Sono d'accordo in tutto col modo di vedere di
Luigi VianelliVoglio comunque fare due considerazioni, una sullo "status" giuridico del Protettorato e l'altra sul criterio su cui si basarono i decreti Beneš sulle espulsioni e le confische dei beni.
Quanto vengo a scrivere non influisce sulla mia generale adesione all'opinione di Luigi, vorrebbe solo fornire un chiarimento.
Il Protettorato di Boemia e Moravia non è da annoverare fra gli Stati satelliti della Germania nazista, in quanto non fu mai uno Stato, ma solo un'amministrazione. Il "governo" civile ceco, dal suo presidente (il tragico Emil Hacha) ai suoi ministri, era nominato dal Führer o, in subordine, dal “Reichsprotektor", e da essi i suoi componenti potevano essere revocati. Ogni disposizione di questo "governo" era soggetta all'approvazione germanica, per diventare esecutiva. La politica estera del Protettorato era svolta dal ministro degli esteri tedesco. La giurisdizione dei tribunali era esercitata solo nei confronti dei Cechi, essendo i Tedeschi, nel Protettorato, sottratti ad essa.
Oltre al ministero degli esteri, anche quello della difesa mancava. La "sicurezza" del Protettorato era affidata alle truppe germaniche; la piccola forza armata in uniforme ceca, denominata "Vládní vojsko" comandata dal tenente generale Jaroslav Eminger (Regierungstruppe des Protektorats Böhmen und Mähren"), composta da 12 battaglioni di fucilieri, svolgeva esclusivamente compiti di sicurezza statica o di guardia d'onore. Questa forza comparirà, verso la fine della guerra, anche in Italia a presidio di luoghi strategici sensibili (ferrovie, ecc...), ma verrà presto ritirata per le continue diserzioni.
Il Protettorato faceva parte del territorio doganale del Reich.
Faccio notare che anche i francobolli del Protettorato testimoniano il suo inserimento nell'area dei Reich germanico: dal 1942, oltre alla dicitura "Protektorat Böhmen und Mähren " / "Protektorát Čechy a Morava", compare quella di "Deutsche Reich" che si trasforma, similmente a quanto avviene sulle carte valori tedesche, in "Grossdeutsches Reich", nel 1944:
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In sostanza, il "governo" ceco amministrava, sotto occhiuto controllo, una proprietà germanica e, come qualsiasi amministratore, poteva essere "licenziato"con tutti i crismi giuridici, se il padrone era scontento.
L'industria (notevole quella degli armamenti) e l'agricoltura del Paese ceco erano completamente asservite ai bisogn del Reich.
Le "rogne" ai Cechi, il potere ai Tedeschi. In vista della completa germanizzazione del territorio.
A proposito, poi, delle espulsioni del dopoguerra, esse si basarono su un criterio giuridico che teoricamente non era etnico o razzista. Si basava, a proposito della popolazione dei Sudeti, sulla condotta tenuta
notoriamente (e qui c'è il vulnus giuridico) a favore dei Nazisti. Ci si basò anche, però, su fatti oggettivi, come l'iscrizione a formazioni (civili o militari) naziste. Per la popolazione germanica che viveva, anche dopo Monaco, all'interno del Protettorato, ci si basò sulla loro "denuncia" di nazionalità tedesca, fatta dopo il 15 Marzo, per avere i vantaggi (ma anche gli oneri: il servizio militare, ad es.) spettanti, nel Protettorato, ai cittadini tedeschi.
Questo non inficia affatto la mia adesione alle osservazioni fatte da
Luigi Vianelli sopra. Con questi criteri si colpiva quasi tutta la popolazione tedesca della rinata Cecoslovacchia, ma resta il fatto che circa 200.000 Tedeschi rimasero nel territorio dello Stato cecoslovacco, evitando l'espulsione.
Scrivo queste osservazioni (noiose, lo so) pur condividendo in pieno quanto scrive
Luigi: la politica di vendetta per torti subiti non risolve i problemi, anzi, quasi sempre li aggrava.

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