La
"Regia Fabbrica di Tabacchi in una pianta del 1913.
A Piazzale Roma.
Fu Girolamo Manfrin (1742-1802), ultimo appaltatore dei tabacchi della Repubblica di
Venezia, a volere qui una fabbrica destinata alla lavorazione del tabacco.
Girolamo Manfrin, del quale si parla in
queste pagine che raccontano una breve storia del tabacco nella
Repubblica di Venezia, possedeva già coltivazioni di tabacco per 1100
ettari, con una fabbrica per la successiva lavorazione, a Nona in
Dalmazia.
Egli dunque pensò, a partire dal 1786, di aprirne una anche a Venezia.
Anticamente la lavorazione del tabacco avveniva in città in corte
Gregolina, alla Madonna dell'Orto, dove esisteva anche un pubblico
spaccio. Poi fu portato nella fondamenta di Cannaregio, nella zona delle
Penitenti; anzi, a quel tempo l'ultimo tratto della fondamenta di
Cannaregio si chiamava proprio fondamenta de le Penitenti.
Come questi due precedenti luoghi, anche quello individuato dal Manfrin si
collocava su quella parte di Venezia che si affacciava sulla laguna verso
la terraferma.
La zona prescelta era il cao (capo) che si chiamava così perché
era l'estremità occidentale della città; si trovava compreso tra il rio
de le Burchielle ed il rio di Sant'Andrea, oggi, a seguito delle
trasformazioni urbanistiche del Novecento, alle spalle di piazzale Roma.
Una volta (XIV secolo) questa zona era bassa e paludosa, come ci
testimonia ancora nel 1500 la veduta di Venezia "a volo
d'uccello" eseguita da Jacopo de' Barbari in quell'anno: era stata
affidata ad una comunità monastica fondata da quattro nobildonne,
Francesca Corraro, Elisabetta Gradenigo, Elisabetta Soranzo e Maddalena
Malipiero che, bonificando l'area, vi aveva fondato un oratorio e un
ricovero per donne povere.
La
zona incolta e paludosa tra Sant'Andrea ed il rio dei Tre
Ponti, all'incirca dove sorgerà la fabbrica dei tabacchi,
disegnata nel 1500 da Jacopo de' Barbari.
Indagini archeologiche hanno portato alla luce tracce delle antiche fondazioni ed il
materiale usato per la bonifica, tra cui cocci di ceramiche, pietre,
marmi, frammenti lapidei del I secolo e qualche oggetto scolpito.
Sul timpano sopra l'ingresso
l'orologio e la campana che scandivano i ritmi di lavoro.
Il
portone d'ingresso alla Fabbrica dei Tabacchi.
Il progetto della fabbrica pare
sia stato affidato all'architetto Bernardino Maccaruzzi (1728 circa-1800),
allievo di Giorgio Massari (1687-1766), al quale si devono il rifacimento
della facciata della chiesa di San Rocco, della Scuola della Carità e del
Duomo di Mestre.
Il
Rio de le Burchielle con la fondamenta de la Fabbrica dei
Tabacchi, la struttura rossa in fondo.
La fabbrica aveva le caratteristiche di una villa veneta con una barchessa:
nell'ampio cortile venivano messe ad asciugare le foglie di tabacco e
tutto attorno si aprivano i locali per le macine, i forni di essiccazione,
i laboratori.
Alla caduta della Repubblica, la manifattura continuò a rimanere attiva
e venne ampliata e ristrutturata dagli ingegneri e architetti Giuseppe
Mezzani e Antonio Zilli attorno al 1820. In quell'occasione venne
acquisita l'area della chiesa ormai chiusa di Santa Maria Maggiore che venne
adibita a magazzini ed uffici.
Risalgono a questi anni il timpano sopra l'ingresso, l'orologio, la campana
che segnava gli orari di lavoro ed il passaggio aereo con il loggiato sul rio
de le Burchielle che metteva in collegamento il complesso con gli altri
stabili sulla riva opposta.
Si
può ancora vedere la carrucola con cui venivano sollevate le
balle di tabacco.
Con il Regno d'Italia la fabbrica dei tabacchi di Venezia passò sotto la
Direzione dei Monopoli di Stato
Nel 1887 vi lavoravano 1741 persone, delle quali 1536 erano donne, le
famose tabacchine.
Le due colonne che
sostengono il cancello per accedere alla manifattura: le colonne una
volta erano adornate, come si usava, con due palle di pietra sulla
cima (oggi sparite). Le "tabacchine" che arrivavano in
ritardo trovavano il cancello chiuso e restavano «fuori delle palle».
Le condizioni di lavoro erano
durissime, sia sotto l'aspetto della disciplina (all'uscita venivano
perquisite, affinché non potesse sfuggire un solo grammo di tabacco) che
della salute.
La Fabbrica dei
Tabacchi sul rio de le Burchielle.
Tuttavia godevano di alcuni privilegi (ottenuti con dure lotte e
battaglie) che erano sconosciuti agli altri settori del mondo del lavoro
dell'epoca: una certa sicurezza di stabilità del posto, giornata
lavorativa che alla fine ottennero ridotta ad otto ore e, in caso di
malattia, cinquanta giornate pagate.
Conquiste che furono ottenute a seguito di forti e decise rivendicazioni
(come il primo sciopero del 1884!) e lotte che segnarono pagine storiche
del movimento delle donne lavoratrici a Venezia.
Dalle file delle tabacchine veneziane proveniva Anita Mezzalira
(1886-1992) che era stata assunta a 15 anni: antifascista, sindacalista, fu il
primo assessore donna nella storia del Comune di Venezia (1948).
Il passaggio a ponte sopra
il rio de le Burchielle ristrutturato nel 1930.
Oltre alle abitazioni popolari
nelle vicinanze della manifattura, nel 1877 venne aperto dal conte
Giovanni Battista Giustinian (1816-1888), senatore del Regno d'Italia, per
due volte Sindaco di Venezia, dedito ad innumerevoli opere filantropiche,
un asilo «per lattanti e slattati» per i figli delle tabacchine,
asilo che, alla morte del conte, verrà in parte sostenuto dalla Direzione
dei Tabacchi.
Una
targa con il campanello ancora ricorda la vecchia
denominazione dell'asilo ed il nome del benefattore.
Il complesso della manifattura dei tabacchi subì delle modifiche e delle
ristrutturazioni negli anni attorno al 1928-1930: in questo periodo fu
apposto anche lo stemma fascista che venne scalpellato alla fine della II
Guerra Mondiale.
Nonostante la
scalpellatura è ancora visibile il fascio littorio.
L'alta ciminiera che,
durante alcune fasi della lavorazione del tabacco, spandeva per
tutta la zona un caratteristico odore.
Un anziano abitante (classe 1933) sulla fondamenta del Rio de le
Burchielle assicura che il fascio venne abbattuto a colpi di moschetto
finita la guerra.
All'ingresso della fondamenta che portava alla manifattura c'era un
cancello ancorato a due colonne abbellite da due palle di pietra sulla
sommità (oggi restano solo le colonne ed il cancello sempre aperto, le
palle in pietra sono scomparse).
Dopo il suono della campana che segnava il tempo per l'entrata degli
operai e delle operaie in fabbrica il cancello veniva chiuso e i
ritardatari rimanevano chiusi fuori, come si diceva «fora dae bae»
(fuori dalle palle).
Negli anni Ottanta il numero degli operai era sceso a 250: si lavoravano
tabacchi di scarsa qualità, sempre meno richiesti dal mercato invaso dai
prodotti delle multinazionali.
Ancora sussiste (2015)
la vecchia targa che indica la sede della Manifattura Tabacchi
dei Monopoli di Stato.
Nel 1996 gli ultimi 178 lavoratori passarono all'Agenzia delle Entrate e
l'area fu acquistata dal Comune il 30 dicembre di quell'anno per 97
miliardi di lire e la manifattura cessò ufficialmente l'attività il 1°
gennaio 1997 per venire trasformata in una Cittadella della Giustizia,
accorpandovi gli uffici giudiziari sparsi nella città.
Alle tabacchine veneziane Riccardo Selvatico (1849-1901) dedicò
una poesia nella quale, con vivacità, descrive il vociante passare di
prima mattina di queste donne che vanno al lavoro.
A questi versi si è ispirato Felice Castegnaro (1872-1858) con un famoso quadro,
"Le tabachine", che non possiamo riprodurre in quanto di
proprietà privata con l'immagine (asta Finarte-Semenzato del 24 maggio
2008, lotto n. 198) protetta da copyright.
Il quadro, esposto per la prima volta alla V Esposizione Internazionale d'Arte
di Venezia del 1903, venne anche fotografato nel 1905 circa da Tomaso
Filippi (1852-1948).
Così venne descritto nel 1903: «...le belle ragazze scendono il ponte
con quel fare civettuolo e spavaldo, con quell'agilità, con quel brio,
con quella sprezzatura birichina di scialli e di capelli che le rendono
tanto seducenti e amabili».
Pur essendo probabilmente vero che in quell'epoca le donne che lavoravano
alla manifattura godessero di maggiore libertà ed emancipazione delle
signorine borghesi, si può immaginare che il quadro (e di conseguenza la
poesia da cui ha avuto origine) risentisse del personaggio della sigaraia Carmen
dell'omonima opera di Georges Bizet (1838-1875) rappresentata per la prima
volta nel 1875.
Nel far seguire il testo di Riccardo Selvatico (con una traduzione senza
pretese a
fianco), abbiamo preferito illustrarlo con alcune fotografie
delle tabacchine veneziane al lavoro dentro gli ambienti della
Fabbrica del Tabacco di Venezia negli anni 1928-30.
Bate quatro e za scominzia
Nel silenzio de la strada,
Fin alora indormenzada,
A sentirse da lontan
Come un susio, che in distanza
Da principio xe confuso,
Ma che ingrossa, che vien suso
Co' una furia de uragan.
Le xe lore, za le ariva,
Za le spunta, za in t'un lampo
Case, strada, ponte, campo,
Tuto introna de bacan.
Suonano le quattro e già
comincia
Nel silenzio della strada,
Fino a quel momento addormentata,
A sentirsi da lontano
Come un brusìo che da lontano
All'inizio è confuso
Ma che si ingrossa, che aumenta
Come la furia di un uragano.
Sono loro, già arrivano,
Già sbucano, già in un attimo
Case, strada, ponte, campo
Tutto rimbomba di baccano.
Le
ze lore, le ze tose,
Le ga el viso fresco e tondo,
Le vien via sfidando el mondo,
Imbragae de zoventù.
Zavatando per i ponti,
Le vien zoso a quatro in riga,
Par che a tuti le ghe ziga:
Largo, indrio, che semo nu!
Za la zente su le porte,
Sta a vardar la baraonda,
Che infuriando come un'onda,
Urta, spenze e passa in là.
Sono
loro, sono ragazze,
Hanno il viso fresco e tondo,
Passano sfidando il mondo,
Avvolte di gioventù.
Ciabattando per i ponti,
Scendono a quattro in fila,
Sembra che gridino a tutti:
Largo, indietro, che siamo noi!
Già la gente alle porte,
Sta a guardare la baraonda,
Che infuriando come un'onda,
Urta, spinge e passa avanti.
Qua un vecieto scaturio
Va tirandose drio al muro;
Là una vecia, più al sicuro,
Varda e ride dal balcon.
Ma le ariva e za le passa,
El ze un refolo de vento,
Za el fracasso in t'un momento
Va perdendose lontan.
E la strada per un punto,
Da quel ciasso desmissiada,
Quieta, straca, abandonada,
La se torna a indormenzar.
Qua
un vecchietto impaurito
cammina lungo il muro;
Là una vecchia, più al sicuro,
Guarda e ride dal balcone.
Ma arrivano e già passano via,
E' una folata di vento,
Già il fracasso di un attimo
Si perde lontano.
E la strada per un attimo,
Svegliata da quel chiasso,
Tranquilla, stanca, abbandonata,
Ritorna ad addormentarsi.