|Torna alla pagina del campanile di San Marco|

   
  Il discorso pronunciato sabato 25 aprile 1903 dal Ministro della Pubblica Istruzione Nunzio Nasi durante la cerimonia della posa della prima pietra per la ricostruzione del campanile e della Loggetta di San Marco.
   
Nunzio Nasi (1850-1935) in un dipinto di Giacomo Balla conservato al Museo Regionale Conte Agostino Pepoli di Trapani.
La gloriosa torre millenaria ritorno dunque al cospetto del mare e l'antico grido di «Viva San Marco» può ancora prorompere dal cuore dei Veneziani come un inno di vittoria.
Nei giorni dello sgomento, la voce del mondo civile si affrettò a dirvi che non eravate soli; ma già era con voi tutta l'anima del popolo italiano e il vostro patriottismo vi aveva pur detto che i suoi voti non potevano fallire.
Poca cosa, o illustre Sindaco, è il contributo di affetto che io pure ho avuto la fortuna di recarvi; troppo grande è il premio che ne ricevo, partecipando in nome del Re e del Governo a questa cerimonia, che segna una data così memorabile nella storia dei vostri più cari ricordi.
Solo mi compiaccio che la mia fede non fu minore della vostra e che a me come a voi non parvero mai passeggero fremito di anime sentimentali gli auguri ed i voti di quei giorni.
Venezia è destinata a compiere ben altre opere di ricostruzione. Prima di risollevare verso il cielo i pinnacoli della storica torre qualche cosa di più grande si andava innalzando nell'animo vostro; ed era lo spirito di questa città; tenace nei propositi, pronto al sacrificio, indomito nelle avventure. Esso aspira a nuove forme della vita e della gloria, e lo accompagnano nel suo cammino tutte le simpatie dei popoli civili.
Non è soltanto la festa di San Marco che oggi si compie; più di una solennità cittadina è l'apoteosi di tutte le virtù veneziane, celebrata fra lo splendore dell'arte da quanti amano l'ideale di ogni bellezza e di ogni umana rivendicazione.
Ve lo dice la presenza e la parola del Ministro francese, venuto qui fra voi appositamente per assistere a questo lieto evento, per testimoniarvi la solidarietà del suo paese generoso, per ricordare il canto d'amore ispirato ai suoi poeti dal fascino di Venezia.
Passano come fulgide visioni dinanzi alla memoria tutte le voci di questa immortale poesia della vita e della gloria.
Alcuni giorno or sono io ero con lui a ricordare sul Campidoglio il destino di Roma eterna; oggi non può essere minore la nostra gioia, evocando i ricordi di sapienza, di gentilezza, di pace, che fecero amare questa città dalle genti.
Quando cessò ogni forma del suo antico dominio, parve che Venezia si rassegnasse a morire nel triste silenzio della sua laguna.
Ed essa erasi raccolta nella coscienza sua, ma pensosa dell'avvenire, conscia e tranquilla d'una nuova missione.
Un genio affettuoso e gaio, nato sotto questo cielo con tutte le attrattive nella bontà e del sapere, Carlo Goldoni, le parlò di questo sereno ideale e la sua voce non fu perduta. L'anima di Riccardo Selvatico la raccolse e questa tradizione non cesserà mai.
Ecco Venezia lavorare di nuovo per il mondo: l'Arte, che altrove è una contemplazione, qui diventa una fede operosa.
La cerimonia della posa della prima pietra del campanile di San Marco (25 aprile 1903).
Il popolo che parve rassegnato alla morte è sempre quello nella cui anima il genio di Ippolito Taine seppe leggere tutte le fortune della sua storia e tutte le promesse del suo avvenire.
Dacché la vita privata si è divisa dalla pubblica, quante forze di coraggio, di abnegazione, d'iniziativa, di patriottismo, furono disperse!
In nessuna città il cittadino si è sentito più compreso nella vita della patria, e meno la grandezza dello Stato ha tolto al sentimento individuale della solidarietà; perché nessun popolo ebbe in tutta la sua vita più necessità, più occasioni e più ragioni di sentire quello spirito collettivo, che è il presupposto di ogni valore e di ogni successo.
La vita di Venezia è sempre qui, concentrata in questa piazza meravigliosa; e S. Marco non è pei veneziani il solo apostolo propiziatore delle glorie celesti, ma il patrono e difensore delle fortune terrestri. Quando Paolo V volle imporre la sua volontà, il clero veneziano rimase patriota, ed il popolo cacciò i dissidenti col motto memorabile: «siamo veneziani e poi cristiani».
Tutti passarono da qui gli esempi di queste virtù singolari: la festa odierna è la continuazione di un antico patriottico costume.
Come sul Campidoglio giungeva il corteo dei trionfatori, recando le spoglie dei popoli vinti, qui al cospetto della Torre di S. Marco, approdavano le navi recanti l'annunzio delle vittorie veneziane e le spoglie delle città conquistate.
Dalla Torre di S. Marco fu veduta la nave, che portava la prima notizia della resa di Costantinopoli, quando alle armi di Venezia si univano quelle dei Crociati di Francia, che ritornando in patria con le nuove ispirazioni dell'arte, fecero sorgere le cattedrali del 300, la più mirabile creazione del Medio Evo.
Dalla Torre di S. Marco partì il primo saluto alle galere, che combatterono e vinsero la prima grande battaglia navale del mondo cristiano. Da qui fu salutato il ritorno di un conquistatore pacifico e non meno glorioso, di Marco Polo «Totius orbis et Indiae peregrinator prius».
Tutte aveva vedute la vecchia Torre di San Marco le glorie e le sventure di Venezia, tutte le solennità della religione, della politica, della vita e dell'arte, fino al sorgere della bandiera bianca, tristemente spiegata, per segnare la caduta della città, dopo l'eroismo di Daniele Manin.
Mille anni di storia si svolsero ai piedi del Campanile: qual meraviglia, se lo spirito dei veneziani non poté rassegnarsi alla sua improvvisa scomparsa?
Crollata la torre non cessava soltanto la voce che chiamò il popolo ai riti del suo maggior tempio, ma la voce abituale ed amata di tutta la vita pubblica veneziana. Quando le altre campane sonavano nelle ore solenni, il canto della marangona ne dominava sempre le voci e vibrava più lungamente nella distesa del cielo, come nell'animo dei cittadini.
Risorga adunque il gigante, che vide giungere le galere vittoriose, cariche di oro e di gloria, si aderga ancora superbamente a spiare come una vedetta nello spazio lontano i fati della patria.
La sua storia è pure quella d'Italia; ed a buon diritto vogliono i veneziani che il segno antico di queste memorie riviva e parli nella originaria forma e nel luogo in cui lo videro e l'amarono sempre.
Il voto di Venezia è esaudito: la prima pietra è posta, il colosso caduto si risolleva e con esso tutte le forze e tutte le speranze di Venezia. Ora più che mai il grido di «Viva San Marco» suona come un augurio di nuova gloria come un inno alla religione della Patria.
   
|Torna alla pagina del campanile di San Marco|