Stampadòr (calle del)

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La calle del Stampadòr vista verso il suo ingresso in calle dei Orbi, sovrastato da una tipica merlatura veneziana.
A San Samuele.
Nonostante le pesanti manomissioni urbanistiche perpetuate alla fine del XIX secolo in questa zona, è sopravvissuta fino a noi questa calle che troviamo nominata in questo modo anche nel 1661, nonostante forse in quell'anno non ci fosse più stanziato uno stampatore.
Stampatore al quale fa riferimento invece una annotazione dei Necrologi Sanitari di un secolo prima: «A dì 2 novembre 1555. Oratio fio de m. Bortolo stampador - S. Samuele».
L'arte della stampa venne introdotta a Venezia attorno al 1469 da Giovanni da Spira (in tedesco Speyer) che per questa sua attività ricevette il 18 settembre 1469 il privilegio quinquennale dalla Signoria «...ut per annos quinque proxime futuros nemo omnino sit, qui velit, possit, valeat, audeatve exercere dictam artem imprimendorum librorum in hac inclyta civitate Venetiarum, & districtu suo, nisi ipsa Magister Johannes».
Giovanni da Spira non poté godere molto di questo privilegio quinquennale: infatti subito dopo morì ed a margine del documento venne apposta l'annotazione, che sembra scritta dalla stessa mano che aveva redatto il privilegio, «Nullius est vigoris, quia obiit Magister & Autor».
La morte lo sorprese mentre stava lavorando per dare alle stampe il "De Civitate Dei" di Sant'Agostino, opera che venne terminata nel 1470 dal fratello Vindelino, come è anche ricordato dai versi posti alla fine del volume:
«Qui docuit Venetos exscribi posse Ioannes
Mense fere trino centena volumina Plini,
Et totidem magni Ciceronis Spira libellos,
Coeperat Aureli; subita sed morte perentus,
Non potuit coeptum Venetis finire volumen.
Vindelinus adest eiusdem frater, & arte
Non minor, Hadriacaque morabitu urbe
                       M. CCCC. LXX.»
 
L'ingresso merlato in calle del Stampadòr dalla calle dei Orbi
A Giovanni da Spira successe il fratello Vindelino: ormai era spianata la strada per fare di Venezia la capitale mondiale dell'editoria in quei secoli con Nicolas Jenson (circa 1404-1480), che prima di mettersi in proprio aveva lavorato proprio con i fratelli Giovanni e Vindelino da Spira, i Manuzio (Aldo, Paolo e Aldo il giovane), Andrea Torresano (1451-1529) allievo dello Jenson del quale alla sua morte rilevò la sua tipografia e poi si era associato con Aldo Manuzio, che ne aveva sposato la figlia, Cristoforo Valdarfer, Franz Renner, Nicolò di Francoforte e Adam di Ambergau, i Giolito, i Giunti e tantissimi altri.
 
Lo scudo sagomato in pietra d'Istria che racchiude l'arma della famiglia Foscarini: è collocato sull'ingresso della calle del Stampadòr che guarda verso la calle dei Orbi.
 
Nel 1773 si contavano a Venezia 35 stamperie con 131 capimaestri, 18 garzoni, 318 lavoranti, 310 tra torcolanti e compositori, 51 addetti alle librerie e 42 botteghe da libraio.
Una situazione felice che, seppure mutate le condizioni, continuò in qualche modo fino a buona parte del Novecento: con il progredire delle tecniche di stampa diventava sempre più difficile trovare in città luoghi adatti ad ospitare i sempre più imponenti e moderni macchinari; così molti stabilimenti tipografici chiusero o si trasferirono nella Terraferma. Qualcuno resiste ancora e comunque sono presenti delle case editrici, piccole o piccolissime, che portano avanti l'antica tradizione editoriale veneziana.
Solo nel 1549 gli stampatori ed i librèri furono autorizzati a riunirsi in Scuola, anche se fin dal tempo di Giovanni da Spira, come abbiamo visto, dovevano ottenere il privilegium dalla Signoria; un privilegio di stampa, ovvero l'esclusiva a stampare una certa opera per un certo numero di anni, fu sancito più tardi, nel 1603.
In realtà nonostante l'autorizzazione ricevuta, non si riunirono subito, né si dotarono della Mariegola (la regola madre, o statuto), ma tennero la loro prima riunione per eleggere le cariche statutarie solo nel 1567, e solo dopo aver ricevuto almeno un rimprovero dal Consiglio di Dieci.
Si riunivano inizialmente, e fino al 1642, nella chiesa domenicana dei Santi Giovanni e Paolo dove avevano il proprio altare: i loro santi patroni erano San Tommaso d'Aquino e Santa Caterina per i quali Giovanni Bellini (circa 1430/3-1516) aveva dipinto la pala d'altare che rappresentava, inoltre, una Madonna in trono con Gesù. Quest'opera purtroppo non esiste più, essendo stata distrutta nell'incendio che nella notte tra il 15 ed il 16 agosto 1867 devastò la cappella del Rosario, dove si trovava.
Nel 1642 ottennero dai padri domenicani di poter disporre di un locale in muratura nel primo chiostro («...in claustro primo...») per 30 ducati annui (più 6 ducati per la celebrazione di 24 Messe).
  
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Pagina aggiornata il 31 dicembre 2016