Tra calli, rami, sotopòrtegi,
campielli e corti, esistono a Venezia almeno 16 luoghi che portano questo
nome: 9 a Cannaregio, 4 a San Polo, 2 a Dorsoduro e 1 a Castello.
Tutti prendono il nome da fabbricanti di remi (i remèri, appunto)
che vi avevano la loro bottega, o vi abitavano.
I remèri si suddividevano tra remèri de fuora (di fuori)
che
lavoravano privatamente per la costruzione di remi e fòrcole
(il particolare appoggio, o scalmo, del remo che permetteva di governare
la barca), ma che all'occorrenza sapevano anche sagomare timoni e
pennoni, e remèri da dentro, che erano quelli che lavoravano
all'interno dell'Arsenale di Stato, e per questo erano chiamati anche remèri
de l'Arsenàl.
I remèri si erano uniti in
Scuola il 15 settembre 1307 (la loro mariegola, o regola madre,
venne approvata dal Consiglio di X il 10 luglio 1474) ed avevano come loro protettore San Bartolomeo: per questo
avevano un altare, dedicato al Santissimo Sacramento, nella chiesa di San Bortolomio
ed un altro altare, pare dedicato a San Bartolomeo, nella chiesa di San
Mattia a Rialto.
L'insegna
dell'arte dei "remèri".
Nel 1766, dopo varie traversie, la Scuola si trasferisce nella chiesa di San
Francesco di Paola lasciando l'altare della chiesa di San Bortolomio alla
Scuola del Santissimo.
Nel 1773 i remèri, in numero di 213 capimastri, avevano 19
botteghe e potevano contare su 31 apprendisti.
Un gruppo a sé stante era costituito dai remèri da dentro, o
dell'Arsenale, i quali lavoravano per la Repubblica. Proprio per questo
motivo, essendo degli artigiani pubblici, non avevano da pagare la tansa
(tassa che colpiva gli artigiani privati).
Per accedere all'Arte dei remèri dell'Arsenal, bisognava superare
una prova che consisteva nel realizzare alla perfezione un remo da galea
in legno di faggio.