Ai Santi Giovanni e Paolo.
Diciamo subito che "Bressana" sta per "bresciana",
ovvero della città di Brescia.
Sappiamo infatti che qui, già nel 1661, esisteva la «...Casa Bressana...»
ove abitava il «...signor noncio di Bressa...» e qui c'era anche
il «...casin della posta di Bressa».
Il
sotopòrtego che conduce alla corte Bressana.
Una
porta nel "sotopòrtego" che conduce alla corte Bressana.
Tuttavia
questo edificio, che era di proprietà della famiglia Grimani, agli inizi
del Settecento non ospitava più la posta di Brescia, giacché troviamo
descritta questa corte nel 1712 come «...il luocho che fu una volta
Posta di Bressa, chiamato casa Bressana, che habitavano foresti e
cavallari, hora ridotto in molte affittanze».
Alcune città e paesi sudditi della Repubblica, come Brescia in questo
caso, ma anche Bergamo, Chioggia, Lendinara e Badia, Feltre, Vicenza e la
Patria del Friuli, avevano il diritto di poter tenere a Venezia degli
ostelli dove alloggiare i propri «...nunzii od ambasciatori et altre
persone notabili».
Con il passare del tempo molte di queste comunità trovarono conveniente
affidare le loro case a persone che facevano «...l'esercitio di hosti...»
o albergatori e che quindi davano alloggio a qualsiasi persona,
indipendentemente dalla loro cittadinanza, per ottenere un guadagno non «...altramente
da quello che fanno le pubbliche hosterie».
Una
vera da pozzo in corte Bressana (non è quella che si trovava
nella corte fino al 1883.
La
calle Bressana.
Questo abuso era tanto diffuso che il 4 giugno 1502 venne decretato che le comunità dovevano gestire direttamente loro in prima persona
questi stabili e di «...tuor le case di dosso...» estromettendo
quelli che fino a quel momento le usavano impropriamente: le affittanze
dovevano essere stabilite e concesse di volta in volta dalla comunità cui
le case appartenevano, avrebbero dovuto avere un custode al quale era
fatto divieto di preparare da mangiare ai forestieri o accettare pagamenti da
loro.
Nonostante queste regole, dopo un po' di tempo riapparve l'abuso
precedente.
La
vera da pozzo che una volta si trovava in corte Bressana,
opera attribuita a Giovanni e Bartolomeo Bono (o Buono, o Bon).
Giuseppe Tassini (1827-1899) riuscì a vedere in corte Bressana una
notevole vera da pozzo in marmo bianco opera di Giovanni Bono (o Buono, o Bon, morto
post
1442) con la collaborazione del figlio Bartolomeo (circa 1405/10-circa 1464/67).
Il fatto che questo puteale sia decorato solo su tre lati fa pensare che in
origine fosse addossato ad una parete: il lato centrale, rivolto verso
l'ingresso alla corte, mostra una donna coronata che accarezza un leone
contornata da elementi fitomorfi, come pure le due facciate laterali dove si
scorgono altrettanti stemmi. Ai quattro angoli altrettante teste: davanti
di leone, sul retro di un uomo e di una donna.
Francesco Berlan (1821-1886) ipotizzava che dopo la conquista di Brescia
(1426) alcuni abitanti si fossero stabiliti a Venezia e qui avessero fatto
costruire questo pozzo: la donna rappresenterebbe dunque la città di
Brescia nell'atto di accarezzare il leone, simbolo della città cui si
erano sottomessi, gli stemmi sarebbero quelli della famiglia bresciana
che avrebbe eretto il pozzo, e le due teste, maschile e femminile,
raffigurerebbero quel cittadino e sua moglie.
Tuttavia Giuseppe Tassini non condivideva l'ipotesi del Berlan, così in
una delle sue tante passeggiate veneziane alla ricerca di particolari da studiare,
percorse la vicina calle Bressana fino alla fondamenta dei Felzi dove,
trovato aperto il portone del palazzo al numero civico 6317 (attualmente
ingresso alla Locanda la Corte) vi entrò scoprendo un'altra vera da pozzo
del tutto simile a quella di corte Bressana, e meglio conservata in modo
da poter decifrare gli stemmi come appartenenti alla famiglia Contarini
(questo puteale, venduto nel 1874, si trova oggi al Victoria
and Albert Museum di Londra).
Studiando le genealogie di Marco Barbaro (1511-1570), Tassini poté
verificare che un ramo della famiglia Contarini, detto della Zogia
(da una zogia, o ghirlanda, che aveva aggiunto allo stemma) fosse
presente sin dal 938 in questa contrada; qualche altra cronaca nomina
questo ramo come Contarini da San Zanipolo (da Santi Giovanni = Zane
e Paolo=Polo).
Fu quindi questo ramo della famiglia Contarini a far costruire i due pozzi
che vide il Tassini. Il palazzo dei Contarini subì nel XVI o XVII secolo,
forse per opera di famiglie che si sono succedute nella proprietà, una
completa rifabbrica.
Nel 1883 la vera del pozzo dei Bono, padre e figlio, di corte Bressana fu
trasferita al Museo Correr ed al suo posto venne collocata quella di modesta ed anonima
fattura che vediamo oggi.
Secondo
una storia tra il fantasioso ed il leggendario, in corte Bressana avrebbe
abitato nell'Ottocento un uomo che aveva l'incarico di suonare alle ore
prestabilite le campane del campanile di San Marco.
Di questo personaggio, come spesso accade per le storie di fantasia
collocate in tempi e luoghi facilmente verificabili, non conosciamo il
nome, ma il racconto fantasioso vuole che fosse di una statura
imponente, alto addirittura più di due metri!
Lo
scheletro del presunto campanaro.
Un giorno il direttore (anche lui senza nome) di un istituto scientifico
veneziano (anche questo non nominato) propose al campanaro di acquistare
il suo corpo dopo la sua morte: ne avrebbe utilizzato lo scheletro per la
raccolta scientifica del suo istituto.
Ovviamente tralasciamo altri particolari, altrettanto fantasiosi, che
arricchiscono questa storiella che si conclude con la collocazione, a
seguito di un'anonima (!) donazione dello scheletro al Museo
di Storia Naturale di Venezia.
Come una ciliegina finale sulla torta, chi racconta questa storia aggiunge
che pochi minuti prima della mezzanotte lo scheletro del campanaro lascia
il museo per dirigersi a San Marco per suonare la campana più grande, la
"Marangona", non senza -al ritorno- chiedere l'elemosina ai radi
passanti notturni per poter ricomprare se stesso.