Come sia proseguita, da quel giorno, la vita nel Paese centroeuropeo si può riassumere così: i Cechi e gli Slovacchi dovettero trattenere il fiato per altri ventun'anni.
Per ricordare i fatti di quarant'anni fa voglio lasciare nel forum alcune immagini di quelli, tra i protagonisti, che hanno trovato spazio nei francobolli. Però inizio con due francobolli che non sono dedicati a persone e che non poterono essere emessi:
Si tratta di un'emissione preparata per celebrare il XIV congresso del Partito Comunista Cecoslovacco (PCCS), che avrebbe dovuto attuare i principi sui quali si basava il nuovo corso di Dubček. Il Congresso, previsto per il Settembre 1968, si potè tenere clandestinamente sotto il naso degli occupanti, in una fabbrica nella periferia di Praga, con la presenza del numero legale dei delegati. Ovviamente le decisioni prese, perfettamente allineate con le tesi di Dubček, non poterono essere attuate.
Altrettanto ovviamente i francobolli non furono emessi.
Ecco il protagonista del tentativo democratico cecoslovacco, Alexander Dubček, in un foglietto dedicatogli nel 2001 dalle Poste di Slovacchia:
E' curioso notare che lo statista sia stato ignorato del tutto dalle Poste della Repubblica Ceca, ma il questo si spiega col fatto che Dubček era Slovacco.
Colui che divenne il simbolo della dignità del popolo cecoslovacco, lo studente ventenne Jan Palach, lo si può vedere in un'emissione (1991) della Cecoslovacchia ancora unita:
Nell'appendice si evocano le fiamme nelle le quali si fece torcia di testimonianza di amore della libertà, il 19 gennaio 1969, in piazza San Venceslao, vicino al monumento al principe-santo Venceslao (Vaclav).
Inserisco anche l'immagine del piccolo monumento che i Praghesi gli dedicarono, posto nell'esatto luogo del sacrificio:
In esso è ricordato anche l'altro giovane, Jan Zajíc, che si sacrificò come Palach, per le stesse ragioni, il 25 Febbraio 1969. Accanto alla piccola lapide, non mancano mai i fiori.
Avrei voluto scrivere molto di più, ma non voglio tediare. Quello che ho scritto l'ho sentito come un dovere.
In conclusione auspico che non ci sia mai più bisogno di testimoniare con l'offerta della vita l'amore di libertà ma che non si dimentichi mai la tragedia del Popolo Cecoslovacco, iniziata esattamente quarant'anni fa. Sarebbe triste se il valore della libertà fosse avvertito, come accade per l'aria che si respira, solo quando non c'è.
Non riesco ad evitare di trascrivere le parole della canzone che Francesco Guccini dedicò alla Primavera di Praga ed al sacrificio di Jan Palach:
Di antichi fasti la piazza vestita
grigia guardava la nuova sua vita
come ogni giorno la notte arrivava
frasi consuete sui muri di Praga
Ma poi la piazza fermò la sua vita
e breve ebbe un grido la folla smarrita
quando la fiamma violenta ed atroce
spezzò gridando ogni suono di voce
Son come falchi quei carri appostati
e corron parole sui visi arrossati
corre il dolore bruciando ogni strada
e lancia grida ogni muro di Praga
Quando la piazza fermò la sua vita
sudava sangue la folla ferita
quando la fiamma col suo fumo nero
lasciò la terra e si alzò verso il cielo
Quando ciascuno ebbe tinta la mano
quando quel fumo si sparse lontano
Jan Hus ancora sul rogo bruciavo
all'orizzonte del cielo di Praga
Dimmi, chi sono quegli uomini lenti
coi pugni stretti e con l'odio fra denti
Dimmi, chi sono quegli uomini stanchi
di chinare la testa e di andare avanti
Dimmi chi era che il corpo portava
la città intera che lo accompagnava
la città intera che muta lanciava
una speranza nel cielo di Praga
Dimmi chi era che il corpo portava
la città intera che lo accompagnava
la città intera che muta lanciava
una speranza nel cielo di Praga
una speranza nel cielo di Praga
una speranza nel cielo di Praga
Al funerale di Jan Palach partecipò approssimativamente un milione di persone, in una città di circa un milione di abitanti. Fu l'ultima manifestazione libera, per più di vent'anni. Gli occupanti non mossero un dito.
A chi avesse letto, grazie della pazienza, nella speranza che sia scusato questo intervento di un sessantenne che vede i fatti di quarant'anni fa come se fossero avvenuti ieri.

