Quello che tu scrivi è un dato di fatto incontrovertibile.
Non tutti possono raggiungere la vetta.
Ma succede in tutti i campi.
Avrei voluto essere un grande giocatore di basket ma non raggiungendo il metro e settanta mi sono accontentato di fare, in gioventù e solo per qualche anno, l'arbitro di quel bellissimo sport.
Avrei voluto fare il terzino di una grande squadra di calcio ma, non avendo la cattiveria per riempire di calci i miei avversari, ho fallito tutti i provini.
Avrei voluto vincere i massimi premi nelle esposizioni filateliche ma, non potendomi permettere acquisti troppo costosi, mi sono limitato - con una mia collezione sul francobollo più comune degli Antichi Stati Italiani - a ricevere la "Medaglia Diena di studio e ricerca".
Eppure non ho mai invidiato chi era più alto o più cattivo o più ricco di me.
Dedicati con tranquillità alla filatelia, può darti tante soddisfazioni.
Magari saranno differenti da quelle provate da chi va in smoking a ricevere un Gran Premio Internazionale con brillanti ma non essere sicuro che siano a quelle inferiori.
Cordiali saluti.
Antonello Cerruti”
A me la storia è piaciuta: ringrazio per averla condivisa. Ho avuto modo di leggere altri scritti di Antonello Cerruti e sono interessanti.
Mi permetto di condividere un pensiero in merito alle motivazioni per cui ci si possa spingere ad appassionarsi alla storia postale, per evitare eventuali intrinseche generalizzazioni.
Premetto di esser giovane (relativamente all’ambiente), di essermi accostato da poco alla storia postale, di non conoscere Antonello Cerruti che stimo a prescindere in quanto mi sento empaticamente vicino a quanti che s’impegnano per la divulgazione attraverso la condivisione del proprio sapere.
Poco fa ho letto il desiderio e l’ambizione di Antonello Cerruti, che devono averlo inspirato e motivato alla grandezza, ma in loro proprio non mi ci riconosco.
Questa ambizione sembra essere comunemente riconosciuta quale scintilla e motore necessari a cimentarsi ad opere grandiose, quasi fosse imprescindibile per sognarle, progettarle, osarle e realizzarle.
Sia ben chiaro: lo affermo senza alcun senso di critica ad Antonello Cerruti. Non scrivo perché io mi sento migliore o peggiore di altri: sono e mi sento un uomo comune come tanti.
In vero, la motivazione che mi spinge a scrivere è fornire la testimonianza di un modo diverso di collezionare che non trovi realizzazione nell’acquisizione di pezzi importanti, ma nel piacere di apprezzare quanto si è fatto e si sta facendo in ambito collezionistico.
Non nell’avere, dunque, ma nell’essere collezionisti.
E’ chiaro che per comprendere un oggetto postale nel suo valore storico postale è necessario profondo studio e tanto materiale da poter esaminare, confrontare, valutare, per il quale risulta comunque necessario avere una discreta capacità economica a disposizione per effettuare gli acquisti necessari.
Di qui mi collego a quanto suggerisce Francesco75, che nel suo intervento asserisce : ”Si parla tanto di far avvicinare i giovani alla filatelia, ma non si dovrebbe dimenticare che il "Collezionismo di Francobolli e/o Storia Postale" è prevalentemente per le persone ricche e facoltose”.
Per il mio modesto modo di intendere la filatelia e, nello specifico, il modo di collezionare non è necessario un ingente capitale da investire in esosi acquisti, esattamente come non ho il desiderio di divenire “un grande giocatore di basket.. o il terzino di una grande squadra di calcio..”, perché il piacere di vivere la mia passione in se è sufficiente a ripagarmi, senza la necessità di dovermi confrontare con gli altri in merito ad una competizione od ad attendere il plauso del pensiero dominante.
Siam tutti coscienti del pensare comune per il quale il possesso di un pezzo prestigioso sembra trasmettere prestigio persino al suo possessore.. ma quanti di noi si fermano a riflettere sull’effettiva natura (vera o illusoria) di questo diffuso atteggiamento collezionistico?
Grazie al caso (sono ateo, non scrivo grazie a dio) il mio modesto modo di vivere mi suggerisce che non è necessario possedere pezzi d’incommensurabile valore per potersi sentire appagati dal proprio collezionare.
Caso diverso sarebbe invece se, qualora collezionare non contempli in se il piacere dell’appagamento, questo lo si vada cercando nel plauso del pensiero dominante.
Trovo l’ambizione limitante e fuorviante: limitante, in quanto collezionismo è ciò che facciamo e non ciò che desideriamo di fare, e fuorviante in quanto sposta l’attenzione da ciò che facciamo davvero (che ha un valore perché è la realtà) a quanto vorremmo fare (che non è altro che illusione).
Nutro profondo rispetto per un pensare diverso dal mio e con queste righe non intendo convincere nessuno: non è una questione intellettiva, non è un’opinione, ma un modo di essere (non migliore ma solo differente).
Esistono svariati esempi che si posson fare in merito. Se invece di scrivere stessi parlando confidenzialmente con chi sta leggendo, allora mi permetterei di far parallelismi con l’arcinoto senso di inadeguatezza maschile sulle dimensioni della propria sessualità

Tutti posson sentirsi inferiori di fronte a confronti con note e rare eccellenze (è umano), ma cosa conta veramente e su tutto, se non il piacere di apprezzare quel che si ha e che si è?
In ultimo, a margine delle mie modeste considerazioni, ci tengo a precisare che mi rifiuto di credere (ma potrei sbagliarmi) che raccogliere una modesta collezione corrisponda necessariamente ad accontentarsi. Questa insinuazione è possibile solo in cuore a coloro che non hanno passione in quel che fanno, perché se lo amassero sarebbero felici ed è risaputo che chi è felice non ha modo di non credere nella felicità altrui o, persino, di desiderare altro.
Un abbraccio
