I Panare della Guayana
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  Una etnia poco conosciuta, ricca di contraddizioni, destinata all'estinzione

Viaggio effettuato nel 1987



Il sentiero allagato che porta verso il villaggio Panare
Ci addentriamo nel territorio degli indios Panare quasi per caso.

Avevo avuto delle generiche indicazioni sull'esistenza di questo gruppo etnico originario della Sierra de la Cerbatana, tra il Rio San Pedro ed il Rio Cuchivero, nello stato Guayana del Venezuela.

A Maniapure mi avevano detto di seguire una certa strada, ma se non fosse stato per un indio intravisto mentre scompariva nella selva, mai saremmo riusciti ad individuare il sentiero che portava verso uno dei loro insediamenti.

Camminiamo, si fa per dire: dopo un tratto iniziale di fango scivoloso, l'acqua arriva alle ginocchia: sembrava di essere ad un guado, il guado di un fiume che non terminava mai.

Ed è proprio qui, quando ormai alcuni di noi pensavano di ritornare sui loro passi, che incontriamo un piccolo indio: avrà circa tredici anni e dice di chiamarsi Andres.


Andres, il giovane Panare che ci condurrà al suo villaggio
Non è molto loquace, ma soprattutto è difficile seguire la logica dei suoi discorsi.

"Sono molti i Panare qui?"

"Sì, sono moltissimi, là e là e là - ed indica tutti i punti cardinali - siamo tutti Panare."

"Ma quanti Panare ci sono?"

"Uno solo è Panare, mio padre."

Andres sarà comunque una guida preziosa senza la quale probabilmente non saremmo riusciti a stabilire un contatto con questa realtà. Decidiamo di seguirlo e dopo un'ora di cammino durante la quale non riusciamo più a scambiare neppure mezza parola giungiamo ad un villaggio.


Una capanna isolata



Un gruppo di capanne costituiscono il villaggio Panare

Più che di un villaggio si tratta di case sparse, anche a distanza discrete le une dalle altre, che gravitano attorno al centro della comunità.
Architettonicamente non è più omogeneo, influenzato dalla civilizzazione che avanza sempre più prepotente; è un villaggio "mestizado", cioè imbastardito: accanto alle capanne tradizionali, che dimostrano l'abilità dei Panare a lavorare il legno e le foglie di palma, troviamo con disinvoltura coperture in eternit ed in lamiera ondulata.

In genere la struttura portante della capanna è costituita da una serie di tronchi, piantati nel terreno, collegati con legni trasversali: tutto è coperto da elementi ricavati da foglie di palma.

Le capanne, per uno stesso nucleo famigliare, possono essere più d'una, specializzate in diverse funzioni: c'è quella completamente chiusa, senza aperture, ad eccezione di una piccola porta d'ingresso, adibita a zona notte coniugale. Può esserci quella per la vita di giorno, che comprende anche la zona cucina: in questo caso è chiusa su tre lati, mentre il quarto, il principale, è sprovvisto di pareti; oppure può essere costituita solo da un tetto spiovente, inclinato, che scende fin quasi al suolo, con tutti i lati aperti.

A volte il nucleo famigliare, quando è piccolo, può avere una sola capanna: la zona notte è protetta dalle pareti ed è collegata ad un prolungamento esterno dove si svolge la vita quotidiana.
Spesso sulle travi trasversali che sostengono il tetto sono posti dei graticci che fungono da ripostigli.

Non è raro, e non sono riuscito a capire se addirittura si tratti di una regola, trovare le donne riunite assieme in una zona della capanna o sotto una tettoia, separate dagli uomini, ed in ogni caso in posizione più nascosta e protetta.


Capanne nel villaggio Panare



Uomini Panare, il più anziano con due cerbottane



Il sebuchan (o sebucian)

Il costume dei Panare è uguale per uomini e donne e consiste in una fascia di stoffa arancione scuro, quasi marrone, arrotolata ai fianchi, dalla quale pendono dei fiocchi fatti a pompon; le donne, in aggiunta, portano delle collane di perline.

Alcuni giovani si dipingono delle righe sul corpo: per eseguire le decorazioni corporali, usano il frutto dell'onoto, i cui semi hanno caratteristiche simili a quelli dell'achote, ma a differenza di questi ultimi devono venire essicati per essere poi macinati: se ne ricava una polvere che colora di rosso, usata anche in cucina.

Vedo anche una ragazza con il viso completamente dipinto di rosso.

La difficoltà di comunicare con loro, ci costringe a fare solo delle ipotesi sulle ragioni di questa decorazione, che evidenzia la diversità della ragazza: sicuramente indica un particolare status personale, forse legato ad una cerimonia in occasione della pubertà, o forse ad un fidanzamento o ad una purificazione iniziatica.

Il fidanzamento fra due giovani Panare si celebra nella casa della giovane, presso la quale il ragazzo va a vivere per due anni. Durante questo periodo di prova, lui deve dimostrare ai futuri suoceri di saper cacciare e lavorare in modo da garantire un buon livello di sicurezza alla vita della promessa sposa.

Trascorsi i due anni, i due giovani potranno andare a vivere da soli nella capanna che avranno costruito.

L'orto è sempre presente attorno ad ogni nucleo famigliare Panare.

Oltre alla coltivazione ed alla pesca, i Panare si dedicano anche alla caccia, che praticano con le loro temibilissime cerbottane.

Queste sono ricavate da un unico pezzo di legno forato e levigato in corrispondenza dei nodi. Il veleno viene impiegato solo per animali di grosse dimensioni: cinghiali e tapiri; per gli uccelli non viene usato il dardo avvelenato.

Pur essendo giunto il fucile fra loro, non ne fanno ancora uso per la caccia: infatti, in presenza di animali in branco, consentirebbe l'uccisione di un solo capo, perché il rumore dello sparo metterebbe in fuga gli altri, mentre la cerbottana uccide in maniera silenziosa.

I Panare costruiscono anche alcuni oggetti d'artigianato: "sebucianes", che sono delle specialissime presse dalle quali ottengono contemporaneamente la farina di yucca ed un liquido che, fermentando, diventa una bevanda alcolica; delle specie di ventagli per ravvivare il fuoco; vassoi ovali sostenuti da delle gambe corte che le donne usano per tenere il cotone mentre lo stanno tessendo o filando, o per appoggiare il "casale", una specie di pizza secca di manioca che lasciano fuori della capanna, perché chi vuole mangiarla se la possa prendere; grandi ceste di palma per il trasporto di oggetti o cose.


Giovane Panare



Donna Panare



Cacciatori Panare



I Panare e la bicicletta

I Panare hanno anche sviluppato una primitiva forma artistica nell'artigianato, con la fabbricazione di "wapas" rotonde: tagliano lo strato superficiale di una canna che loro chiamano "mananquè" in strisce sottili ed uniformi che intrecciano in forme differenti: alcuni "wapas" raggiungono anche il metro e mezzo di diametro.

Esistono inoltre il "tyamin tuwau", che è un disegno geometrico astratto senza apparente significato, ed altri disegni figurativi, alcuni dei quali con motivi della civiltà creola: per ottenere questi disegni usano il rosso, il nero ed il colore naturale del "mananquè".

I Panare evitano i rapporti con la nostra civiltà e la maggior parte di loro abita le aree remote dell'alto Rio Cuchivero e del Cano Colorado.

Il loro idioma appartiene al ceppo etnico caribe e non parlano il castigliano: tuttavia sono riusciti a sviluppare un linguaggio rozzo e primitivo, con il quale riescono a comunicare quel poco che interessa loro con l'esterno come qundo, una volta ogni tanto, si spingono fino a Caicara per vendere le loro ceste e per comperare le provviste necessarie per integrare i loro raccolti.

I Panare, anche quando devono affrontare lunghi viaggi, preferiscono percorsi difficili, attraversando luoghi permanentemente alluvionati, in savane e selve. Non hanno alcun interesse a fabbricare ed usare canoe, che potrebbero essere d'aiuto per spostarsi lungo i fiumi navigabili. L'unico "bongo" (canoa) che possiede il gruppo più orientale, che abita lungo il Rio Zariapo, viene utilizzato solo come traghetto per attraversare il fiume da una sponda all'altra.

Fino a quando esisteranno i Panare?

I missionari cattolici li hanno conosciuti già da qualche centinaio d'anni: arrivavano fra qualche gruppo isolato o sbandato dove insediavano una missione attorno alla quale li aggregavano e naturalmente portavano loro la parola di Dio.

Adesso però altri bianchi percorrono i sentieri della selva. Visitano sistematicamente i loro villaggi, a volte vi si fermano per qualche tempo per imparare la loro lingua.

Gli uomini delle "Nuove Tribù" si infiltrano con discrezione tra i Panare, si presentano agli indios con mogli e figli, il che li fa accettare più facilmente: per l'indigeno è abbastanza incomprensibile che degli uomini, come appunto i missionari cattolici, possano vivere senza sposarsi e senza figli.

Gli uomini delle "Nuove Tribù", approfittando della conoscenza della lingua, traducono la Bibbia per gli indigeni: sono persone di profonde convinzioni religiose che rasentano il fanatismo, con una preparazione culturale assai povera. Regalano ai Panare oggetti dei quali non hanno mai avvertito il bisogno: fucili per cacciare (che per ora non usano), mine ed esplosivi per pescare, con gravi conseguenze sull'equilibrio della fauna ittica dei fiumi, biciclette e persino moto "enduro" per spostarsi nella selva.

Per quanto gli anziani mettano in guardia le loro genti da questa presenza che mette in gioco la loro stessa esistenza, è difficile sottrarsi da questo tragico baratto: assimilare la cultura occidentale, accettarne i valori morali, ripudiare le proprie tradizioni autoctone, considerate peccaminose ed immorali, per sottrarsi alla punizione di Dio.

Ed intanto le giovani indie sono rapite per essere avviate alla prostituzione nelle città, i villaggi sono al centro di grandi progetti di sfruttamento minerario e fluviale.

Viene il sospetto che dietro la voce di Dio si nasconda il fruscio dei dollari. Ed inevitabilmente di fronte ai dollari verrà il giorno in cui anche gli ultimi Panare spariranno.
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Pagina aggiornata il 16 maggio 2017.