Ai Riformati.
Nella notte tra il 29 ed il 30 settembre 1388, una nobile veneziana, Antonia
Venier, parente del Doge Antonio Venier (1330 circa-1400), fa un sogno: un
giovane le appare, le indica un luogo e le ordina di costruirvi una chiesa
ed un monastero a lui dedicati: «Sono sant'Alvise e Dio vuole che la
memoria del mio nome risplenda gloriosa anche nella nobile città di
Venezia».
Il
campo Sant'Alvise, con la chiesa ed il ponte in legno sulla
destra.
Alvise, a Venezia, ma conosciuto anche come Aloysius, Louis, Luigi, Ludwig,
Ludovicus, Lodovico (1274-1297) era il figlio secondogenito di Carlo II d'Angiò,
Re di Napoli (1254-1309). Nel 1288, all'età di quattordici anni, venne
tenuto in ostaggio, assieme ad altri due fratelli, da Alfonso III
d'Aragona (1265-1291) come contropartita per la liberazione del padre
Carlo III d'Angiò.
Durante questi anni, su interessamento del padre, ebbe tra i precettori
anche i frati francescani Francesco Brun (morto nel 1321) futuro vescovo
di Gaeta, e Pietro Scarrier, anche lui destinato all'elezione vescovile e
confessore della regina Sancha d'Aragona (1285-1345).
I contatti con i francescani ebbero una fortissima importanza nella vita
del giovane Alvise/Ludovico/Luigi.
Durante la prigionia, colpito da tisi polmonare, a nulla valsero le cure
mediche che gli furono praticate, ma prodigiosamente guarì con la forza
della sua fede in Dio.
Nel 1294, a vent'anni, ricevette la tonsura ed i primi quattro ordini
minori, cioè l'ostiarato, il lettorato, l'esorcistato e l'accolitato.
Terminata la sua prigionia nel 1295, a 21 anni Alvise/Ludovico/Luigi chiese di
essere accolto tra i frati minori di Montpellier, ma non venne accettato
in quanto principe destinato al trono (ma anche per l'opposizione del
padre che mal vedeva la scelta di un ordine di mendicanti).
Alla fine Alvise/Lodovico/Luigi rinunciò ai diritti ereditari ed abbracciò il
sacerdozio il 19 maggio 1296. Papa Bonifacio VIII (1230circa-1303) volle
nominarlo vescovo di Tolosa, ma Alvise/Ludovico/Luigi ottenne di pronunciare
i voti francescani (24 dicembre 1296) prima della nomina a vescovo
(30 dicembre).
Il
campanile e l'abside di Sant'Alvise.
Il suo episcopato a Tolosa durò ben poco,
tuttavia senza risparmiarsi si recò fino in Spagna per riappacificare suo
cognato, Giacomo II d'Aragona (1267-1327), con il Conte di Fox e da qui poi
voleva dirigersi verso Roma per presenziare alla canonizzazione di Luigi IX, suo
prozio, e forse anche per rassegnare le proprie dimissioni al Papa.
Durante il viaggio (si spostava a dorso di mulo) venne a sapere che suo padre si
trovava a Brignoles, cosicché andò ad incontrarlo il 3 agosto 1297.
Causa la fatica, causa il caldo, nei giorni successivi cadde ammalato con la
febbre altissima. Nulla poterono fare i medici contro la tisi polmonare che lo
affliggeva da tempo e così il 19 agosto 1297 morì a soli 23 anni.
Venne sepolto a Marsiglia e presso la sua tomba non tardarono a manifestarsi
miracoli. Fu canonizzato il 7 aprile 1317 da Papa Giovanni XXII (1249-1334) con
la bolla "Sol oriens mundo". Nel 1423 Re Alfonso V d'Aragona
(1394-1458) trasferì le sue reliquie nella cattedrale di Valencia.
Il
protiro sulla facciata principale della chiesa: la statua di
Sant'Alvise/Ludovico/Luigi è attribuita al fiorentino Agostino di Duccio
(1418-1481 circa) presente a Venezia attorno al 1442. Il più
importante restauro, con il ripristino dei pinnacoli, risale al
1919-1922.
Tornando al racconto iniziale, l'anziana nobildonna riconosce il Santo che gli
appare in sogno, ma non il luogo indicato per la costruzione della
chiesa; ciò avverrà a seguito di un successivo sogno quando il Santo rivela
che è il posto «...ove abitavano lavoratori di corde».
Antonia Venier si mette così a perlustrare tutta la città, ed alla fine giunge
«...ove si lavoravano corde per istrumenti Musicali...»: qui riconosce il luogo mostratole in sogno, un estremo lembo a nord ovest
della città, rivolto verso la terraferma, tra spazi ancora semisommersi dalle
acque, le cosiddette sechère, conseguenza del flusso e del deflusso
della marea.
Questa
piccola croce devozionale, incisa su uno stipite del portale d'ingresso
alla chiesa, misura in altezza appena 5 centimetri e mezzo.
Consigliatasi con un nobile sacerdote, Leonardo Pisani, chiede al Doge, proprio
parente, di appoggiare presso il Senato la propria causa.
Le prime testimonianze relative a questa chiesa risalgono a quattordici anni
dopo il sogno, precisamente al 9 dicembre 1402 quando, davanti al notaio Franco
Sovio, Cristoforo Storlado dona ad Antonia Venier un appezzamento di terreno di
circa 40 metri x 20 per costruirvi una chiesa ed un monastero.
Nello stesso anno un tale Giacomo Cavatorta assieme ad altri giovani implora il
Consiglio di X perché accolga la richiesta di costituire una Scuola dedicata a
Sant'Alvise «...nel luogo dove sta edificando la chiesa a lui intitolata».
La costruzione della chiesa aveva assorbito le intere risorse di Antonia e delle
compagne che era riuscita a raccogliere attorno a sé: erano queste le pizzòcchere,
o pinzòchere, laiche che vivevano secondo le regole monacali (in questo
caso quelle di Sant'Agostino) restando allo stato laicale, senza obbligo di
clausura, in stretto contatto con la comunità, consigliando le donne, educando
cristianamente i fanciulli e, in certi casi, anche interpretando i sogni.
In attesa di tempi migliori queste pie donne si dovettero accontentare di alcune
povere celle, costruite in legno ed addossate alla chiesetta.
La
lapide posta sulla facciata della chiesa con cui gli Esecutori sopra
la bestemmia Costantino Garzoni, Vincenzo Dandolo, Gian Francesco
Correr e Vincenzo Cappello vietano in campo Sant'Alvise e nei «...luochi
circonvicini alla chiesa...» i giochi di carte, di dadi, di
pallone, nonché i tumulti, gridare «...o proferrir parole obscene...».
Alcuni
frammenti scultorei erratici che si possono osservare in campo
Sant'Alvise.
Presso
il civico 3201B, a sinistra frammento di archivolto di marmo greco con
fregi di foglie e rami, a destra frammento di fregio di marmo greco con
foglie e racemi e parte di quadrupede.
Presso
il civico 3201C, a sinistra frammento di fregio di marmo greco con rosette
a sei e cinque petali, a destra frammento di fregio di marmo greco con
rosette a quattro petali tra racemi.
Quello
che resta di una Madonna della Misericordia in pietra di Nanto tra i
civici 3201B e 3201C.
I commentatori e continuatori di Giuseppe Tassini (1827-1899), nella revisione
del testo per l'edizione 2009 delle "Curiosità Veneziane", sbagliano
quando pretendono di retrodatare di un secolo (1308) la fondazione del
monastero: essi fanno riferimento al catastico di Ramperto Polo, vescovo di
Castello, laddove indica tra gli enti religiosi obbligati a pagare un tributo
per l'anno 1308 anche il monastero di San Lodovico «...qui de novo fundatum
est».
Il tributo doveva essere pagato il giorno successivo alla festa del santo
titolare: «...immediate post festa sua...» e per questo monastero la
data indicata è il 26 agosto. Non si tratta quindi di Sant'Alvise/San
Ludovico/San Luigi la cui festa è fissata il 19 agosto, bensì di San Luigi IX,
Re di Francia (1214-1270), morto di peste durante l'ottava crociata il 25 agosto
1270 (ed il tributo doveva essere pagato il 26 agosto «...immediate post
festa sua»).
Nessuna retrodatazione
quindi per la chiesa di Sant'Alvise.
La quale stentatamente prosegue con Antonia Venier e le sue compagne e con
qualche modesto arricchimento, una casa alla Giudecca e l'acquisto di un terreno
adiacente.
Nel 1411 la piccola comunità sembra destinata ad estinguersi.
Il racconto storico continua a mescolarsi con la leggenda, i sogni e le
apparizioni: mancano nuovi ingressi nel monastero e la stessa fondatrice Antonia
Venier, avanti con gli anni, teme che si avvicini la fine del suo progetto. Ed
è ancora il Santo Vescovo titolare ad apparirle in sogno. La conduce davanti
alla laguna ed additandole i monti oltre la pianura la consola: «Orsù,
confida in Dio, e consolati, perché dopo che sarai passata a più felice vita,
verranno da que' monti Donne di santa conversazione, per il merito e la santità
delle quali moltiplicato il numero del Convento, s'accrescerà anche ne' tempi
avvenire in odore di soavità».
Proprio di fronte all'insula di Sant'Alvise, ma oltre la laguna, verso la
terraferma, c'è Serravalle su una direttrice per la quale transitava una gran
parte dei commerci che Venezia intratteneva con l'Europa centrale, ma dove
passavano anche gli ungari con intenzioni non propriamente pacifiche.
Serravalle
(«SERAVAL») è ben individuato al di là della laguna nella veduta
di Venezia "a volo d'uccello" di Jacopo de' Barbari del
1500. Oggi
è un quartiere di Vittorio Veneto.
Nel 1411 infatti scoppia una guerra tra l'allora re d'Ungheria Sigismondo
(1368-1437) per il controllo delle vie commerciali: se da un lato Venezia vuole
assicurarsi il controllo dei passi alpini, Sigismondo cerca uno sbocco verso il
mare Adriatico. Con varie fasi, il conflitto si trascinerà per una ventina
d'anni.
Uno
dei chiostri del monastero di Sant'Alvise.
Ma qui a noi interessa per le parole pronunciate nel sogno da Sant'Alvise: «...verranno
da que' monti Donne di santa conversazione...».
A Serravalle sorgeva il monastero agostiniano di Santa Giustina la cui badessa
Orsola Longo,
veneziana come quasi la totalità delle consorelle, è preoccupata per le
minacce di scorrerie.
Così le monache lasciano Serravalle per Venezia ed in laguna i Procuratori del
monastero di Sant'Alvise sono ben lieti di offrire loro ospitalità: Antonia
Venier era morta in quell'anno (1411) e le monache del convento di Serravalle «vi
ritrovarono due sole Monache di avanzata età, state già compagne della defunta
Fondatrice, e tante Celle vuote, quante appunto corrispondevano al numero delle
Religiose raminghe».
Ben presto si danno da fare e sappiamo che nel 1430 sono in costruzione
l'attuale chiesa con il vicino complesso monastico, che è quello che vediamo
ancora oggi con 26 ordini di finestre lungo il rio.
Il
monastero di Sant'Alvise a fianco della chiesa, lungo il rio.
A differenza di quello che succedeva in altri monasteri femminili veneziani,
dove le fanciulle entravano monache più per convenienze di famiglia che per
vera vocazione, quello di Sant'Alvise rimane un luogo dove, almeno in parte, la
donna può trovare una risposta alla sua condizione ottenendo un rispetto
sociale, una vita dignitosa, un ruolo, anche direttivo e di responsabilità,
partecipando alle decisioni del capitolo (ha voce in capitolo).
Un
curioso foro sulla facciata del monastero di Sant'Alvise: probabilmente in
pietra greca, ottagonale, presenta un motivo a stella ad otto punte che
riflette il foro stellare ugualmente ad otto punte al centro.
Il monastero si ampliò con sempre nuove costruzioni: il numero delle religiose
aumentò ed il Vescovo di Castello, primo Patriarca di Venezia, Lorenzo
Giustiniani (1381-1456), poi santificato, ottenne da Papa Eugenio IV (il
veneziano suo amico Gabriele Condulmer, 1383-1447) la facoltà per le monache di
potersi scegliere un confessore.
Le monache potevano assistere alle sacre funzioni dal barco, al quale accedevano
direttamente dal convento, come pure potevano accostarsi all'Eucarestia
attraverso il comunichino, un'apposita grata sul lato destro della chiesa.
In realtà il barco si trovava, almeno dal 1444, di fronte al presbiterio,
sostenuto da delle colonne; con l'arrivo di alcune importanti reliquie, di cui
diremo più avanti, gli altari assunsero una maggiore importanza e si volle
aprire la chiesa anche a confraternite esterne. Così dopo il 1596 il coro delle
monache venne retrocesso nella posizione attuale, sopra la porta d'ingresso.
Il
barco delle monache all'interno della chiesa di Sant'Alvise. Si
intravede in alto il soffitto affrescato da Giambattista Lambranzi
con la "Gerusalemme celeste".
Il
reliquiario della Sacra Corona di Spine, appartenente al Monastero di
Sant'Alvise, si trova oggi al Museo del Louvre di Parigi, dove è
approdato a seguito di un lascito del 1901 di A. de Rothschild.
Sugli stipiti di
una porta laterale della chiesa si notano i medaglioni con l'iniziali del santo
«Ŝ AL», con la «A» sormontata dalla corona
con i tre gigli di Francia.
Come si faceva cenno prima, nel 1456 il monastero acquisì alcune importanti
reliquie, dono di Niccolò Carpentario, un ricco mercante veneziano: «Parte
del corpo incorrotto di un San Basilio stato già (come si rileva da un
documento Greco) Vescovo nella Natolia, e morto nell'anno 917.
Un Osso del braccio di Sant'Anna Madre della SS. Vergine.
Un Osso intero d'una Coscia di San Gregorio Nazianzeno.
Due Coste di santa Maria Cleofe.
Alcuni frammenti di Santa Teodosia Vergine e Martire, e di altri molti insigni
Santi, ed il corpo di San Felice Martire, il quale dalle Cristiane Catacombe di
Roma fu portato a questa Chiesa».
Ma le reliquie più preziose, che segnarono una svolta nella vita del monastero
e della chiesa, furono quelle legate alla Passione di Cristo: «...parte
della porpora posta sulle spalle di Cristo dopo che fu flagellato [...] parte
della pietra sopra la quale stava Gesù quando venne flagellato [...] parte
della colonna alla quale Gesù fu legato quando fu flagellato».
Nel 1595 si aggiunse la reliquia della Sacra Corona di Spine: «...due sacre
Spine della Corona del Nostro Redentore, ed in esse tuttavia appariscono i
contrassegni di quel prezioso Sangue, che le consacrò; conservandosi eziandio
antica tradizione fra le Monache, che siansi più d'una volta nel Venerdì Santo
vedute rosseggiare di vivo sangue.»
L'arrivo di queste reliquie, legate alla Passione di Cristo, influenzò il
successivo sviluppo della chiesa e del monastero: oltre a far cambiare la
dedicazione di alcuni altari preesistenti (e ad influenzare addirittura il nome
di alcune monache che diventarono Maria di Cleofe, Corona, Veronica, Maria
Maddalena, eccetera) orientò le successive scelte artistiche.
Troviamo così una cinquecentesca "Ultima cena", attribuita a Girolamo
di Santacroce (1490 circa-1556), originariamente nel monastero delle monache e
poi collocata sopra il comunichino attraverso la cui grata le monache ricevevano
l'Eucaristia.
Ma è nel 1735 che assistiamo all'esaltazione degli episodi della Passione: l'occasione
fu data dal trasporto in chiesa (che avvenne l'anno dopo, 1736) delle reliquie
che si trovavano in un oratorio interno al monastero. Angelo Trevisani
(1669-1753 circa) dipinse "La preghiera di Gesù nell'orto del Getsemani"
e Giambattista Tiepolo (1696-1770) tre capolavori: "La flagellazione",
"Gesù incoronato di spine" e la drammatica "Salita al
Calvario".
Facendo un passo indietro nel tempo (1678), ed osservando l'esterno della
chiesa, è da ricordare che originariamente la facciata presentava un andamento
originale, "a capanna", probabilmente caso unico a Venezia. Ma proprio
in quell'anno si volle affrescare il soffitto: così fu necessario rialzare le
pareti laterali e sulla facciata la pendenza "a capanna" si perse
diventando lateralmente orizzontale.
Il
tetto "a capanna" venne modificato nel 1678 per rendere
orizzontale il soffitto, in vista dell'affresco che avrebbe dipinto
Giambattista Lambranzi.
Così i 600 metri quadrati del soffitto vennero affrescati con un
complesso progetto iconografico realizzato, in più anni, da Giambattista
Lambranzi (circa 1632-1700) dove con un gioco di ardite prospettive, tra
ghirlande e scritte («DOMVS MEA DOMVS ORATIONIS EST», «VIGILATE ET
ORATE») la
Gerusalemme celeste poggia sulle "colonne della Chiesa": San Pietro,
San Paolo, San Giovanni, San Giacomo e gli evangelisti San Marco e San Giovanni.
Undici virtù scorrono attorno mentre dalla Croce, dipinta sopra l'ingresso, si
giunge al Calice dipinto in prossimità del presbiterio.
La
sede seicentesca della Scuola di Sant'Alvise.
Non possiamo dimenticare le Scuole, o pie confraternite di devozione, che erano
sorte attorno alla chiesa, prima di tutte la Scuola di Sant'Alvise (la cui
costituzione risale al 1402) della cui prima sede (1444) è rimasta solo la porta a fianco della chiesa,
caratterizzata dalle immagini del santo scolpite sugli stipiti
Le
due immagini di Sant'Alvise scolpite sugli stipiti dell'ingresso
all'antica scuola a lui dedicata nel 1444.
Nel 1608 la sede della Scuola di Sant'Alvise viene ricostruita ed è ancora
perfettamente identificabile in quel sobrio edificio a fianco della chiesa, sul
cui portone d'ingresso possiamo leggere:
«D
. O . M .
AEDEM SOCIETATIS
SANCTI ALOYSII PROPE ECCLESIAM ERECTAM
AN . M . CCCC . II . VETVSTATE COLLABENTEM
BERNARDVS RVSPINI GVBERNATOR . ET SOCII
IN AMPLIOREM FORMAM RESTAVRANDAM C .
M . D C . VIII .»
La Scuola della SS. Vergine dei Sette Dolori fondata nel 1635, ottiene invece un
altare all'interno della chiesa.
Alla caduta della Repubblica, a seguito del decreto napoleonico del 23 aprile
1810 sulla soppressione degli ordini religiosi, fu chiuso il monastero di
Sant'Alvise.
Già dopo un mese e mezzo, il 10 giugno 1810, il coro della chiesa venne venduto
ai rigattieri Ziviani e Pisanello.
Qualche anno dopo, a seguito delle dispersioni di quanto contenevano le chiese
soppresse, grazie all'interessamento dell'abate Francesco Driuzzo che li aveva
acquistati, giunsero nella chiesa di Sant'Alvise otto dei dieci quadretti che in
origine decoravano l'organo della chiesa di Santa Maria delle Vergini (i due mancanti
si trovano al Museo Correr). Modesta opera probabilmente dell'ambito di Lazzaro
Bastiani (1425 circa-1512), che John Ruskin (1819-1900) attribuì attribuì
fantasiosamente addirittura a Vittore Carpaccio (1465 circa-1525 o 1526):
qualcuno a pennello aggiunse sui quadretti ben evidente la parola «Carpaccio»,
che forse meriterebbe di essere cancellata con una ripulitura.
In quegli anni i due fratelli Cavanis, Antonangelo (1772-1858) e Marcantonio
(1774-1853) che già si stavano dedicando a portare un'educazione a tanta
gioventù maschile sbandata, volendo dedicarsi anche all'educazione delle
fanciulle, avevano fatto venire a Venezia la marchesa Maddalena di Canossa
(1774-1835), proclamata Santa nel 1988, che aveva già fondato l'Istituto delle
Figlie della Carità, per esporre il proprio metodo educativo alle insegnanti
dei fratelli Cavanis.
A Venezia Santa Maddalena di Canossa stette quattro mesi, durante i quali fece a
tempo anche ad aprire un proprio istituto in una casetta in campo Sant'Andrea, vicino a piazzale Roma.
Nel 1813 il Demanio concesse alle Figlie della Carità l'edificio conventuale di
Santa Lucia per le loro opere assistenziali ed educative. Ma nel 1847, con
l'inizio dei lavori per la costruzione della stazione ferroviaria, che avrebbero
comportato la demolizione del convento e della chiesa di Santa Lucia, le suore
con la loro opera furono trasferite a Sant'Alvise.
Oggi le Figlie della Carità (Canossiane) non ci sono più: hanno lasciato il
loro monastero alla fine di settembre 2015, dopo aver salutato la comunità di
Sant'Alvise domenica 20 settembre: erano settanta suore negli anni migliori, ora
erano rimaste in quattro.
Attualmente il complesso, di proprietà del Demanio, è chiuso e non si è a
conoscenza di decisioni per una futura destinazione d'uso.
A Sant'Alvise morì nel 1636 il celebre medico Santòrio Santòrio (1561-1636):
nato a Capodistria, aveva studiato medicina all'Università di Padova. A Venezia
si stabilì probabilmente nel 1599. Tra gli altri meriti, lo ricordiamo per essere
stato il primo a controllare la temperatura corporea con il termometro. Leggiamo
infatti nel libro dei morti della parrocchia di San Marcuola: «A di 25
febraio 1635 [more veneto, quindi corrispondente al 1636 - N. d. R.].
L'ecc.mo sig. Santoro Santorio medico fisico di anni 76, da mal d'orina già
anni uno, nelle case del Dardani a S. Alvise».
In campo Sant'Alvise invece abitava nel 1566 «Ant. Palma depentor»,
ovvero Antonio Negretti, detto Antonio Palma (nato attorno 1515-morto tra il 1578 ed il
1585), padre di Jacopo Palma il Giovane (1548/50-1628).