel 1817 l'impronta venne descritta criticamente per la prima volta da John Devy che parla di «...una cavità superficiale (...) ornata da un bordo d'ottone con incastonate delle pietre dure di scarso valore: ha un tettuccio sostenuto da quattro pilastri ed è circondata da un muretto. Il tettuccio è rivestito di stoffe colorate con il bordo coperto di fiori. La cavità ha effettivamente una grossolana somiglianza con la figura di un piede umano, ma se fosse realmente un'impronta, il risultato non sarebbe ben riuscito». Solo nel 1859 James Emerson Tennent la liquida esplicitamente come «...una cavità naturale allargata artificialmente, che mostra la sagoma approssimativa di un piede...»
Ma Marco Polo non poteva saperlo, come non lo sanno quanti andavano, e vanno, in pellegrinaggio in questo luogo.
I buddisti, fin dal I secolo a. Cr, credono che sia stato Buddha a lasciare l'impronta quando, dopo aver visitato Sri Lanka, si innalzò verso il Paradiso (secondo altre versioni leggendarie su invito del dio Saman affinché lasciasse un proprio segno da adorare).
Nei secoli le altre religioni che si sono succedute si sono volute appropriare di questo segno: così i musulmani credono invece che l'impronta sia stata lasciata da Adamo quando, scacciato dal Paradiso terrestre, si nascose qui per espiare il peccato commesso; secondo alcune tradizioni, collegate all'idea che Sri Lanka fosse l'Eden biblico, avrebbe qui anche la sua tomba. Altri musulmani cingalesi fanno invece riferimento al profeta Al-Rohun, o Adam.
Ma non basta: per i tamil induisti l'impronta sarebbe stata lasciata dal piede di Shiva durante la danza della creazione; infine per certi cristiani portoghesi sarebbe quella di San Tommaso, l'apostolo di Gesù, oppure dell'eunuco, funzionario della Regina d'Etiopia Candace, di cui parlano gli Atti degli Apostoli.
Marco Polo comunque doveva essere assai informato per molti dettagli che ci lascia, a cominciare dalla montagna Sri Pada: «Seilan, come ho detto già in questo libro, è una grande isola. Quest'isola ha una montagna molto alta, dalle pareti così scoscese che nessuno potrebbe salirvi se non nella maniera che vi dirò: dall'alto della montagna pendono molte catene di ferro congegnate e fissate in tal maniera che gli uomini possono arrampicarsi aiutandosi con le catene fino al sommo della montagna».
Tracce di queste catene sono oggi ancora visibili sulla parete Sud-ovest della montagna. Nello "Zaffer Namah Sekanderi" (Il libro delle conquiste di Alessandro), un poema persiano del XV secolo, è scritto che Alessandro Magno «...fissò catene con anelli e chiodi di ferro e ottone, i cui resti esistono ancora, in modo che i viaggiatori, per mezzo di essi, possono scalare la montagna ricevendo la gloria trovando il sepolcro di Adamo».
In realtà esistono altre fonti cingalesi che attribuiscono queste catene alla volontà del Re Vijayabahu (circa 1058-1114), il quale tra l'altro emise delle leggi in modo che i pellegrini trovassero assistenza nei villaggi che attraversavano; i documenti ricordano che anche Devaprathiraja, ministro di Re Parakramabahu II (1250-1284), avrebbe installato delle catene per rendere più facile la salita dei devoti, e così avrebbero fatto altri ancora: è del tutto plausibile che le catene venissero periodicamente sostituite nel corse del tempo..
Marco Polo prosegue nella sua narrazione introducendo il tema della tomba di Buddha; evidentemente i suoi informatori non erano stati chiari, oppure avevano confuso le tradizioni: «Dicono che lassù ci sia il sepolcro di Adamo nostro progenitore. Dicono così i saraceni [Marco Polo usa sempre questo termine per indicare i seguaci di Maometto intendendo i musulmani - N.d.R.]: gli idolatri invece dicono che è la tomba di Sagamoni Borcan».
Infine Marco Polo termina così la narrazione: «Vi ho raccontato del primo idolo. E aggiungo che gli idolatri vengono da molto lontano in pellegrinaggio come i cristiani vanno a San Giacomo di Compostella. Essi dicono che la tomba che si trova su quella montagna sarebbe del figlio del re di cui abbiamo parlato; i denti, i capelli e la scodella che vi sono conservati sarebbero di lui, di questo Sagamoni Borcan (...) I saraceni, invece, che anche loro vanno in pellegrinaggio a quella tomba, affermano che quello è il sepolcro di Adamo nostro progenitore e che suoi sono i denti, i capelli e la scodella che vi si conservano.
Ho raccontato così come gli idolatri dicono che la tomba è del figlio del re loro primo idolo e loro primo dio, e i saraceni dicono che è di Adamo nostro primo padre; ma Dio sa chi è e chi è stato. Per nostro conto non crediamo che le reliquie siano di Adamo perché la Sacra Scrittura disse che è stato sepolto in un'altra parte del mondo.»
  
|Torna all'indice della home page| |Torna all'indice "I miei viaggi"|
 
 
Disclaimer & Copyright
Pagina aggiornata il 23 ottobre 2017. Io ho fatto molti importanti viaggi con Avventure nel Mondo