Nel 1990, durante l’ultimo biennio del suo mandato, il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga eliminò l’emblema repubblicano dalle insegne presidenziali, manifestando il suo dissenso verso un simbolo che, a suo dire, rappresentava il “socialismo reale”. Usando questo termine, coniato dal capo del Cremlino Breznev, l’allora Presidente Cossiga volle fare un esplicito riferimento al comunismo dell’Unione Sovietica, introducendo una ulteriore interpretazione postuma, che si aggiunge a quelle che vedono nell’emblema anche un riferimento alla massoneria.
Prima di esporre le analisi di riscontro sulla plausibilità di tale affermazione, è importante precisare che nei resoconti del dibattito parlamentare che precedette l’approvazione dell’emblema non si rilevano obiezioni di carattere ideologico/politico, in quanto il dibattito fu incentrato su argomentazioni di carattere puramente estetico/artistico.
Per cercare un riscontro logico sulle affermazioni del Presidente Cossiga ho creato una specie di grafo orientato (non pesato) che include ogni possibile relazione tra personaggi storici ed elementi simbolici che in qualche modo sono riconducibili ai simboli raffigurati nell’emblema repubblicano, ossia i rami incrociati di ulivo e quercia, la stella a cinque punte e la ruota dentata (Fig.1).
Iniziando dai rami di ulivo e di quercia, appare evidente una relazione con la bandiera della Repubblica Romana del 1849 all’interno della quale erano appunto raffigurati un ramo di ulivo ed un ramo di quercia, espressione simbolica del motto mazziniano “Dio e Popolo”. Nella traslazione sull’emblema della Repubblica Italiana il significato del ramo di ulivo viene cambiato in simbolo della pace, mentre il ramo di quercia mantiene il suo riferimento originario al popolo. La relazione con questa bandiera, che reca con sé un riferimento al risorgimento e alla repubblica, è coerente con la visione dei padri costituenti indipendentemente dalla loro appartenenza politica, così come è coerente con lo spirito costituente anche la relazione, non priva di discordanza di vedute, tra Giuseppe Mazzini, triumviro della Repubblica Romana e Giuseppe Garibaldi, che partecipò attivamente alla difesa militare del Gianicolo, episodio richiamato anche nel francobollo commemorativo emesso nel 1949 dove è raffigurata la villa del Vascello, divenuta simbolo di questa strenue difesa (Fig.2).
Ma è proprio da Garibaldi, repubblicano di ideali ma fedele alla monarchia sabauda, che si originano una serie di relazioni incrociate che associano questa figura “eroica” ad interpretazioni sovrapponibili, talvolta in apparente contrasto tra loro. Ad esempio, è evidente che Garibaldi fu celebrato come simbolo del risorgimento e artefice dell’unificazione durante tutto il Regno d’Italia, compreso il ventennio fascista. D’altro canto, la fama di Garibaldi come “rivoluzionario” difensore del popolo ed il suo avvicinamento all’Internazionale Socialista di Marx, ne fece un’icona della “Brigata Partigiana Garibaldi”, l’organizzazione combattente del Partito Comunista Italiano che ebbe un ruolo determinante nella guerra partigiana di liberazione. Ed è proprio da questo nesso logico che probabilmente derivano le dichiarazioni del Presidente Cossiga, che cercherò di spiegare con l’aiuto delle immagini e delle frecce che definiscono la consequenzialità delle correlazioni e le sovrapposizioni dei significati simbolici.
Inizio dalla bandiera della Brigata Partigiana Garibaldi, costituita dal tricolore con al centro una stella rossa dai contorni gialli che non è un riferimento alla stella d’Italia, bensì alla stella della bandiera dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche posta alla sommità della falce e martello. La stella dell’Unione Sovietica a sua volta deriva dal pentalfa ricavato dall’unione dei v
ertici dell’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci, che venne adottato da Marx ed Engels per rappresentare il riscatto dell’uomo alienato dal sistema capitalistico che riconquista la propria identità sociale attraverso la lotta di classe (cfr. “Manoscritti economico-filosofici” del 1844).
Questa sovrapposizione di significati è all’origine dell’ambiguità simbolica della stella a cinque punte associata all’icona di Garibaldi. Infatti, questa immagine, peraltro già adottata in molte illustrazioni patriottiche durante il cinquantesimo Anniversario dell’Unità d’Italia, divenne anche il simbolo politico del “Fronte Democratico Popolare per la libertà, la pace e il lavoro”, la coalizione dei partiti socialisti e comunisti che si presentarono alle elezioni politiche del 1948. In quest’ultimo simbolo, di matrice chiaramente ideologica, la stella verde in campo bianco con il berretto rosso di Garibaldi, rimandavano al tricolore nazionale ma anche alla bandiera della Brigata Partigiana Garibaldi. La stessa effigie di Garibaldi assumeva il doppio significato di icona del risorgimento e di rivoluzionario difensore dei diritti del popolo e vicino all’ideale marxista. Infine, anche la stella a cinque punte assumeva una connotazione ambigua che rimandava sia alla stella d’Italia che alla stella della Brigata Garibaldi di ispirazione sovietica.
A loro volta le parole “popolare”, “lavoro” e “pace”, che comparivano nel nome esteso della coalizione socialista e comunista del Fronte Popolare, rimandavano ai simboli del ramo di ulivo (pace), del ramo di quercia (popolo) e della ruota dentata (lavoro) presenti nell’emblema nazionale.
Fu probabilmente la sovrapposizione di tutti questi significati che indusse Cossiga ad assimilare l’emblema repubblicano al socialismo reale, affermazione che, sebbene suffragata dalle precedenti congetture, non è supportata da elementi storici che facciano supporre una intenzionalità da parte di quanti parteciparono alla selezione del bozzetto e da parte dei deputati dell’Assemblea costituente che lo approvarono. Viceversa, non è possibile escludere che fu proprio il simbolo del Fronte Democratico Popolare, essendo stato creato successivamente, che trasse ispirazione dall’emblema nazionale, caricandolo di tutti quei riferimenti riconducibili al “socialismo reale” denunciati da Cossiga.
Indipendentemente dalla fondatezza di quanto esposto, resta il fatto che l’emblema repubblicano, per motivi estetici o per motivi politici, fu relegato alla mera funzione di “sigillo di Stato”, divenuto familiare agli Italiani per la sua presenza negli atti della Pubblica Amministrazione e nelle marche dei monopoli, piuttosto che come simbolo rappresentativo dei valori della nostra Costituzione. Tuttavia, in tempi più recenti, anche l’emblema repubblicano beneficiò del superamento delle forti contrapposizioni ideologiche che attraversarono tutto il XX secolo. Infatti, dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica e la svolta politica del PCI, l’Italia intraprese un lento processo di accettazione e valorizzazione dei simboli identitari nazionali, iniziato dal Presidente della Repubblica Ciampi e protrattosi fino ai giorni nostri.
Come spesso accade, anche nei francobolli si possono rilevare le tracce di questo processo, ad esempio negli alti valori in euro emessi a partire dal 2002 (Fig.3), dove l’emblema repubblicano viene “liberato” dal mascheramento grafico delle emissioni precedenti.
Una testimonianza palese del compimento di questo cambiamento culturale, si riscontra nel francobollo emesso nel 2016 per celebrare 70° anniversario della Repubblica (Fig.4), dove l’emblema repubblicano compare insieme all’immagine della Pattuglia Acrobatica Nazionale che sorvola il Vittoriano, dipingendo nel cielo il tricolore. Una coreografia che associa la Festa della Repubblica all’unità d’Italia ed alla parata dei Fori Imperiali di Roma, durante la quale sfilano i corpi delle Forze Armate, le rappresentanze dei partigiani, i corpi ausiliari della protezione civile e i volontari della Croce Rossa, a testimoniare il raggiungimento di una certa maturità della nostra ormai “meno giovane” Repubblica democratica fondata sul lavoro.
Rev LB Nov 2021
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