A Sant'Agostin.
Questa calle prende il nome dalla presenza di uno scaletèr, ovvero pasticcere
specializzato in buzzoladi, ciambelle, biscotti e dolci in generale.
Oggi la ricetta delle scalète si è persa nel tempo: forse
anticamente indicava un tipo di dolce fatto con una pasta di pane condita
con burro e zucchero con la forma simile a quella delle azzimelle pasquali
ebraiche. Giuseppe Tassini (1827-1899) scrive di «...certe ciambelle,
che usavansi in antico, specialmente nei matrimonii, e che appellavansi
"scalete" perché avevano impressi alcuni segni somiglianti ad
una inferriata, oppure ai gradini di una piccola scala».
Nell'Ottocento, come è testimoniato da Giuseppe Boerio (1754-1832), il
termine scalète ormai indicava una specie di fine cialda, o ostia,
che veniva usata dai confetturieri per contenere il mandorlato: tale
cialda aveva un disegno a scacchi o a forma di scaletta a pioli dovuta dal
disegno dello stampo che le produceva.
Gli scaletèri erano riuniti in Arte ufficialmente dal 27 maggio 1493,
tuttavia la loro confraternita pare esistesse già da prima.
Fino al 1663 erano uniti ai casaròli (venditori di formaggi, ma
anche di olio alimentare e carni suine fresche e salate): in quell'anno si
separarono da quell'unica congregazione, diventando Arti autonome, i
salumai e gli scaletèri.
La Scuola di devozione degli scaletèri si riuniva presso la chiesa di San Fantin,
e San Fantino era anche il loro protettore.
Attorno alla metà del Settecento vi era confluiti un numero consistente
di Grigioni, di religione protestante, cosicché la chiesa di San Fantin
venne abbandonata per qualche tempo e le riunioni si facevano presso il
Fontego della Farina a Rialto. Il Senato veneziano proibì quindi che i Grigioni
venissero accettati nell'Arte e così le riunioni poterono tornare a
svolgersi a San Fantin.
Per essere accettai nell'Arte si dovevano fare cinque anni di
apprendistato: nel 1773 gli scaletèri avevano 59 botteghe, che
calarono a 38 nel 1787 ed a 32 nel 1796.
Il Tassini a metà Ottocento può scrivere che in calle del Scaletèr era
ancora presente un pasticcere. Ancora oggi (2015) esiste un pasticcere,
erede degli antichi scaletèri, all'angolo tra la calle e la corte
del Scaletèr.
In calle del Scaletèr esisteva, ai tempi di Giacomo Casanova (1725-1798),
una bottega di caffè: in questo locale nell'aprile 1746 il Casanova venne
a cercare un chirurgo che potesse soccorrere il nobiluomo Matteo Bragadin
(1689-1767) che era stato colpito da un infarto mentre si trovava ad una
festa di matrimonio nel vicino palazzo Soranzo in campo San Polo. In
questo modo il Casanova riuscì a salvare la vita al Bragadin meritandosi
prima la di lui eterna riconoscenza e poi la protezione.
Nel luogo ove esisteva la bottega da caffè, nel 2012 venne apposta una
targa commemorativa, con il testo ripetuto anche in inglese:
«Qui stava la Bottega
del Caffè
dove Giacomo Casanova
nell'aprile del 1746 si recò
per farsi accompagnare da un
chirurgo che soccoresse il
Patrizio Matteo Bragadin,
il suo mecenate.
Here stood the coffeehouse where, in
April of 1746, Giacomo Casanova
fetched a surgeon to give aid to the
Noble Matteo Bragadin who later
became his maecenas.»
Curiosamente in questi locali, che avevano ospitato la bottega del Caffè
ricordata da Giacomo Casanova, fino agli anni Sessanta del XX secolo
secolo esisteva un laboratorio di torrefazione del caffè.
Ancora oggi, nella corte del Scaletèr, è visibile il foro da cui usciva
il camino per convogliare i caratteristici fumi derivanti dalla
torrefazione dei grani di caffè.
Inoltre sopra le vetrine del negozio, è ancora presente un'insegna in
ferro smaltato sulla quale, nonostante la ruggine del tempo, si può leggere: «TORREFAZIONE RAZIONALE DEL CAFFE'».
Il
foro attraverso il quale passava il camino per disperdere i
fumi della torrefazione del caffè in corte del Scaletèr.