Riccardo Amarante ha scritto:...almeno dimmi che storia c'è dietro al Dott. Avv. Peppino Garibaldi Parcoli...
Beh, qui sfondi una porta aperta. Credo che la storia di questo noto personaggio del nostro Risorgimento sia alquanto risaputa, anche se presenta dei lati ancora oscuri e controversi. Comunque eccola qua, sperando che io non faccia troppa confusione.
Caro Riccardo, devi sapere che, all'epoca in cui il più noto Garibaldi era appena un ragazzino che giocava per le strade di Nizza, rimase purtroppo orfano di padre. Ovvero, questo non è storiografiamente accertato, un giorno il papà, il signor Antonio Garibaldi, per porre fine ad una unione matrimoniale all'interno della quale non si riconosceva più, si imbarcò su un piroscafo postale in servizio tra Nizza e Genova come mozzo di quartordine e da lì partì per le lontane americhe. Nascerebbe da qui, infatti, la leggenda dei Garibaldi e dei due mondi.
La signora Maria, madre di Garibaldi (che faceva anch'essa Garibaldi di cognome, essendo cugina del marito) rimase così sola a Nizza, in quanto venne ripudiata tanto dai suoi genitori quanto dai suoceri/zii.
Per un po' riuscì a tirare avanti in maniera più che decorosa, grazie ai favori di una prozia possidente che, impietosita, l'a prese sotto i suoi favori. Fu alla morte di questa che la vita della Signora Maria ebbe una svolta. Trovatasi di colpo in ristrettzze economiche, infatti, fu costretta ad accettare quei compromessi che la vita spesso ci impone. Si mise a lavorare come imbianchina presso i cantieri navali dell'Ing. Parcoli, con sede a Nizza. era, tuttavia, un lavoro duro, brutale. Non era semplice tinteggiare gli scafi delle navi in un ambiente malsano ed esposto a tutte le intemperie. Ma lei faceva ciò per l'unic amore che le era rimasto: suo figlio Giuseppe che cresceva sano e robusto. Un figlio che non le aveva mai dato nessuna preocupazione tanto era obbediente. Fu proprio per questa sua arrendevolezza nei confronti della madre che i compagni lo soprannominarono "Peppe Obbedisco", nomignolo che gli rimase addosso per sempre.
Ma crescendo si cambia. Un triste giorno, Giuseppe si invaghì di una poco di buono, una sudamericana di nome Anita che lo distolse dalla retta via e lo convinse ad imbarcarsi con lei alla volta dell'Africa Australe e, da lì, per l'Uruguai, alla ricerca del padre che aveva sempre considerato morto.
Maria si sentì persa senza il suo Giuseppe, specie quando ricevette una lettera iriferiva in cui il console piemontese a Montevideo le riferiva che, tale Giuseppe Garibaldi, alla testa dì un manipolo di rivoluzionari locali, venne ferito ad una gamba perdendo colà la vita (la nota ferita del nostro Eroe, riasle infatti a quel periodo, e non in Aspromonte, dove avvertì solo un riacutizzarsi del dolore dovuto all'mportante cicatrice).
Seguirono giorni di pianto e di dolore straziante per la povera donna che si trovò, per l'ennesima vota, sola al mondo. Questo fatto mose a compassione il figlio dell'armatore, Sereno Parcoli, che, piano piano si invaghì di lei, sebbene fosse sposato.
Da questa unione, tenuta sempre celata, dopo due anni nacque un bimbo a cui la madre impose il nome di Peppino le diede il suo cognome, Garibaldi, appunto.
Tutti in città sapevano chi era il padre che, in realtà, non si sottrasse ai suoi doveri genitoriali, sebbene non poteva sposarne la madre.
Ma fece studiare il piccolo nelle migliori scuole del Regno e ne tirò fuori un apprezzato Avvocato.
Alla morte del padre, questi, lasciò a lui ed allla madre anche una piccola proprietà terriera nell'Isola di Caprera. Non che ne avesse bisogno: Peppino era oramai un affermato professionista. Ma ciò, nelle volontà del padre, doveva servire a riparare ad un antico torto. Fu infatti nel testamento che ne riconosceva la paternità. Fu così che Peppino decise allora di aggiungere il cognome del padre a quello della madre, senza null'altro a pretendere delle cospicue fortune legate ai cantieri Parcoli.
La casa di Caprera fu il rifugio per l'anziana madre che si traferì laggiù allorché un giorno, alla fine di una vita fatta di peripezie reiterate, fece ritorno Giuseppe, il figlio che lei non aveva mai smesso di piangere. Peppino ebbe così l'opportunità di conoscere quel fratello cui doveva il nome e con cui condivideva il cognome.
I due si frequentarono poco dal giorno della morte della madre, anche se i rapporti furono più che fraterni. Ma le attività professionali tenevano sempre più Peppino lontano, tra Torino, Lione e Parigi, e poi il mare lo intristiva, mentre Giuseppe vi trovò ristoro per il resto dei suoi giorni.
I discendenti di Peppino ancora vivono a Caprera. Uno di loro porta anche il nome dell'antico progenitore di cui ha proseguito la carriera forense, al pari del padre, del nonno e del bisnonno.
La casa, invece, per motivi politici e risorgimentali passa, oggi, come casa di Giuseppe, anche se questa è l'ennesima mistificazione storica che aleggia su questa straordinaria famiglia.