La strada verso l'UPU
Moderatore: cialo
- francesco luraschi
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La strada verso l'UPU
Gli accordi iniziali del 1874 da cui è nata l’UPU sono lo step finale di un lungo cammino: dopo questa data infatti divenne possibile spedire in porto pagato (PP) verso gli Stati aderenti semplificando le tariffe e eliminando i vari diritti di transito. All’atto pratico osservando il frontespizio di una lettera da quell'anno fatidico si nota una ulteriore pulizia da segni grafici postali che avevano caratterizzato le spedizioni nei secoli precedenti e che già si era manifestata con l’introduzione dei francobolli.
Spedire in porto pagato anticamente non era da tutti: lo potevano fare i Tasso che avevano impiantato un sistema postale efficiente e non mancheranno di evidenziare questa speciale modalità di invio attraverso l’apposizione della croce di sant’Andrea anche direttamente sulle lettere: una sorta di pubblicità della ditta di un servizio eccezionale in un periodo in cui gli spostamenti erano difficoltosi e chi intraprendeva un lungo viaggio spesso faceva testamento.
Altrimenti ci si affidava al “popolo delle occasioni”: le lettere venivano veicolate da persone dirette verso la metà desiderata senza però alcun impegno in termini di tempo e sicurezza di consegna: addirittura si inviavano lettere in copia multipla su itinerari diversi sperando che almeno una giungesse a destinazione. In questo gruppo si fanno rientrare le lettere senza segni di posta, siano essi impronte a umido così come segni di tassa, e l’enigmatica annotazione “franca di porto” che saltuariamente troviamo sui frontespizi è la segnalazione al destinatario che il vettore è già pagato dal mittente e nulla è più dovuto.
La posta continuava a essere caratterizzata dall’invio in porto assegnato (PA), sia per motivi di etichetta e rispetto verso il destinatario sia perché si spronava il vettore alla consegna non avendo ancora incassato il dovuto, o in porto mediato quando venivano coinvolti più servizi postali e dove mittente e destinatario pagavano fino ad un punto non necessariamente entro i confini nazionali e un forwarder faceva da tramite.
E come dimenticare il capitolo delle poste estere dove il corriere, portando dalle lettere alle mercanzie a qualche passeggero occasionale a pagamento, attraversava il territorio estero con le lettere dentro una sorta di valigia diplomatica? In periodi di tensione queste valigie venivano aperte dai fermieri e le lettere sotto a tassa.
Poi venne il periodo napoleonico con la gestione manageriale della posta e l’occhio attento ai bilanci. E proprio in questo periodo compaiono i primi tipari ad umido PP e si cerca di diffondere l’invio prepagato. Senza molto successo: il seguente periodo austriaco vedrà ancora predominante la pratica dell’invio assegnato nonostante il direttore delle poste milanesi Giuliani definisse “mostruosa” la quantità di lettere inesitate.
Le spedizioni per l’estero erano poi soggette a convenzioni bilaterali in cui il PA e il PD spesso non erano contemplati, o lo divenivano solo negli accordi successivi, e la spedizione avveniva “franco confine” : di conseguenza una lettera imbucata senza il pagamento della relativa tassa innescava un meccanismo atto alla ricerca del mittente o del destinatario con ampio utilizzo di documenti ad hoc, tipari appositi o particolari combinazioni di timbri diversi per forma e colore.
Lo spartiacque per l’invio prepagato fu il francobollo, ovvero la vignetta autoadesiva, che introduceva però un’altra novità: per pagare la tassa di porto non era più necessaria la mediazione postale ma ognuno poteva fare da sé. Con una serie di disguidi che hanno dato vita a vere chicche spesso non riconosciute come tali. Infatti il francobollo era nato per la corrispondenza interna mentre per quella estera la posta richiedeva il pagamento in contanti. Già pochi giorni dopo il 1 giugno 1850 tuttavia ci fu chi usò bollini da lettera per l’estero, probabilmente perché conosceva l’esatta tariffa, e non si avvalse della consulenza dei postali che di fronte ad un’affrancatura in regola non potevano che dare il consenso alla spedizione. Una pratica rischiosa comunque dato che le convenzioni bilaterali spesso non prevedevano l’uso del francobollo e l’affrancatura insufficiente sarebbe stata considerata persa. Solo più avanti si stabilì di tassare solo per l’importo mancante.
E con l'introduzione dei francobolli nei vari Stati italiani nasce la Lega Postale Italica, una comunità postale di chiara ispirazione asburgica che uniformava gli scaglioni di peso e distanza e le relative tariffe. Sparisce il porto mediato "franco frontiera", viene penalizzato il PA e compare il PD: vi aderiscono oltra all'Austria e il LV i ducati di Modena, Parma, il Pontificio e la Toscana.
Poi arrivò l’UPU e l'argomento divenne di caratura mondiale.
Mi scuso innanzitutto con Laurent per il ritardo nella pubblicazione del post. Aggiungo quindi una serie di esempi senza ovviamente volere essere esauriente in tema dato che l'argomento è approfondibile a livello planetario e la casistica è infinita.
- documento tassiano con il simbolo X
- francobollo austriaco raffigurante Lorenzo Bordogna Taxis, primo mastro della posta a Trento a metà 500 con in mano un mazzo di lettere ancora chiuso con lo spago a croce. Su un lato del plico si intravede il segno di croce con delle lettere intorno che sembrano essere "cito" ripetuto (ingrandendo il particolare si nota meglio). Cosa indicava? Franchigia o porto pagato? Forse un po' di entrambe e in più, in ogni caso, serviva a caratterizzare il tipo di invio e a rammentare ai mastri di posta lungo la strada o delle località dove il dispaccio era stato scambiato o ritrasmesso che il destinatario era esente dal porto e quindi dovevano avviare il mazzo senza pretendere pagamento.
Francesco
Spedire in porto pagato anticamente non era da tutti: lo potevano fare i Tasso che avevano impiantato un sistema postale efficiente e non mancheranno di evidenziare questa speciale modalità di invio attraverso l’apposizione della croce di sant’Andrea anche direttamente sulle lettere: una sorta di pubblicità della ditta di un servizio eccezionale in un periodo in cui gli spostamenti erano difficoltosi e chi intraprendeva un lungo viaggio spesso faceva testamento.
Altrimenti ci si affidava al “popolo delle occasioni”: le lettere venivano veicolate da persone dirette verso la metà desiderata senza però alcun impegno in termini di tempo e sicurezza di consegna: addirittura si inviavano lettere in copia multipla su itinerari diversi sperando che almeno una giungesse a destinazione. In questo gruppo si fanno rientrare le lettere senza segni di posta, siano essi impronte a umido così come segni di tassa, e l’enigmatica annotazione “franca di porto” che saltuariamente troviamo sui frontespizi è la segnalazione al destinatario che il vettore è già pagato dal mittente e nulla è più dovuto.
La posta continuava a essere caratterizzata dall’invio in porto assegnato (PA), sia per motivi di etichetta e rispetto verso il destinatario sia perché si spronava il vettore alla consegna non avendo ancora incassato il dovuto, o in porto mediato quando venivano coinvolti più servizi postali e dove mittente e destinatario pagavano fino ad un punto non necessariamente entro i confini nazionali e un forwarder faceva da tramite.
E come dimenticare il capitolo delle poste estere dove il corriere, portando dalle lettere alle mercanzie a qualche passeggero occasionale a pagamento, attraversava il territorio estero con le lettere dentro una sorta di valigia diplomatica? In periodi di tensione queste valigie venivano aperte dai fermieri e le lettere sotto a tassa.
Poi venne il periodo napoleonico con la gestione manageriale della posta e l’occhio attento ai bilanci. E proprio in questo periodo compaiono i primi tipari ad umido PP e si cerca di diffondere l’invio prepagato. Senza molto successo: il seguente periodo austriaco vedrà ancora predominante la pratica dell’invio assegnato nonostante il direttore delle poste milanesi Giuliani definisse “mostruosa” la quantità di lettere inesitate.
Le spedizioni per l’estero erano poi soggette a convenzioni bilaterali in cui il PA e il PD spesso non erano contemplati, o lo divenivano solo negli accordi successivi, e la spedizione avveniva “franco confine” : di conseguenza una lettera imbucata senza il pagamento della relativa tassa innescava un meccanismo atto alla ricerca del mittente o del destinatario con ampio utilizzo di documenti ad hoc, tipari appositi o particolari combinazioni di timbri diversi per forma e colore.
Lo spartiacque per l’invio prepagato fu il francobollo, ovvero la vignetta autoadesiva, che introduceva però un’altra novità: per pagare la tassa di porto non era più necessaria la mediazione postale ma ognuno poteva fare da sé. Con una serie di disguidi che hanno dato vita a vere chicche spesso non riconosciute come tali. Infatti il francobollo era nato per la corrispondenza interna mentre per quella estera la posta richiedeva il pagamento in contanti. Già pochi giorni dopo il 1 giugno 1850 tuttavia ci fu chi usò bollini da lettera per l’estero, probabilmente perché conosceva l’esatta tariffa, e non si avvalse della consulenza dei postali che di fronte ad un’affrancatura in regola non potevano che dare il consenso alla spedizione. Una pratica rischiosa comunque dato che le convenzioni bilaterali spesso non prevedevano l’uso del francobollo e l’affrancatura insufficiente sarebbe stata considerata persa. Solo più avanti si stabilì di tassare solo per l’importo mancante.
E con l'introduzione dei francobolli nei vari Stati italiani nasce la Lega Postale Italica, una comunità postale di chiara ispirazione asburgica che uniformava gli scaglioni di peso e distanza e le relative tariffe. Sparisce il porto mediato "franco frontiera", viene penalizzato il PA e compare il PD: vi aderiscono oltra all'Austria e il LV i ducati di Modena, Parma, il Pontificio e la Toscana.
Poi arrivò l’UPU e l'argomento divenne di caratura mondiale.
Mi scuso innanzitutto con Laurent per il ritardo nella pubblicazione del post. Aggiungo quindi una serie di esempi senza ovviamente volere essere esauriente in tema dato che l'argomento è approfondibile a livello planetario e la casistica è infinita.
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- francobollo austriaco raffigurante Lorenzo Bordogna Taxis, primo mastro della posta a Trento a metà 500 con in mano un mazzo di lettere ancora chiuso con lo spago a croce. Su un lato del plico si intravede il segno di croce con delle lettere intorno che sembrano essere "cito" ripetuto (ingrandendo il particolare si nota meglio). Cosa indicava? Franchigia o porto pagato? Forse un po' di entrambe e in più, in ogni caso, serviva a caratterizzare il tipo di invio e a rammentare ai mastri di posta lungo la strada o delle località dove il dispaccio era stato scambiato o ritrasmesso che il destinatario era esente dal porto e quindi dovevano avviare il mazzo senza pretendere pagamento.
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- francesco luraschi
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Re: La strada verso l'UPU
1664- Da Roma a Milano con il corriere di Milano. Spedizione in porto assegnato per 3 soldi
1785- Da Milano a Parigi in porto mediato. In alto a sinistra è siglata la "mezza posta"
Francesco
1785- Da Milano a Parigi in porto mediato. In alto a sinistra è siglata la "mezza posta"

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- francesco luraschi
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Re: La strada verso l'UPU
- Dal LV alla Francia prima e dopo la convenzione del 1844: prima di questa data una lettera andava affrancata fino al confine altrimenti non partiva. Da qui la ricerca del mittente, la pubblicazione delle lettere giacenti in attesa di affrancatura presso gli uffici postali e a volte la richiesta al destinatario di pagamento della tassa.
Milano timbrava queste lettere con il bollo AFFRANCATA POSTERIORMENTE: sono caratterizzate da date di partenza e arrivo molto distanti.
- Sulla stessa tratta dopo la convenzione: ecco che compaiono il PD e il PA prima non ammessi. L'ufficio di Milano usa tipari di forma diversa per le due spedizioni. Il rosso è comune ma potrebbe essere un caso: di solito era riservato alle spedizioni in PA e alle raccomandate anche in porto mediato
Francesco
Milano timbrava queste lettere con il bollo AFFRANCATA POSTERIORMENTE: sono caratterizzate da date di partenza e arrivo molto distanti.
- Sulla stessa tratta dopo la convenzione: ecco che compaiono il PD e il PA prima non ammessi. L'ufficio di Milano usa tipari di forma diversa per le due spedizioni. Il rosso è comune ma potrebbe essere un caso: di solito era riservato alle spedizioni in PA e alle raccomandate anche in porto mediato

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- francesco luraschi
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Re: La strada verso l'UPU
- Da Milano verso gli ASI aderenti alla convenzione: spedizione in PD assolta con francobolli.
Ovviamente la casistica è infinita, basti solo pensare alle lettere gettate in buca in periodo filatelico di LV e prefilatelico degli altri ASI, praticamente preconvenzione, e a come venivano lavorate. Oppure alle lettere pagate in contanti o con francobolli fino ad un determinato confine lasciando al destinatario da pagare la tratta residua.
Francesco
Ovviamente la casistica è infinita, basti solo pensare alle lettere gettate in buca in periodo filatelico di LV e prefilatelico degli altri ASI, praticamente preconvenzione, e a come venivano lavorate. Oppure alle lettere pagate in contanti o con francobolli fino ad un determinato confine lasciando al destinatario da pagare la tratta residua.

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- francesco luraschi
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Re: La strada verso l'UPU
Eccone una dal LV a Napoli:
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Re: La strada verso l'UPU

grazie per l'interessantissimo argomento e il bel campionario proposto


Laurent

Propongo un modesto contributo : lettera spedita da Trieste nel marzo 1857. Spedita "via di mare" e pertanto affrancata a 6 kreuzer, sbarcata a Brindisi, arrivo a Napoli il 23 (bollo rosso a tergo). La soprascritta reca il 12 di tassazione* interna al Regno duosiciliano, cioè per distanza oltre le 150 miglia (tariffa prefilatelica del 1845).
* precisazione che mi ha dato Pasfil qualche tempo fà

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Re: La strada verso l'UPU
francesco luraschi ha scritto:
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Beh, il passaggio non fu poi così brusco.
In mezzo ci stanno 14 anni di unità nazionale (1861-1875) in cui il governo italiano stipulò molte convenzioni, rinnovando e modernizzando alcune (Spagna, Svizzera, Austria) o ex-novo con parecchi stati sovrani, alcuni anche remoti (Stati Uniti 1868, Russia 1874).
Gli accordi di Berna portarono sì ad un unificazione delle tariffe e normative su scala europea (anche gli Stati Uniti vi aderirono, ma la tariffa per gli Stati Uniti era un po' più alta per compensare il tragitto transatlantico) ma negli anni precedenti la politica delle convenzioni aveva già causato un calo drastico delle tariffe (ad es. da L 1,20 a c.55 per gli USA, da L.1 a c. 50 per la Russia, da c.70 a c.40 per l'Olanda, eccetera.
Inoltre nei primi anni '70 il prepagamento delle lettere era cosa di fatto anche nel traffico internazionale (con l'importante eccezione delle lettere provenienti dall'America Latina che erano praticamente sempre con tassa a carico del destinatario). Il vero principio portante del Trattato di Berna non fu il prepagamento delle lettere, bensì l'eliminazione dei diritti degli stati terzi.
Andrea
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Sono interessato alla Storia Postale e ai Classici di tutto il mondo.
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- francesco luraschi
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- Località: Como
Re: La strada verso l'UPU
Andrea,
ti ringrazio per la precisazione riguardante un periodo che conosco poco. Ovviamente il mio intervento era un semplice "canovaccio" ad integrazione perenne: infatti ho sfiorato argomenti che abbracciano tre secoli di storia postale.
Mancano tanti casi che non possiedo ma che chiunque può aggiungere attingendo dalle proprie collezioni, dai cataloghi d'asta e dalla rete
Francesco
Revised by Lucky Boldrini - December 2015
ti ringrazio per la precisazione riguardante un periodo che conosco poco. Ovviamente il mio intervento era un semplice "canovaccio" ad integrazione perenne: infatti ho sfiorato argomenti che abbracciano tre secoli di storia postale.
Mancano tanti casi che non possiedo ma che chiunque può aggiungere attingendo dalle proprie collezioni, dai cataloghi d'asta e dalla rete

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