Il discorso
pronunciato sabato 25 aprile 1903 dal Sindaco di Venezia Filippo Grimani
durante la cerimonia della posa della prima pietra per la ricostruzione del
campanile e della Loggetta di San Marco.
Filippo
Grimani (1850-1921).
Altezza Reale, Eccellenza, Signori.
La sera del 14 luglio, poche ore dopo il fatale disastro che quasi
improvvisamente ci toglieva il glorioso campanile e la meravigliosa Loggetta,
era d'urgenza radunato il cittadino Consiglio.
Quarantadue consiglieri presenti e la sala, il vestibolo, le scale
rigurgitanti di un pubblico affollato e commosso. Quelli ch'erano nell'aula,
l'uno a ridosso dell'altro pigiati, a mala pena resistevano a quelli che
stavano al di fuori, e volendo a tutti i costi entrare, spingevano,
protestavano offrendo uno spettacolo indimenticabile.
E quando fattasi una calma relativa ed impreso a parlare, dissi ad un certo
momento: «Il campanile e la Loggetta dovranno certamente ricostruirsi ed il
Comune vi darà il primo impulso con il suo contributo» un applauso
formidabile, lungo, entusiastico rispose nella sala, nell'atrio, lungo le
scale.
Cosicché il voto per la ricostruzione del monumento non poteva avere più
solenne, più chiara e più cordiale approvazione.
L'anima del popolo aveva parlato e non solo a mezzo della sua legittima
rappresentanza, e non solo allora ma anche in seguito con diverse e
spontanee e commoventi manifestazioni di un comune sentimento che rimane
immutato ed immutabile contro ogni specioso e tardo conato.
Poiché per tutti il crollo della torre millenaria aveva significato non la
semplice rovina di un edificio, ma la scomparsa di un simbolo che in sé
compenetrava le gloriose memorie della patria, del testimonio venerando
delle vicende or liete or tristi i cui si riassume la storia veneziana, del
segnacolo luminoso che apparendo ad ogni punto della città, dalle calli ai
ponti, dalle case alle verdi acque che fanno cornice al panorama di Venezia
nostra, era insieme una visione efficace dei passati ricordi, un caro e fido
compagno della vita quotidiana.
Dov'era e come era. Questa fu la sintesi del pensiero di tutti e non dei
veneziani soltanto, perché dall'Italia intera come da ogni parte del mondo,
dalla stampa nostrana e straniera vennero incoraggiamenti ed auguri,
incitamenti e voti.
Dov'era e come era. E all'attuazione di così alto ideale risposero con
nobile slancio le offerte in denaro da quelle umili e significanti del
popolano a quelle cospicue di ogni ordine di cittadini; da quelle dei
connazionali e dei forestieri a quelle dei comuni e delle provincie del
Regno, spiccando in fra tutte le offerte di S. M. il Re e di S. M. la Regina
madre rinnovato pegno di quei vincoli per cui Reggia e Popolo sono sempre accomunati
nel nome e per la grandezza della Patria.
Dov'era e come era. E tale risorga sotto il valido impulso e la sapiente
guida dell'architetto Beltrami, gloria tutta italiana che darà a noi, al
mondo intero il conforto e la sicurezza di una esatta e fedele ricostruzione
dell'infranto colosso.
E tale risorga senza pregiudizio di altre opere alle quali il comune
intende, tali che alla classe meno favorita possano assicurare un asilo
modesto che ne rinfranchi il fisico dopo le fatiche del lavoro e valga ad
elevarne la condizione morale.
Poiché mai potrà dirsi in una città come la nostra che questioni di
sentimento o di arte facciano trascurare lo studio e la soluzione di quei
problemi che non sono monopolio di alcuno, ma orgoglio ed aspirazione di
tutti gli uomini di intelletto e di cuore.
Dov'era e come era. E fra quattro anni, forse meno, rivedremo maestosa e
fiera ergersi ancora verso il cielo la classica torre pronta a resistere
alle ingiurie dei secoli. Essa riprenderà l'antico posto assegnatole dai
maggiori nostri e fonderà ancora in mirabile armonia la Basilica insigne e
gli edifici di Mastro Buono e di Sansovino e ridonerà alla visione di
Venezia l'incanto che prima aveva e che ora invano cerchiamo con un senso di
tristezza e di vuoto.
E riudremo il mistico suono dei bronzi sposarsi alle radiose aurore e agli
splendori del tramonto, e segnare eventi -voglia Iddio- sempre lieti della
Patria nostra conscia della sua grandezza, fiera della sua libertà, stretta
intorno ad uno stesso vessillo.
E sullo svelto pinnacolo, l'Angelo d'Oro, additerà ancora le vie
dell'infinito richiamando lo spirito verso un regno di giustizia, di
misericordia e di amore che non è di questo mondo.
Dov'era e come era. E fossero pure ragioni di sentimento quelle che ci
sospingono, più che ragioni di arte e di storia; fosse una ingenua semplice
idealità o il desiderio soltanto vivo ed intenso di avere ancora dinanzi
agli occhi l'edificio che sin dall'infanzia abbiamo imparato a conoscere ed
amare e che vogliamo lasciare ai nostri figli e nipoti, bello sempre e
ammirando è l'esempio di un popolo che sa inspirarsi alle sue grandi
memorie e se ne sente orgoglioso, e fiero sempre di comprenderle può
innanzi procedere pieno di fiducia in sé stesso e nel suo avvenire.
La
cerimonia della posa della prima pietra del campanile di San Marco (25
aprile 1903).
Dov'era e come era. E così sia.
Così sia sotto gli auspici vostri, Altezza Reale, che tanta e così degna
parte siete della gloriosa Dinastia di Savoia verso il cui Augusto Capo vola
in questo momento il nostro pensiero memore e devoto.
Così sia sotto gli auspici vostri, Cardinale Eminentissimo che qui recando
la benedizione del Cielo proclamate solennemente la sublime armonia del
sentimento di religione e di patria.
Così sia sotto gli auspici vostri, onorevole Ministro per la Pubblica
Istruzione il cui nome è scolpito nel cuore della cittadinanza per aver
dato ai nostri propositi il valido appoggio del vostro intelletto e della
vostra cordialità. Ed io sono ben lieto che a questa cerimonia partecipi di
persona S. E. il Ministro della Pubblica Istruzione di Francia, che Venezia
si onora di ospitare, e che rappresenta degnamente, assommato nella sua
autorità, quanto vi è di più alto negli studi e nella cultura della sua
illustre nazione. Voluto dal popolo, il monumento che sta per risorgere
sarà la risultante di tutte le sane energie, il riflesso di tutte le
volontà feconde, il simbolo solenne delle virtù cittadine.
Esso sorgerà a legare il tempo nostro all'antico, poiché nel culto fedele
delle passate grandezze è pur dato trarre da questo auspicio ad eventi
felici. Esse per i popoli liberi e gagliardi non sono storia soltanto ma
divengono augurio glorioso. Onde a Venezia si può ripetere per tutti i
secoli il fatidico saluto di Vergilio, già scolpito in antiche nostre
medaglie: «Semper honos nomenque tuum laudesque manebunt».