|
Tra calli, rami, corti, sotopòrteghi,
fondamente e ponti, a Venezia questo toponimo è ripetuto ben 41 volte,
dando così il nome a circa 22 località: 7 nel sestiere di Castello, 4 a
Dorsoduro e Castello, 3 a Cannaregio e 2 a Santa Croce e San Polo.
Ogni chiesa parrocchiale aveva il proprio collegio presbiteriale e
possedeva delle case che venivano date come abitazione ai preti che ne
facevano parte.
Le case dovevano essere vicine alla chiesa, in modo che i sacerdoti
potessero essere pronti a servire la chiesa e la parrocchia. Così si era
espresso anche il Patriarca di Grado Egidio da Ferrara nel sinodo del 1296
che ordinò che i preti titolari di una parrocchia dovessero abitare nelle
case loro destinate e vi dormissero di notte «...ne propter locorum
distantiam, ecclesiae debitis clericorum ministeriis defraudentur».
I parroci avevano l'obbligo di tenere in ordine la casa loro assegnata
nella quale dovevano risiedere.
Tuttavia non di rado accadeva che alcuni preti non dimorassero in queste
case, preferendo altre abitazioni più comode, e dando in affitto quelle
che erano state loro destinate.
Di conseguenza nel 1510 il Patriarca di Venezia Antonio Contarini
(1450-1524, nominato patriarca nel 1509) ordinò che «...le case fatte
dei beni de la chiesa sieno solo habitate e ritenute da quelli ai quali
appartengono, et a quell'uso che sono destinate; che se quelli ai quali
appartengono non le habitano, gli altri ministri idonei e canonice
ordinati le habitino. Se saranno affittate, i pro vadano in restauro, a
comodo de la chiesa, e si distribuiscano tra i ministri quotidie
inservientes».
Oltre che affittare le case, qualche prete giunse a tollerare la
prostituzione in quegli edifici, tanto che il Patriarca Giovanni Trevisan
(1503-1590, nominato patriarca nel 1560) cercò di sradicare, con scarsi
risultati, questo abuso nel corso del suo primo sinodo del 1564.
|