Lo
sbocco sul Canal Grande di calle larga Mazzini, quando ancora si
chiamava calle della Scimmia..
A San Salvadòr.
Una volta questa calle era detta "della Scimia" (scimmia)
per la presenza di un'osteria all'insegna di questo animale; nel 1661
l'edificio risulta essere di proprietà della famiglia Nani.
La calle era molto più stretta ed angusta dell'attuale, oltre ad avere una
diramazione chiamata per questo "ramo".
Portava da campo San Salvadòr al Canal Grande.
Situazione
completamente mutata oggi, e non solamente per la presenza
dell'approdo dei vaporetti.
Come accadde per la vicina marzarieta
San Bortolomio, divenuta "Due Aprile", la stretta calle fu
allargata con demolizioni di vecchi edifici nel programma di dare mano «...alla
dilatazione
a molte strade, e specialmente di quei tanto angusti viottoli detti Callette, che convertono in un labirinto soffocante molte parti principali della
Città» (Comune di Venezia, "Rendiconto del Biennio 1872-73").
Finalmente, così allargata la calle nel 1894 («...allargamento fino a
cinque metri della Calle della Scimmia a S. Salvatore...»), essa fu intitolata a Giuseppe Mazzini
(1805-1872), anche sotto la spinta di certi ambienti massonici veneziani,
liberando il fianco del palazzo sansoviniano Dolfin-Manin.
La
lapide dedicata a Giuseppe Mazzini nell'omonima calle larga.
Questo palazzo, per il quale, a sentire Giorgio Vasari (1511-1574) furono spesi
per la realizzazione trentamila ducati, fu edificato a partire dal 1536, secondo il
nuovo gusto rinascimentale, dal Procuratore di San Marco Giovanni Dolfin al posto
di un più modesto preesistente edificio sempre di sua proprietà.
Per far questo venne incaricato Jacopo Sansovino (1486-1570) che sviluppò la
costruzione attorno ad un cortile interno che purtroppo andò perduto durante
successivi lavori.
Quando agli inizi del Seicento il ramo dei Dolfin, proprietario del palazzo, si
estinse, questo fu suddiviso tra diversi proprietari ed affittato.
Nel Settecento ci entrò in affitto la famiglia Manin, che da poco era stata
ammessa "per soldo" nel patriziato e poi Lodovico Manin lo
acquistò.
Divenuto Doge nel 1789 Lodovico Manin, più per il suo patrimonio, piuttosto che
per altri meriti, ci mise mano l'architetto Giannantonio Selva (1751-1819) che, secondo certi
propositi, avrebbe dovuto ingigantire il palazzo addirittura fino al campo San
Salvador, ma gli avvenimenti non lo consentirono: con i francesi alle porte, il centoventesimo doge della Repubblica di Venezia,
Lodovico Manin, non ebbe il coraggio di alcuna azione ed il 12 maggio 1797
invitò il Senato ad arrendersi ai francesi di Napoleone.
Fu la fine della Repubblica di Venezia.
Il Manin si autosegregò nel palazzo dove morì il 24 ottobre 1802.
La famiglia Manin rimase proprietaria del palazzo fino al 1867, quando lo
vendette alla Banca Nazionale del Regno d'Italia, divenuta nel 1893 Banca
d'Italia.
Una
lapide ricorda il luogo che abitò Silvio Trentin (1885-1944)
In questo palazzo, sul secondo piano, abitò dal finire del 1919 Silvio Trentin,
fino al 1926 quando scelse l'esilio in Francia: lo ricorda una lapide posta nel
1954 su un lato di palazzo Dolfin Manin, in occasione del decimo anniversario
della sua morte.