Il
complesso dell'Abazia visto dal Canale della Misericordia.
Questi luoghi prendono il nome dall'abbazia che esisteva presso la chiesa
abaziale di Santa Maria della Misericordia, detta anche in Val Verde,
dalla originaria denominazione dell'insula su cui fu costruita,
caratterizzata da un terreno particolarmente verde ed erboso.
Il
sotopòrtego lungo il rio de la Sensa che accede al campo de
l'Abazia.
Si accede al campo, con una bella pavimentazione in cotto con i
mattoni disposti a
spina di pesce, attraverso un sotopòrtego (sottoportico) ricavato
su di un lato della Scuola vecchia della Misericordia, oppure dal ponte
sul rio de la Sensa, ponte oggi in legno, ma una volta di maggiore
importanza.
Il
Campo de l'Abazia con il ponte sul rio de la Sensa nella xilografia
di Jacopo de' Barbari.
Il
ponte sul rio de la Sensa visto dal Campo de l'Abazia in una
incisione di Domenico Lovisa. Questo ponte sussisterà fino al
1752 («...conseguenza del rovinamento del ponte accaduto nel
1752»).
Se Domenico Lovisa ci mostra un ponte settecentesco in pietra, più
importante e particolare doveva essere quello che Jacopo de' Barbari ha
inciso nella sua celebre Veduta di Venezia a volo d'uccello del 1500: un
ponte arcuato con tre coperture, due per le rampe ed una più alta per la
parte centrale a cui si accede, dal lato del campo, attraverso un portale
gotico sostenuto da due muri laterali. Non si conoscono le ragioni della
demolizione di questo manufatto del quale possiamo farci solo una
pallidissima idea grazie ai segni xilografici del de' Barbari.
Il
ponte de l'Abazia oggi (2014).
Vergine
orante con Putto (XIV secolo).
Sulla fondamenta, sotto l'attuale
ponte in legno, sono ancora visibili tracce del precedente ponte in pietra
che abbiamo visto raffigurato dal Lovisa.
Tracce
del precedente ponte in pietra.
Le prime notizie che abbiamo sulla chiesa abaziale di Val Verde, o Santa
Maria della Misericordia, risalgono all'anno 936 (o 939) quando sarebbe
stata fondata da un Cesare
dei Giuli, detto Andreardo, oppure dalla sua famiglia assieme a quella
Moro.
A sinistra della chiesa vi era un piccolo cimitero e più in fondo,
verso la laguna, delle piccole casette abitate dai primi eremiti.
La chiesa venne poi retta da alcuni frati, forse dell'ordine degli Agostiniani, che cominciarono a fabbricarvi
un convento.
I monaci ne rinnovarono l'interno e forse in quell'occasione, tra il XIII
ed il XIV secolo, ne mutarono l'impianto complessivo.
Continuarono a mantenerla attiva fino al 1348, anno in cui i frati vennero
decimati dalla peste. L'unico a sopravvivere fu il priore che, prima di
morire, cedette lo juspatronato della chiesa a Luca Moro. Questi nel 1369
ottenne dal Patriarca di Grado Francesco Querini (Patriarca dal
1367 al 1372, poi beatificato) per sé e la propria famiglia il diritto in
perpetuo di eleggerne il priore (diritto che
mantenne fino al 1797).
Alla metà del XVI secolo (1651-1659) a spese del filosofo Gaspare Moro
venne rifatta totalmente la facciata. Il progetto venne commissionato al
bolognese Clemente Moli (circa 1599-1664), che aveva collaborato con Gian
Lorenzo Bernini e soprattutto era di casa nella bottega veneziana di Baldassare
Longhena. Alla mano del Moli si devono attribuire le statue allegoriche
collocate sulla facciata, come il busto del filosofo Gaspare Moro, il
committente, sopra il portale.
La
Chiesa abaziale di S. Maria della Misericordia, o di Val
Verde.
Complessivamente la facciata barocca assomiglia di più ad un monumento
funebre che ad una chiesa: è tripartita con la parte centrale disegnata
da due basamenti dai quali si innalzano delle doppie lesene che sostengono
in alto un timpano curvilineo sul quale è posta una statua della Madonna
che in origine era affiancata da due angeli.
Nello spazio centrale, davanti al rosone, è collocato il busto di Gaspare
Moro; sulle ali laterali troviamo, nell'ordine inferiore, due finestre ed
in quello superiore due cornici marmoree (quella di destra reca l'anno di
costruzione).
Ancora più a destra è collocato il bassorilievo bizantineggiante di una
Vergine orante con Putto ascrivibile al XIV secolo.
Alla caduta della Repubblica, la chiesa si presentava «...in notevole
deperimento...» ed a
seguito delle soppressioni napoleoniche venne spogliata quasi totalmente
delle opere d'arte.
Nel luglio 1828
l'abate Pietro Pianton (al secolo Angelo Pasquale) ottenne dalla famiglia
Moro lo juspatronato sulla chiesa: personaggio forse troppo osannato, e comunque
certamente dalla morale discutibile: «...ambizioso anzi che no...»,
fu spia degli austriaci per i quali, con tutta probabilità, giunse a
violare il segreto della confessione.
Tra il 1828 ed il 1864 il Pianton, grazie ai suoi influenti contatti,
riuscì a restaurare in qualche modo la chiesa rifacendone il pavimento,
facendovi tornare alcune opere che erano state disperse o vendute, abbellendola
con quelle provenienti da altri edifici religiosi distrutti o spogliati.
L'elenco di quello che fece entrare nella chiesa è lunghissimo; qui
ricordiamo solamente il complesso dell'altare maggiore, le spalliere ed i
sedili in marmi africani (da S. Mattia di Murano), due angeli e quattro
statue attribuite a Bartolomeo Bono, due di Alessandro Vittoria, un
medaglione del Sansovino, una statua di Antonio Rizzo (da S. Elena), una
di Girolamo Campagna (da S. Maria dell'Arsenale), il monumento di Alvise
Malipiero (da S. Maria Maggiore), il dipinto "Tobiolo e
l'Angelo" di Cima da Conegliano e poi ancora opere di Francesco
Ribera, Palma il Giovane, Padovanino, Giuseppe Angeli, Hans Holbein,
Alessandro Longhi, Giovambattista Tiepolo. In alcune casupole di
pertinenza dell'abbazia, che erano state liberate «...da misera ed
importuna gentaglia...», il Pianton aveva formato un piccolo
lapidario con pezzi e frammenti di epigrafi che aveva sottratto a chiese
veneziane sconsacrate.
Anche dopo la sua morte, avvenuta nel 1864, il suo successore
abate Millin riuscì a tenere aperta la chiesa.
Morto anche questi, la chiesa venne chiusa e la
famiglia Moro-Lin, a seguito di un processo, riuscì ad ottenerne la
proprietà con quanto in essa contenuto. E' evidente che i tesori che il
Pianton aveva raccolto, ed a volte pagato di tasca propria, rappresentavano
almeno i nove decimi di tutto ciò che era all'interno e erano estranei al
diritto di juspatronato che facevano valere i Moro-Lin.
Questi, tra il 1868 ed il 1882, vendettero tutti i tesori che racchiudeva
e poco mancò che la chiesa venisse demolita dalle fondamenta.
La
facciata della vecchia sede della Scuola Grande della Misericordia
in Campo de l'Abazia oggi.
Anche
per il timore che la chiesa potesse cadere in mano agli Evangelici, il
Patriarca di Venezia Domenico Agostini (1825-1891) volle acquistarla a
nome proprio con l'intenzione di farne donazione alla curia. La donazione
però non si perfezionò e così la chiesa passò agli eredi del cardinale
i quali, alcuni anni dopo, la vendettero.
Venne disperso quel poco che ancora la famiglia Moro-Lin non era riuscita
a vendere, ad eccezione del monumento sansoviniano di Alvise Malipiero, in
origine a Santa Maria Maggiore, che ancora vi si trova.
L'interno
della chiesa di S. Maria della Misericordia, o di Val Verde.
Con difficoltà venne riaperta saltuariamente a culto, per opera dei padri
Serviti che ne avevano assunto la cura, ma nel 1973 la abbandonarono
definitivamente e fu venduta, assieme al campanile, ad un privato, Nani
Sartorio. Questi la vendette nel 1980 a Roberto Benedetti.
La chiesa, con i locali annessi, venne adibita a magazzino/deposito di chincaglieria
e souvenir, mentre il campanile trecentesco, sempre di proprietà
privata, per un qualche tempo venne usato dal proprietario per «osservazioni
meteorologiche e astronomiche»!
Alcuni locali a fianco della chiesa sono stati ristrutturati per ricavarne
appartamentini e foresterie.
A sinistra della chiesa sorge l'edificio della vecchia Scuola Grande della
Misericordia il cui emblema «SMV» in caratteri gotici, con la «M»
sovrastata da una corona, ricorda l'altra più antica denominazione di
Santa Maria in Valverde. Lo stesso emblema, che è sorretto da due
confratelli della scuola sui fianchi della vera da pozzo al centro del
campo, si può ritrovare frequentemente sugli stabili della città che
erano di proprietà di questa scuola.
L'emblema
della Scuola di Santa Maria in Valverde della Misericordia.
La scuola, o confraternita, venne fondata nel 1261 ma bisogna attendere
mezzo secolo (1310) perché riuscisse ad ottenere dai frati agostiniani
il terreno ed il permesso di costruire una propria sede accanto alla
chiesa.
La sede subì subì vari ampliamenti e rimaneggiamenti, anche perché era
cresciuto il numero dei confratelli che vi aderivano, con in aggiunta la
costruzione di un ospizio ed una cappella.
Agli inizi del Quattrocento (1411-12) risulta costruita la Sala
dell'Albergo: l'attuale struttura della scuola risale al rifacimento quattrocentesco,
quando venne ridisegnato il coronamento mistilineo della facciata con
l'inserimento di una finestra circolare al centro in alto che alleggeriva
ed aggraziava la superficie in cotto. E' probabile che avesse un bel
rosone, ma tutto quello che è restato di questo occhio è il segno documentato sull'incisione del de' Barbari.
Sulla
facciata della Scuola vecchia il de' Barbari ha disegnato
una finestra ad occhio al centro in alto.
A questo stesso periodo risalgono anche le
finestre ad arco ogivale impreziosite da trafori marmorei: un interessante
contrasto tra il bianco candido della pietra ed il rosso caldo del
mattone.
Contrasto che doveva essere ancora più marcato dal portale marmoreo: il
primo portale tardo-trecentesco, in occasione dell'ultimo rifacimento
dell'edificio del 1451, venne rimosso e trasferito all'ingresso della
Corte Nova, dove c'era l'ospizio per i confratelli più poveri: qui lo possiamo vedere ancora oggi.
La
Madonna della Misericordia attribuita a Bartolomeo Bono, oggi al
Victoria and Albert Museum di Londra.
Il
portale tardo-trecentesco che un tempo adornava la facciata
della scuola vecchia.
Il nuovo portale a baldacchino, raffigurante la Madonna della Misericordia, opera
attribuita a Bartolomeo Bono, oggi invece non si vede più in loco: venne
infatti rimosso nel 1612 e fu venduto. Dopo varie vicissitudini e
trasferimenti è approdato al Victoria and Albert Museum di Londra dove,
per la parte centrale con il monumentale rilievo, si può ammirare,
purtroppo avulso dalla sua sede originaria, assieme ad altre figure aventi
la stessa provenienza.
Dell'impianto marmoreo dell'antico portale restano i due angeli
reggicartiglio a sinistra e a destra dell'architrave della porta
principale, con una probabile attribuzione allo stesso Bono, con i due
capitelli con foglie di acanto ai lati.
I
due angeli reggicartiglio al lati dell'architrave del portale.
In questo periodo (1453-65) la Sala del Capitolo venne arricchita con
un'ottantina di dipinti dei quali oggi non abbiamo più traccia.
Agli inizi del Cinquecento, i confratelli della Scuola, cresciuti di
numero, pensarono ad avere una più sontuosa e prestigiosa sede che
avrebbe dovuto dimostrare anche visivamente l'importanza che aveva
raggiunto la propria confraternita.
Pare che il primo ad occuparsene sia stato Alesssandro Leopardi
(1465-1523) nel 1507 e poi l'incarico di proseguire nei lavori sia stato
dato a Pietro (circa 1430-1515) e Tullio Lombardo (?-1532). Il luogo che
era stato prescelto era un terreno di proprietà al di
là del rio de la Sensa.
La
nuova sede sansoviniana della Scuola Grande della Misericordia.
Tuttavia
la costruzione della nuova sede della Scuola tergiversava, procedeva a
fatica, semmai fosse ancora cominciata, anche per l'importante impegno finanziario che richiedeva.
Così la vecchia Scuola era stata adibita fin dal 1505 ad ospizio ed
alcune stanze erano state affittate al Tintoretto per tenervi un proprio
laboratorio. Nel 1508 venne aperto il portale laterale sinistro della
Scuola vecchia e utilizzando spazi inutilizzati al piano terra, con una
modifica venne creato un sotopòrtego pubblico che metteva in
comunicazione la Fondamenta de l'Abazia con il campo dando un migliore
accesso all'ospizio.
Finalmente nel 1531 venne affidato a Jacopo Sansovino (1486-1570)
l'incarico di progettare il nuovo edificio che dovrà essere imponente.
Giorgio Vasari (1511-1574) commentò: «Quando si mette a fine, riuscirà
il più superbo edifizio d'Italia».
Il Sansovino, in realtà, non poté lasciarsi andare a cercare soluzioni
originali: gli schemi delle sedi delle scuole di devozione erano
rigidamente prefissati dalla tradizione con una grande sala terrena
sovrastata da una sala superiore per le adunanze (la sala capitolare)
con una sala minore per la cancelleria (la sala dell'albergo).
Tuttavia, ricordando probabilmente le sue esperienze romane, il Sansovino
riuscì a progettare una specie di «basilica pagana» scandendo gli ampi
spazi con le file di colonne (cinquanta) con un'alternanza di vuoti e di
pieni determinati da grandi finestroni, da fregi, da nicchie.
Nel 1570 il Sansovino morì, lasciando incompiuta la sua opera che venne
ultimata, seppure spoglia degli ornamenti, nel 1583. Venne inaugurata con
una cerimonia solenne alla presenza del Doge Nicolò da Ponte che
intervenne accompagnato dalla Signoria.
Alla morte del Sansovino, i confratelli della Scuola Grande della Misericordia interessarono Andrea
Palladio (1508-1580) per un completamento della facciata ed il Palladio
presentò anche alcuni disegni.
Il
progetto di completamento della facciata del Palladio.
Tuttavia, vuoi perché sopraggiunse la sua morte, vuoi per la cronica
mancanza di risorse economiche, gli abbellimenti proposti dal Palladio
restarono sulla carta.
Sembra che solo nel 1589 fosse completato il trasloco degli arredi,
registri e documenti dalla vecchia sede a quella nuova.
Intanto, forse anche con lo scopo di far soldi, la Scuola Grande della
Misericordia nel 1594 decise di affittare ad un mercante di biade la
vecchia sede in Campo dell'Abazia, dopo averla spogliata di gran parte
degli ornamenti. La Madonna della Misericordia di Bartolomeo Bono venne
rimossa nel 1612 e l'edificio, ridotto ormai in rovina, nel 1634 fu
venduto all'Arte dei Tessitori di Seta. Questi si presero carico di
restaurarla nel 1730, ma tutto ebbe breve vita: in epoca napoleonica,
soppressa la confraternita dei Tessitori di seta, il piano superiore della
vecchia Scuola venne trasformata in un teatro privato. Più tardi fu
ridotta a deposito e magazzino di materiale teatrale di scena ed infine,
con ulteriori modifiche edilizie, adibita ad abitazione privata.
Nel 1920 il pittore Italico (o
Italo) Brass (1870-1943) l'acquistò per utilizzarla come atelier e sede
espositiva della sua chiacchierata raccolta di pittura del Seicento e del
Settecento, con molte opere di dubbia provenienza.
Improntò gli ambienti in stile moresco, costruì su un angolo che si
affaccia sul giardino una torretta rotonda, dei piccoli ballatoi nel
salone ed un nuovo soffitto.
Prospetto
verso l'interno dell'antica sede della Scuola della
Misericordia, dopo le trasformazioni effettuate da Italico
Brass.
Nel 1974 l'intero complesso della vecchia sede della Scuola della Misericordia fu
venduto dagli eredi di Italico Brass allo Stato Italiano che vi insediò
laboratori di restauro e di ricerca della Soprintendenza che, negli anni
Novanta del XX secolo, operò un'opera di ripristino e recupero degli
spazi, compreso il chiostro gotico interno ed il giardino.
In quei locali sono state restaurate opere d'arte di notevoli dimensioni,
come il sipario del Teatro Malibran, dipinto nel 1919 da Giuseppe
Cherubini (1867-1960) e, nel 2010, i grandi quadri del Veronese che
adornano il soffitto della chiesa di San Sebastiano.
Il
"Trionfo di Mardocheo" del Veronese in restauro.
Una diversa sorte subì invece la sede nuova della Scuola della
Misericordia (quella del Sansovino) dopo l'arrivo dei francesi.
Il 5 maggio 1806 la Scuola venne soppressa, ma poi curiosamente, dopo meno
di due mesi, il 25 giugno 1806, fu ripristinata. In quell'occasione fu
fatto l'inventario che contava, tra l'altro, 52 quadri, mobili di noce,
cuscini, troni, reliquiari, stendardi dipinti, calici e suppellettili.
Il 18 luglio 1806 il Demanio autorizzava la vendita di un certo numero di
questi oggetti ad un certo Gaetano Rizzi che doveva addobbare una
chiesetta in terraferma.
Il 26 novembre 1806 l'edificio venne destinato a caserma-dormitorio per le
truppe francesi. Continuò il suo uso militare anche durante la
dominazione austriaca, quando venne adibito a magazzino; uso che si
protrasse quando i militari erano ormai quelli del Regio Esercito
Italiano.
Nel 1914 la Società Sportiva Costantino Reyer, fondata nel 1872, ottenne
il piano terreno del complesso per usarlo come palestra. Quando la
società sportiva decise di formare una squadra di pallacanestro, nel 1925
ottenne anche il primo piano che venne trasformato in campo da basket.
Evidentemente le esigenze sportive poco si conciliavano con le
caratteristiche architettoniche ed artistiche del luogo che, per mezzo
secolo, venne non poco
maltrattato, con i giocatori che si affrontavano sotto lo sguardo dei
profeti affrescati sul muro ai quali si addossava il pubblico.
Partita
di basket al primo piano della Misericordia con il pubblico
addossato agli affreschi.
Da parte sua il Comune di Venezia, proprietario dell'immobile, per qualche
tempo tenne qui un deposito archivistico.
Negli anni Novanta del XX secolo il Comune di Venezia inizia ad elaborare
progetti di riutilizzo del fabbricato: si parla di auditorium e, nel 2010,
di una più altisonante «...macchina al servizio della città...» e di
«...spazio multifunzionale tecnologicamente attrezzato, altamente
qualificato e qualificante».
E con questo siamo giunti alla data in cui scriviamo queste note.
Il
salone dove era stato allestito il campo da gioco di basket.
Palazzo
Rubini sulla Fondamenta dell'Abazia.
Sulla
Fondamenta dell'Abazia, che una volta nel tratto finale prendeva il nome
di Fondamenta della Corte Vecchia, dopo il sotopòrtego ricavato nel 1508
a fianco del vecchio edificio della Scuola si trova il palazzo Rubini.
Questo venne edificato probabilmente alla fine del Cinquecento su un'area
che era di proprietà della Scuola della Misericordia separando
fisicamente il piccolo ospizio quattrocentesco, che risultò così
racchiuso in una corte (la Corte Nuova) dal resto del complesso. Il
palazzo venne poi ristrutturato
alla fine del XVII secolo quando la vecchia sede della Scuola era passata
di proprietà all'Arte dei Tessitori di Seta. Non a caso i membri della
famiglia Rubini, originaria di Bergamo e giunta a Venezia, dopo una
permanenza ad Asolo, forse nel XIV secolo, erano mercanti di seta, anche
se successivamente commerciarono in sapone.
G. Battista Rubini, figlio di Camillo e di Orsola Rimondo, grazie alle
enormi ricchezze accumulate, venne ammesso al patriziato il 24 agosto
1646 dietro l'esborso dell'enorme cifra di centomila ducati: erano anni in
cui Venezia aveva bisogno di soldi per sostenere la costosa guerra di
Candia.
La famiglia Rubini si sarebbe estinta tra il 1734 ed il 1759 con un Zuane
del fu Camillo oppure con il di lui fratello Antonio; Giuseppe Tassini
(1827-1899) indica Antonio come ultimo discendente, fissandone la data di
morte nel 1756.
Il palazzo Rubini in Fondamenta dell'Abazia attualmente si presenta con
delle criticità statiche che hanno consigliato il puntellamento del
portone del piano terra e la chiusura di due finestre laterali.
A
sinistra lo stemma sulla facciata, a destra una delle due
teste d'ariete sulla fondamenta.
Al centro della facciata, al terzo piano, è visibile uno stemma
scalpellato.
Davanti al palazzo, sulla sponda della fondamenta, ai lati della riva,
sono presenti due teste d'ariete in altorilievo, apparentemente del XVII
secolo.