
....ma quel
gennaio 1858 è da ricordare anche per la nascita ...non a Napoli...ma nella vicinissima Sorrento di un attore,oggi quasi dimenticato.....ma che ho il piacere di riportare alle nostre modestissime cronache storico-filateliche ....tratto da uno scritto di Giuliana Muscio
Cesare Gravina: da Sorrento a Hollywood Cesare Gravina (Sorrento,
23.1.1858 – Napoli?, 1954) si trasferisce negli Stati Uniti nel 1914 per esibirsi come musicista nel mondo dello spettacolo degli emigrati. Alcune biografie lo definiscono “segretario personale di Caruso” (del quale era grande amico) , informazione presa sul serio dai cineasti americani se egli esordisce accanto a Mary Pickford proprio con una Madame Butterfly (Sidney Olcott, 1915). Con l’attrice americana, Gravina interpreta anche Less Than the Dust (John Emerson, 1916) del quale Stroheim – il regista che meglio lo utilizzò – è assistente alla regia, e Poor Little Peppina (Olcott, 1916), ambientato in parte in Italia, a fianco di Antonio Maiori, il grande interprete di Shakespeare in italiano a New York.
La fortuna cinematografica di Gravina è legata principalmente a Erich von Stroheim, del quale è uno degli attori favoriti: è Ventucci, l’uomo che uccide il conte-Stroheim in Foolish Wives (Femmine folli; 1922), il burattinaio in Merry-Go-Round (Donne viennesi; 1923), Zerkow in Greed (Rapacità; 1924) e il padre della povera Mitzi in The Wedding March (Sinfonia nuziale; 1928). Se è vero, come scrive Richard Koszarski, che il regista lo aveva scelto perché “pensava che questo tipo di attore avrebbe avuto meno manierismi teatrali da dimenticare e sarebbe stato un veicolo più malleabile per le sue idee”, ciò accade non perché Gravina avesse recitato nel cinema comico muto italiano, , quanto piuttosto per il suo lavoro sui vivaci palcoscenici degli emigrati italiani, che mescolavano tragico e comico, le tradizioni della commedia dell’arte con quelle dello spettacolo partenopeo, la musica con il teatro classico. Dotato sia della versatilità dell’interprete italiano che dell’inclinazione alla recitazione naturalista legata allo spettacolo meridionale, Gravina porta nel cinema americano muto una variante verista che ben si associa al realismo di Stroheim, usando i gesti e il linguaggio del suo corpo – basso e segaligno – con l’espressività tipica del meridionale e sfruttando i propri tratti sgraziati ma mobili per passare dal truce al patetico in un istante.
Gravina ha interpretato una sessantina di pellicole, tutte nel periodo del muto, lavorando a fianco di personaggi quali Jackie Coogan in Circus Days (Il piccolo saltimbanco; Edward Cline, 1923) e Daddy (Papà; E. Mason Hopper, 1923), Lon Chaney in The Hunchback of Notre Dame (Nostra Signora di Parigi; Wallace Worsley, 1923) e The Phantom of the Opera (Il fantasma dell’opera; Rupert Julian, 1925), Pola Negri in The Charmer (Olcott, 1925) e Flower of Night (Paul Bern, 1925), Gloria Swanson in The Humming Bird (Sidney Olcott, 1924), affollato di interpreti italiani nella banda apache parigina, Conrad Veidt in The Man Who Laughs (L’uomo che ride; Paul Leni, 1927), dove interpreta Ursus, l’uomo che si prende cura del ragazzo deforme, Dolores Del Rio in The Trail of ‘98 (La sete dell’oro; Clarence Brown, 1928) e Greta Garbo e Lars Hanson in The Divine Woman (Victor Sjöström, 1928). In questi film di prestigio egli ha un ruolo importante dal punto di vista narrativo, costruito a misura delle sue doti di performer e proposto in piani ravvicinati, ma la durata complessiva della sua presenza in scena rimane limitata, anche se non si riduce mai a funzione di contorno. (Come altri interpreti italiani dello muto americano, da Frank Puglia a Henry Armetta, da Fred Malatesta ad Albert Conti, è difficile definirne il ruolo, che eccede quello del caratterista ma non è a pieno un comprimario.)
Tra le interpretazioni di Gravina troviamo impresari teatrali o personaggi collegati al mondo del circo e dello spettacolo, ma anche aristocratici, ladruncoli e persino vecchietti del west. Data la sua associazione con la musica, spesso i suoi ruoli filmici sono legati all’ambiente musicale, poiché, come scriveva Richard de Cordova, Hollywood collega i personaggi del film ai dati biografici dell’interprete, quando intende creare delle “picture personalities” e riconoscere cioè ciò che il pubblico può già sapere di quell’attore.
Secondo un’altra implicita regola del casting hollywoodiano del muto, interpreti appartenenti a un’etnia scomoda (come all’epoca gli italiani) raramente “raddoppiano” la propria etnicità nel personaggio; Gravina sfugge in parte a questa norma cautelativa, interpretando oltre a cinesi, indiani e continentali, un buon numero di italiani. Interessante la figura dell’emigrato Tony Sartori di The Man in Blue (Edward Laemmle, 1925), che si muove in una Little Italy insolitamente verosimile nella rappresentazione della comunità italo-americana, con una precoce presentazione di boss mafioso ma anche di giornalista progressista che ne denuncia le malefatte. Gravina interpreta il fiorista di strada, padre di una graziosa napoletana (Madge Bellamy, concupita dal boss e innamorata di un poliziotto irlandese) ma viene messo in ridicolo dalla scimmietta dell’inevitabile suonatore d’organetto: i pregiudizi antitaliani emergono come sintomi nel silenzio che circonda la presenza italiana a Hollywood, prima del neorealismo.
Molte recensioni del New York Times di quegli anni dedicano a Gravina uno spazio insolitamente cospicuo rispetto al suo ruolo nel film; un ritaglio stampa legge: “interpreta nel cinema vecchietti patetici, sconfitti dalla vita, ma falliti di spirito allegro … In Merry-Go-Round ha dato allo schermo uno dei suoi momenti più felici. Lo ricordate di certo nel ruolo del vecchio clown che, mentre sta morendo, continua a sorridere ai bambini, e a fare i suoi scherzetti perché non lo vedano soffrire [il film è Circus Days].”
Un ammiccare ora minaccioso ora ironico, l’espressività del volto e una gestualità efficace lo propongono come interprete ideale per il cinema muto; egli ha un ruolo di primo piano nel cinema verista di Stroheim – la vittima o in casi più rari il carnefice, nel confronto col quale si mette a fuoco il lavoro interpretativo del protagonista, a volte di Stroheim stesso, come nella scena dell’assassinio di Femmine folli. In altri film i suoi personaggi toccano le corde del patetico, tra padri che difendono l’onore delle figlie e anziani che proteggono bambini – uno stereotipo sentimentale in linea con l’immagine “buona” degli italiani nel muto americano, evidente nei film con Jackie Coogan, verso il quale si propone in una versione meno sentimentale di Charlot.
Interessante che egli appaia in due dei film più accurati nell’ambientazione italiana o italo-americana, quali Poor Little Peppina, in cui è uno dei mafiosi che rapiscono la piccola americana Mary Pickford “italianizzandola” non solo nel nome Peppina, ma anche nei gesti (con un “che vuoi?” fatto con la mano a cucchiaio e con una tarantella campestre); altrettanto verosimile è la Little Italy di The Man in Blue, quasi che Gravina avesse fatto funzione di consulente scenografico-culturale in questi film. A maggior ragione piace quindi sottolineare come entrambe le pellicole diano una rappresentazione negativa dei mafiosi, rivelando il precoce desiderio della comunità dello spettacolo immigrato di dissociarsi dalla mafia.
Poco si sa di Cesare Gravina dopo l’avvento del sonoro: pare sia rientrato in patria, smettendo la carriera cinematografica anche perché ormai settantenne. Un mistero storiografico che la scarsa consistenza della storiografia sugli attori italiani emigrati non aiuta a dissipare.
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