Ciao Francesco,
non vedo come gli ASI possano sottrarsi a questa materia; pur cambiando i regimi politici e costituzionali, il nuovo normalmente incamera tutti i beni del vecchio ivi inclusi gli archivi ecc. su cui il nuovo regime esercita ogni diritto.
Quella benedetta legge del 1928 dice che gli enti possono alienare le carte che a giudizio dell'autorità non necessitino di una ulteriore consultazione. Ma a questo non ha fatto seguito un censimento delle carte alienate. Così, 85 anni dopo, il capriccio di un sovrintendente può far dichiarare "bene culturale" quello che anni prima non era considerato tale e lo sottopone a notifica o, qualora vi sia il sospetto di una provenienza illecita ai sensi del codice dei beni culturali, ne chiede il sequestro.
Quando fu pubblicato il Codice Urbani non tutti compresero il potenziale pericolo per la libera circolazione/possesso/commercializzazione delle collezioni di libri, manoscritti, fondi archvistici (per non parlare di monete, oggetti archeologici, fossili e minerali già sottoposti a numerose quanto capricciose restrizioni).
Con l'entrata in vigore del Codice Urbani e successive implementazioni, si sarebbe dovuto pensare a una sorta di censimento (una denuncia di possesso alle sovrintendenze da parte dei proprietari) dei materiali in mani private provenienti da archivi pubblici, così da mettere al riparo i legittimi possessori da eventuali accuse di furto, o ricettazione, o incauto acquisto (che sono, immagino, i reati ipotizzati a sostegno dei sequestri).
Mi sembra che in tutto questo il legislatore si sia mosso con molta leggerezza, con una posizione pregiudiziale a favore dello Stato e a danno del possesso privato; ma mi sembra anche che le categorie coinvolte, commercianti e collezionisti, non siano riuscite a far correggere il tiro.
Lo Stato non obbliga gli enti pubblici a un regesto dei loro fondi archivistici (solo in questo modo si potrebbe dimostrare che un documento "pubblico" è lecitamente o illecitamente detenuto in mani private), MA fa ricadere sul possessore l'onere della dimostrazione (in barba al precedente costitutito dalla succitata legge del 1928).
In questo mi sembra che lo Stato segua i principi di fondo della convenzione internazionale UNIDROIT 95 (vedi
http://www.unidroit.org) di cui l'Italia è stata portabandiera (l'istituto ha sede a Roma non lontano dal Quirinale). Questa è un'altra mina vagante che in Italia sembra ignorata dai più, mentre all'estero ne abbiamo discusso ampiamente più di 10 anni fa.
Se la cosa ti interessa, quando ci vedremo, ti racconterò in dettaglio.
Amedeo