Se perfino Benjamin si scusa per le sue possibili “scemenze”, allora io – che non ho neppure un milionesimo delle sue conoscenze – mi ritengo scusato a priori e vado a raccontare anche la mia, di storiella. Dunque:
Il 1° giugno 1850 il prete incaricato di spedire la posta del Seminario di Padova trova sulla sua scrivania, come sempre, tutte le lettere scritte (non necessariamente da lui) il giorno prima; siccome sa che quel giorno entra in vigore quella strana novità dei “bollini” per affrancare la corrispondenza, manda qualcuno a comprarne un po’, di vari tagli, tanto con tutta la roba che spedisce ogni giorno gli serviranno.
Quando glie li portano, controlla quali lettere vadano affrancate; chi ha scritto quella per Montagnana ci ha messo sopra “d’ufficio” perché intendeva farla passare per franchigia, ma il nostro “don” – persona ligia al dovere – sa che non c’è franchigia quando si scrive ad un privato, e decide di affrancare la lettera. Già, ma con quale bollino? Ovvio, col 10 centesimi, perché Montagnana dista meno di 10 leghe (poco più della metà, 38,7 km.); appone quindi il bollino al verso, a mo’ di chiudilettera, come ha sempre fatto con la ceralacca fino al giorno prima (concordo con Francesco sul fatto che se il 3 giugno l’Amministrazione delle Poste sente la necessità di diramare una circolare per chiarire che quella prassi non è corretta dovevano aver rilevato che quell’uso era – se non generalizzato – perlomeno molto diffuso).
Arrivato alla posta, il nostro si accorge che l’impiegato ha tassato la lettera, e protesta:
- No, guardi, c’è il francobollo, è dietro!
Il postale la gira, vede il francobollo da 10 cent., e ribatte:
- Sì, ma non basta, ce ne vuole un altro da 5 centesimi.
- Ma come, Montagnana dista meno di 10 leghe!
- Certo, ma non appartiene al distretto postale di Padova, quindi ci vogliono lo stesso 15 centesimi e lei deve integrare l’affrancatura.
- Allora vorrà dire che la differenza la pagherà il destinatario!
L’impiegato modifica allora la tassazione: cambia il 3 della tassa per affrancatura mancante in 1 e il totale da 6 in 4.
A questo punto, però, lo assale un dubbio (difficile credere che già il 1° giorno d’uso dei francobolli a tutti gli impiegati fossero assolutamente chiare tutte le nuove procedure): ma si può accettare una lettera sottoaffrancata? E se valesse anche per le lettere la stessa regola vigente per gli stampati? (per i quali, si sa, fino al 31/12/1857 l’affrancatura insufficiente era inammissibile e dovevano essere tassati come “non affrancati”). Boh! “Sbagliare per sbagliare, meglio farlo a favore dell’Amministrazione e non dell’utente, così anche se non fosse giusto avrò di sicuro meno grane”, decide il postale, e informa il prete che dovrà tassare la lettera per intero; e l’altro: “Faccia pure!”.
L’impiegato cancella allora la prima tassazione, la riscrive a destra (3 / 3 / 6), appone il timbro nominativo non sul francobollo (non poteva farlo, visto che non lo aveva considerato valido), ma accanto ad esso, e lo demonetizza con tratti di penna. Perché? Anche questo è un errore, ovviamente, ma si conoscono – anche se di molti anni dopo – parecchie affrancature con fiscali nelle quali, pur non essendo state considerate valide le marche da bollo (lettere tassate o con l’aggiunta dei francobolli) sono state comunque demonetizzate a penna. Quindi, avrebbe potuto comportarsi nello stesso modo anche l’impiegato padovano di questa storiella.
Restano i dubbi sollevati da Massimiliano, e non solo, circa le condizioni del francobollo (macchie e segni di un possibile annullo) e tutte le altre circostanze (ritrovamento tardivo, “desiderio” – in senso economico… - di costruire una rarità assoluta, ecc.) che giustificano l’ipotesi di un artefatto.
Se non avrò contribuito alla soluzione del mistero (e non lo credo proprio!) spero almeno d’avervi fatto sorridere!
Corrado