La
zona di cui parliamo nel 1500: pochi edifici, orti, "chiovere"
(dalla veduta di Venezia "a volo d'uccello" di Jacopo de'
Barbari, 1500).
A San Giobbe.
Ci troviamo verso la punta estrema della città rivolta verso la terraferma,
dove il canale di San Servolo si connette con quello di Cannaregio,
collegando così Venezia al proprio entroterra.
Per molti secoli il terreno incolto era preponderante in quest'area; le
costruzioni piuttosto rade.
Era una zona, come altre a Venezia, dove esistevano delle chiovere
(e chioverete, quando erano di più limitate dimensioni), luoghi dove si tingevano ed asciugavano i panni.
Sull'origine del nome vi sono due differenti opinioni: secondo alcuni
questi luoghi erano recintati, chiusi, tanto è vero che in alcuni
documenti sono citati come «clauderiae», da cui si vorrebbe far
derivare il nome chiovere. Secondo altri il nome invece deriverebbe
dai chiodi piantati agli assi di legno che servivano per stendere i panni
da asciugare.
Alla fine del XVIII secolo l'attività dei chiovaroli, legata
soprattutto alla lavorazione della lana, una volta florida, era decaduta;
pare fossero restati ad esercitarla in tutta la città solo otto capi
maestri con sei loro figli.
La zona dunque decadde, salvo qualche raro insediamento protoindustriale.
Agli inizi del XX secolo (a cominciare dal 1905) venne fatto qui un intervento di edilizia popolare dal Comune di Venezia con il supporto
della Cassa di Risparmio.
La
calle del Scarlatto con in fondo l'omonimo campiello.
Si creò così una nuova viabilità, prima non esistente: a questi luoghi
furono dati dei toponomi che non hanno un'origine antica, ma sono solo legati
alle attività connesse alle vecchie chiovere qui esistenti in
precedenza.
La calle ed il campiello del Scarlatto vuole ricordare questa preziosa
colorazione usata dai tintori di panni.
Lo scarlatto veneziano era ricercatissimo in tutti i paesi ed i fabbricanti di
questi colori conservavano gelosamente i loro segreti per la sua preparazione.
Leggi stabilivano le stagioni che dovevano essere osservate nella preparazione
dello scarlatto e per mantenere il massimo segreto venivano messe in
circolazione delle storielle in modo da distrarre la gente affinché non
cercasse di spiare le fasi di fabbricazione.
Ad esempio si inventavano fantasmi bianchi che circolavano attorno ai
luoghi di preparazione, oppure loschi figuri con un grande cappello, oppure
ancora un gigante che si aggirava con una lanterna. Così nel dialetto veneziano
la parola scarlato assunse il significato, come registrato da Giuseppe Boerio
(1754-1832) nel suo "Dizionario del Dialetto Veneziano",
di «...Finzione; Falsità; Favola; Pastocchia...».