Vechia (calle, sotopòrtego)

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Il "sotopòrtego" dal quale si accede nella calle Vechia.
In via Garibaldi.
Calle Vechia e sotopòrtego della Calle Vechia sono le denominazioni ufficiali che sono assegnate a questi luoghi dallo "Stradario del Centro Storico Veneziano" del Comune di Venezia del 2012.
Questa calle è piuttosto lunga e stretta ed in parte è il risultato delle demolizioni napoleoniche del 1806 che hanno portato alla formazione dei giardini di Castello.
Francesco Berlan (1821-1876) ipotizzava che potesse aver ricevuto questo nome con riferimento all'Ospitale di Messer Gesù Cristo, eretto per decreto del Senato del 7 settembre 1474, dopo la vittoriosa difesa di Scutari dall'assedio dei Turchi.
Era stato chiesto infatti al Papa Sisto IV (1414-1484) di poter costruire un luogo «...a ricetto dei vecchi marinai poveri ed infermi».
Le condizioni per essere accolti nell'ospizio variarono nel tempo: in genere comunque bisognava aver raggiunto o superato i sessant'anni d'età, non avere moglie ed aver servito la Signoria in determinate qualifiche marinaresche.
Alla fine del XVI secolo gli ospiti erano una trentina: ogni giorno avevano diritto a due pani di buona farina di frumento del peso di 10 once ciascuno, mezza libbra di vino buono, due scodelle di buona minestra «ben consa» (ben condita) e due soldi per potersi acquistare il companatico.
 
Su questo disegno di Giannantonio Selva, che fa parte del progetto per i giardini napoleonici di Castello, abbiamo indicato in giallo l'area dove esisteva l'Ospitale dei vecchi marinai ed in verde la calle Vechia. Da notare il rio di Sant'Iseppo (San Giuseppe) che li separa.
 
L'interno del "sotopòrtego".
Era assicurata anche la pulizia della persona: ogni giorno due donne erano destinate ad accudire i ricoverati, anche sotto il profilo dell'igiene personale.
L'ospitale era riscaldato nei tre mesi invernali e se qualche vecchio si ammalava il Priore dell'ospizio doveva dargli «...del vin, manestra e gazetta, comprarli vitello, over pollo, ova freschi, si come dal suo medico sarà ordinato».
Vicino a questo ospizio "dei vecchi marinai" esistevano altre strutture : l'Ospizio dei Marineri di San Nicolò, l'Ospitale de' Pellegrini e quello dei Marineri di S. Antonio. Non è agevole identificare con precisione quale era la loro ubicazione tanto erano raggruppati vicini.
Anche i disegni che ci ha lasciato Giannantonio Selva (1751-1819), «Piano del Giardino da conformarsi a Venezia nella Contrada di S. Pietro di Castello», non consentono di determinare con assoluta precisione l'esatta collocazione, mostrando l'Ospitale de' Pellegrini, l'Ospitale di Messer Gesù Cristo, o dei vecchi marinai poveri, il Seminario e la chiesa di San Nicolò come in un unico blocco edilizio che verrà demolito tra il 1806 ed il 1807 per lasciare spazio ai nuovi giardini pubblici.
Realisticamente l'ospitale dei vecchi marinai poveri si trovava, all'incirca, dove oggi c'è viale Trento nei giardini napoleonici di Castello.
Ci sembra pertanto azzardata l'ipotesi del Berlan di far derivare dalla presenza di quell'ospizio il nome della calle, sia per la distanza (i due luoghi non sono vicinissimi) sia perché separati anche da un canale, il rio di Sant'Iseppo (o San Giuseppe).
Si può quindi concordare con chi, ad esempio Giuseppe Tassini (1817-1899), ritiene che questo toponimo sia stato attribuito a seguito di queste modifiche urbanistiche ottocentesche.
Nella calle Vechia troviamo un esemplare di piera sbusa (pietra bucata): un particolare architettonico che si trova a Venezia soprattutto (ma non unicamente) su edifici di una certa importanza.
  
 
La calle Vechia vista verso il "sotopòrtego" d'ingresso. 
Una "piera sbusa" in calle Vechia.
  
Per quante siano state le ipotesi formulate sul perché di questi manufatti, che troviamo raffigurati anche in quadri del XIV-XV secolo, non si ha la certezza sul loro scopo.
Si parla di opere difensive: avrebbero dovuto accogliere delle sbarre di ferro sulle quali sarebbero state assicurate (non si sa come) delle bertesche per difendersi da eventuali assalti: ma tumulti di popolo non ci furono mai a Venezia e neppure attacchi nemici (l'unico esercito che ha calpestato il suolo di Venezia è stato quello napoleonico nel 1797).
Si parla di supporti per sostenere antenne alle quali i tintori avrebbero appeso i panni ad asciugare dopo essere stati colorati, ma ci sembra difficile che potessero disporre a tale scopo delle facciate di palazzi di pregio come quelli sul Canal Grande, oltre al fatto che sappiamo che i tintori per asciugare le stoffe usavano le altane e le chiovere.
Ancora si dice che servissero per asciugare la biancheria della casa e per appendervi arazzi e tappeti a decorazione della facciata; un quadro del Carpaccio tenderebbe a dimostrare questo utilizzo. Certo che per stendere la biancheria sarebbe bastato stendere una corda!
Quello delle piere sbuse resta un piccolo mistero: qui non resta che osservare questa solitaria pietra infissa in un modesto edificio di una calle stretta.
 
Stemma collocato accanto ad una finestra del secondo piano (di difficile lettura a causa della posizione).
 
All'altezza di una finestra al secondo piano di un edificio di calle Vechia, alzando lo sguardo, si può osservare uno scudo rotondo di difficile decifrazione (è in alto, la calle è stretta, l'unica visione possibile è dal basso all'alto con una forte angolazione; in questo punto il lato opposto della calle è sgombro di costruzioni).
Possiamo osservare solo una croce centrale ad incavo, mentre non si ha una visione che consenta di interpretare i segni laterali.
  
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Pagina aggiornata il 9 aprile 2017