All’imperatore Augusto viene unanimemente attribuito il merito di aver fatto riparare e costruire grandi strade e di aver stabilito ordinamenti della posta tanto avanzati da costituire una delle glorie indiscusse dell’antica Roma.
La viabilità, per opera dei romani, divenne sviluppatissima; oltre le quindici grandi vie militari, vi erano le strade traverse, i diverticoli pubblici e privati, i cosiddetti ramuli, le vie consorziali ed innumerevoli sentieri. Le campagne erano attraversate da una fittissima rete di strade ben mantenute dai curatores e dai procuratores, oltre che dai privati. Queste erano le vie di comunicazione, spesso fiancheggiate dai grandi acquedotti, lungo le quali ebbe vita e sviluppo la posta.
Ma ancora prima delle modifiche imperiali volute da Augusto esisteva un servizio postale nella Roma repubblicana; ne sono prova i veloci corrieri a cavallo che Giulio Cesare stabilì in Gallia e le descrizione che Tito Livio ci lasciò della istituzione esistente allora, quando ci tramanda delle lettere inviate da Ottacilio, pretore della Sicilia, per informare il Senato romano della minaccia rappresentata dalla flotta cartaginese.
E nelle pagine del De Bello Civili troviamo scritto, a proposito di una legione che presidiava Messina, che si sarebbero l’una e l’altra trovate in pericolo se non “…eo ipso tempore quidam nuntii de Cesaris victoria per dispositos equites essent allati ” (“…fossero giunte proprio in quello stesso momento alcune notizie relative alla vittoria di Cesare, portate dagli incaricati a cavallo “).
Non molto diversamente Cornelio Nepote, nel capitolo IV del suo Miltiades, racconta che gli ateniesi inviarono a Sparta una richiesta di aiuto affidata a Filippide “….cursorem eius generis, qui hemerodromoe vacantur” ovvero “un messaggero di quelli che si dice possano correre per tutto il giorno”.
Il complesso del servizio postale creato dai Romani prese il nome di cursus publicus, la cui sorveglianza era affidata al Prefetto del Pretorio, il quale aveva anche la responsabilità delle strade, dei depositi di grano e delle zecche.
Il Prefetto poteva contare sull’aiuto degli ispettori dei trasporti ( praefecti vehiculorum ), di speciali funzionari itineranti ( agentes in rebus ) e dei maestri di posta ( mancipes ). Vi era poi un corpo particolare incaricato di sorvegliare il funzionamento delle stazioni di posta, composto dai cosiddetti curiosi. Il cursus si divideva in celere e tardo; il primo serviva per trasportare persone e corrispondenza ed utilizzava delle speciali carrozze veloci tirate da cavalli, mentre il secondo si usava per l’invio di oggetti voluminosi e utilizzava carri più robusti, tirati da buoi. Tutta l’organizzazione del servizio faceva capo a Roma, mentre lungo le strade erano collocate le stationes o mansiones, dove si trovavano circa 40 cavalli, gli alloggiamenti dei corrieri ed i magazzini delle provviste.
Più piccole erano le mutationes che avevano in dotazione solo una ventina di cavalli.
La stazioni distavano un giorno di cammino l’una dall’altra, all’interno di tale spazio erano situate alcune mutationes che dovevano assicurare il cambio dei cavalli stanchi con animali freschi, limitando al minimo le perdite di tempo.
Gli agenti postali (cursores o tabellari) si servivano delle litterae evectionis, per reclamare, all’occorrenza, il diritto di ospitalità e di trasporto.
Questa organizzazione mirabile e colossale, era strumento esclusivo dello Stato; non mancano però notizie circa un servizio alternativo, aperto al pubblico.
Cicerone parla più volte di corrispondenza epistolare, distinguendo fra posta pubblica e privata.
Nelle Filippiche rimprovera Antonio di aver violato il cursus publicus intercettando corrispondenza altrui; fa anche menzione di un servizio privato quando ricorda la propria corrispondenza con gli amici Balbus e Coelius.
Antonello Cerruti
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