Squero

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Tra calli, rami, sotopòrteghi, fondamente, ponti, corti e campielli, esistono a Venezia 24 luoghi che portano questo nome: 12 nel sestiere di Dorsoduro, 6 a Castello, 5 a Cannaregio ed uno a San Marco, oltre a 4 (a Cannaregio) che portano la variante "Squero Vecchio" (o vecio, per dirla alla veneziana).
In una città circondata ed attraversata dall'acqua, qual'è Venezia, è facile immaginare che oltre ai piedi, l'unico mezzo di trasporto fosse (e lo è ancora) la barca.
Esistevano quindi da sempre luoghi dove si costruivano imbarcazioni di vario genere, dalle piccole barche ai navigli più grandi.
Naturalmente la maggiore attività navale rimaneva concentrata nell'Arsenale, ma questo era un'industria di Stato dalla quale uscivano le navi della flotta veneziana.
 
 
Invece esistevano una miriade di luoghi dove venivano costruite, riparate, ammodernate, mantenute efficienti le barche dei privati, mercanti, oppure nobili o semplici cittadini.
Questi luoghi si chiamavano, e si chiamano ancora a Venezia, squeri.
Da un censimento del 1773 sappiamo che in quell'anno erano attivi a Venezia 45 squeri con 60 capimastri, 45 garzoni e 160 lavoranti.
L'origine del nome squero è controverso.
Giambattista Gallicciolli (1733-1806) fa derivare questa voce da "squadra" (da "quadra", la quarta parte del cerchio, ovvero 90°), strumento necessario agli artigiani, ai falegnami ed anche ai fabbricanti di imbarcazioni che serve per «...exquadrare...» il legname per la costruzione navale; in dialetto "squadra" viene detta squara o squera.
Due squeri a San Moisè sul Canal Grande, con altrettante "teze". Nonostante nel 1495 fosse stata disposta la demolizione degli squeri sul Canal Grande, questi due squeri ancora permangono nel 1500. ("Veduta di Venezia a volo d'uccello" di Jacopo de' Barbari, 1500).
    
Giuseppe Boerio (1754-1832) accoglie nel suo "Dizionario del Dialetto Veneziano" la variante squadro (che definisce antica) per indicare il luogo dove si fabbricano le barche.
Altri invece fanno derivare la parola dal greco escharion che indicherebbe tanto il luogo del cantiere navale, quanto un congegno che serviva per varare le navi.
A Venezia esistevano due categorie principali  di squeri: gli squeri da grosso e gli squeri da sotìl: i primi erano posizionati lungo i canali esterni, dove lo specchio d'acqua antistante per farvi scivolare l'imbarcazione era più ampio. In genere costruivano navigli di medie/grandi dimensioni usati a fini di commercio.
I secondi si trovavano, e qualcuno si trova ancora oggi, nei rii interni: costruivano barche più piccole (anche gondole) che per essere varate non avevano bisogno di un grande specchio acqueo.
Lo squero dispone necessariamente di uno spazio all'aperto digradante verso l'acqua dove far scivolare i natanti. Attorno ha una o più teze, che altro non sono che costruzioni dove gli squeraroli possono lavorare al riparo delle intemperie e dove si conservano attrezzi e materiali.
 
Uno dei tanti squeri che esistevano sul Canale della Giudecca: si nota un natante di maggiori dimensioni appena impostato nella chiglia ed un altro minore. Oltre il rio di San Gregorio, a destra, è visibile un magazzino di legnami dove sono adagiati alcuni remi e forse un albero di nave. ("Veduta di Venezia a volo d'uccello" di Jacopo de' Barbari, 1500).
  
L'Arte degli squeraroli si era costituita in confraternita, o Scuola, nel 1610 assieme agli squeraroli dell'Arsenale ed ai peatàri (costruttori di grosse barche da trasporto a fondo piatto, usate anche nella navigazione fluviale) dopo aver chiesto nel 1607 di distaccarsi dai marangoni da nave.
Avevano come protettrice Santa Elisabetta.
La mariegola (regola madre) del 1610 stabiliva le cariche direttive e il calendario relativo alle celebrazioni religiose da osservarsi e le disposizioni per l'accompagnamento dei confratelli defunti alla sepoltura.
Nel 1619 vennero aggiunte altre regole, come ad esempio la costituzione di un fondo destinato ad assistere i confratelli anziani o inabili al lavoro.
Gli squeraroli tenevano le loro riunioni e funzioni religiose presso la chiesa di San Bonaventura a Sant'Alvise. Nel 1621 si trasferirono nella chiesa di San Trovaso (Santi Gervasio e Protasio) e tra il 1626 ed il 1628 costruirono il loro altare di devozione (il primo a destra entrando) dove furono scolpiti i loro simboli: una gondola ed una cocca (un tipo di nave mercantile); sotto la gondola campeggia l'iscrizione:
«FV FINITO DETTO
ALTARE DELARTE DELLI
SQVERALIOLI DEL 1628
ADI 1S
[15] APRIL INTEMPO
D M ZVANE Q STEFAN°
FILINIH GASTALDO ET
CONPAGNI»
Al centro dell'antependium dell'altare è posto un tondo in cui compare ad altorilievo la "Visitazione della Vergine a Santa Elisabetta".
Lo stesso soggetto era presente nella pala d'altare oggi scomparsa e sostituita da una modesta opera di Giuseppe Barazzutti (1915-1966) rappresentante "S. Pio X in Gloria".
Sul pavimento davanti all'altare è posta la sepoltura degli squeraroli con la lastra tombale che reca l'iscrizione:
«CYMBAR, NAVIVMQ. FABROR,
SEPVLCRVUM
AERE OMNIVM COMMVNI
IOANNE CANDIOTO GASTALDIONE
BAPTISTA VEIA SCRIBANO
ET COLLEGIS
M. D. C. XXXV.
ID: IVN.»
sulla quale sono visibili ai lati, sopra la data, una gondola (a sinistra) ed una cocca (a destra).
Gli squeraroli dell'Arsenale invece si riunivano nella chiesa di San Domenico di Castello.
Dopo la caduta della Repubblica di Venezia, a seguito degli editti napoleonici del 1806, la corporazione, come tutte le altre esistenti a Venezia, venne soppressa.
  
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Pagina aggiornata il 19 gennaio 2016