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Marco73 ha scritto: 9 dicembre 2024, 11:53
... questo tuo modo di ragionare abbia contribuito, naturalmente non in modo esclusivo, a creare quel solco oramai incolmabile tra i valori teorici di catalogo e quelli reali di mercato. Tale solco oltre a rappresentare, a mio avviso, una vergogna per la filatelia italiana non permette a molti neofiti ad avvicinarsi al nostro hobby in quanto spaventati dalle quotazioni esorbitanti.
Sai cosa direi io a un giovane che volesse iniziare a collezionare (Antichi Stati)?
Non già "diventa il perito di te stesso", bensì "diventa il catalogo di te stesso", impara a dare un valore alle cose, senza mai aspettarti che altri possano farlo al posto tuo.
Marco73 ha scritto: 9 dicembre 2024, 11:53
Tuttavia, ritengo che questo tuo modo di ragionare abbia contribuito, naturalmente non in modo esclusivo, a creare quel solco oramai incolmabile tra i valori teorici di catalogo e quelli reali di mercato. Tale solco oltre a rappresentare, a mio avviso, una vergogna per la filatelia italiana non permette a molti neofiti ad avvicinarsi al nostro hobby in quanto spaventati dalle quotazioni esorbitanti.
Questa è un'argomentazione che - in generale - mi è sempre rimasta oscura, e mi sorprendo - sinceramente - che a proporla sia un collezionista d'esperienza come te, senza secondi fini.
Se mi chiedessero "cosa vuol dire collezionare Antichi Stati?" direi - secco - "significa imparare a dare un valore alle cose, significa capire 'quanto vale l'oggetto', nel duplice senso di 'quale valore aggiunge alla collezione' e 'quale valore riceve dalla collezione', in un gioco di specchi in cui ogni cosa è - al tempo stesso - causa ed effetto, e poi inchiodare questo complesso di valutazioni filateliche e collezionistiche in un prezzo".
Il catalogo può scrivere quel che vuole, e io posso far entrare quella quotazione nella mia base informativa, che avrà comunque altri "n" elementi valutativi, e che con la quotazione di catalogo diventeranno "n+1"; ma se mi serve un catalogo per capire quanto pagare un pezzo, beh, lasciami dire, c'è un grave errore di metodo.
Buonasera a tutti
secondo me è molto interessante l argomento di cui dibattete
personalmente penso che il collezionista veramente appassionato nel pensiero di costruire quella che sarà la sua collezione
e per la quale ci impiega una vita, intesa come una cinquantina di anni
non pensa al costo e necessariamente a quello che sarà il ritorno economico
lo tiene a riferimento come metro di paragone, ma poi in fondo lo ignora quando capita l'oggetto veramente giusto per lui
è la conoscenza la cosa che ti permette di costruire il tutto nella maniera desiderata.
Non sempre comprando un francobollo o un documento su cui molto si accaniscono e per il quale il prezzo lievita diciamo compri bene
se non conosci come veramente esistono in giro, non sei a niente
ho basato sempre la mia visione collezionistica sulla ricerca, ho cominciato ad acquistare i vecchi cataloghi d'asta quando nessuno lo faceva
in questa maniera hai ben chiaro cosa esiste, cosa fa per te a pieno, cosa prendere
Ho cercato negli anni di spiegare questo concetto a molti collezionisti, qualcuno ha capito, molti hanno capito il giusto e confondono tutt'oggi la qualità
Un caro saluto a tutti Max
Daniele ha scritto: 9 dicembre 2024, 23:20
Napoli1860.
Visto che ti muove la passione, perché non hai offerto i 18.000 euro per la busta di Sicilia?
Alla fine questo é il punto.
Il punto è che ogni collezionista opera con risorse limitate - persino Naddei, figurati - e quindi deve avere, non chiare, ma cristalline, le sue priorità. E ai primi posti - per me - ci sono queste lettere, che complessivamente potrebbero cubare proprio 18.000 euro.
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Le mie fiches preferisco puntarle su queste lettere, perché nell'economia della mia collezione, nella narrazione che la mia collezione propone, queste lettere "parlano di più", e dicono "cose più interessanti", che non la pur eccezionale lettera di Sicilia.
In filatelia - alla fine - bisogna fare delle scelte: alla fine questo è il punto.
Non hai i permessi necessari per visualizzare i file allegati in questo messaggio.
Tutto molto bello, molto saggio e perfino molto romantico.
Ma resta il fatto che questa "passione collezionistica" che rende ogni collezionista "catalogo di se stesso" non è una qualità innata. E' un qualcosa che si sviluppa e cresce con la collezione stessa.
E resta anche il fatto che per chi si avvicina con curiosità a questo mondo il catalogo resta il primo riferimento, il primo strumento per perlustrare il collezionabile. Poi sappiamo tutti che "la Filatelia inizia dove il catalogo finisce", come recitava in firma un amico che ha smesso da tempo di scrivere su questo Forum, ma per ogni collezionista il catalogo resta un primo impatto imprescindibile col mercato filatelico.
Quindi cataloghi che riportin o quotazioni totalmente fuori mercato come i nostri possono rappresentare un serio deterrente per chi si avvicini alla filatelia senza, ancora, un'idea precisa di cosa sia in realtà il mercato. E', a mio modo di vedere, un problema serio che diviene sempre più urgente nel momento, come l'attuale, in cui c'e penuria di collezionisti potenziali.
Andrea
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Sono interessato alla Storia Postale e ai Classici di tutto il mondo.
Ci sono molte dinamiche in gioco nella nostra filatelia.
Se i cataloghi non fanno variazione dei prezzi ogni anno, di cosa vivrebbero se non li stampassero ogni anno?
Ne ho chiesto conto ad un noto commerciante di Milano (da qualche anno casa d'Asta) e riconosciuto collaboratore del catalogo Sassone. La risposta è stata disarmante: il valore di catalogo è un valore di riferimento che si basa sull'equilibrio dei quantitativi disponibili sul mercato in base a delle ipotesi di quantità.
Poi ogni settore ha le sue vivacità o meno.
Faccio sempre lo stesso esempio con due francobolli che (crediamo) abbiano una tiratura comparabile fra loro: il Gronchi rosa e la Lira di Modena. A cosa si deve il divario dei prezzi in cui possiamo comprarli?
Col tempo si impara a non farsi prendere dalla smania di acquisto e dalla compulsivitá. I collezionisti sono sempre meno, basta nelle aste non rilanciare e attendere che i lotti si ripresentino nel tempo a prezzi inferiori come vuole la legge di mercato. Un gronchi rosa oggi lo si trova in asta a 250 - 300 euro, a venderlo a 600 euro é rimasto forse solo Vaccari. Basta non avere fretta e guardarsi intorno.
La tendenza al ribasso che riguardava serie comuni ( ora proposte quasi sempre in lotti), intacca pezzi di medio valore e nel tempo anche i pezzi unici ( sic!) dovranno rivedere le proprie quotazioni. I cataloghi non li compro da 15 anni, non collezionando moderni, e il prezzo neanche lo guardo, meglio riferirsi ai cataloghi d asta degli ultimi 2-3 anni e poi a scalare.
Colleziono ASFE, poste locali, bogus e phantom stamps.
Raccoglione di Lombardo Veneto
Bitcoin since 2011
Daniele ha scritto: 1 aprile 2025, 16:24
Un gronchi rosa oggi lo si trova in asta a 250 - 300 euro, a venderlo a 600 euro é rimasto forse solo Vaccari.
Settimana scorsa ho visto in vetrina da Bolaffi in via Manzoni a Milano, un Gronchi rosa a 950,00€
Forse Bolaffi pensa di essere ancora negli anni 80. O forse lo sono i suoi clienti.
Basta informarsi in rete , dove penso le nuove generazioni non abbiano problemi a raccogliere informazioni.
Colleziono ASFE, poste locali, bogus e phantom stamps.
Raccoglione di Lombardo Veneto
Bitcoin since 2011
Anch’io credo che i cataloghi italiani (e sottolineo italiani in quanto in generale questo non accade all’estero), riportando valutazioni apparentemente fuori mercato, possano rappresentare un freno a chi si avvicina da neofita alla filatelia. Però, francamente, questo avviene o può avvenire giusto per i neofiti. Come dice Napoli1860, con un po' di esperienza (e passione), un collezionista crea dei meccanismi tramite i quali riesce a dare un valore ”corretto” ai pezzi a cui è interessato, a prescindere dalle loro valutazioni nei vari cataloghi. Ad ogni modo, volendo ben vedere, i cataloghi stessi, almeno il Sassone, dicono chiaramente che le loro valutazioni si riferiscono a valori SPLENDIDI e che nel caso di francobolli di qualità inferiore è necessario applicare dei coefficienti correttivi che arrivano fino a sconti del 90% per esemplari difettosi. Il punto è quindi essere in grado di applicare i giusti fattori correttivi. Per piacere di discussione riporto qua sotto quelli che applico io e che sono riuscito a rispettare nell’82% degli acquisti dei pezzi che ho nella mia collezione di Sicilia (cioè 47 su 57 … per gli altri 10 ho chiaramente “sbragato”, essendo, per quanto razionale, comunque un collezionista e quindi naturalmente propenso a perdere la testa di fronte a pezzi che mi piacciono particolarmente):
Francobolli nuovi (in collezione ho solo esemplari nuovi con gomma o su lettera) - Oltre a tutti i coefficienti che il Sassone riporta, io considero anche la % di gomma residua che applico al valore del catalogo
Lettere - Oltre a tutti i coefficienti che il Sassone riporta, io applico anche una riduzione % del valore se:
- L’oggetto postale non è completo di tutti i fogli che lo costituivano in origine (solo sovracoperta --> 75%, sovracoperta senza alcuni lembi laterali --> da 55% a 70%, frontespizio --> 50%)
- Sono presenti ingiallimenti della carta o macchie varie --> (da 75% a 90% in funzione della loro estensione e di quanto sono deturpanti)
- Gli annulli non sono impressi bene (i riferimenti sono quelli riportati sui vari testi specializzati – Russo, Aquila, Vollmeier, Gatto/Natoli, …)
- Vi sono altri aspetti “disturbanti” (indirizzo del destinatario mancante o rifatto, missiva non in tariffa, pieghe fastidiose, tagli, fori, …).
Nella stragrande maggioranza dei casi l’applicazione di questi fattori correttivi mi ha permesso di avere una valutazione a mio avviso oggettiva che, come detto, sono riuscito a rispettare quasi sempre… poi ci sono stati gli altri casi (i 10 su 57 di cui sopra) in cui semplicemente ho messo tutto nel cassetto e sono andato di pancia.
Buona serata
Marco
Provo a mettere un minimo d'ordine, per quanto l'impresa mi appaia disperata.
Anzitutto richiamo ciò che per me - per la mia sensibilità - è una distinzione cruciale (e che in altro topic ha suscitato un certo livello di contrasti): esiste - per me, per la mia sensibilità - una filatelia fino a tutto Vittorio Emanuele II (o al più sino alle "miste" Vittorio-Umberto) e una filatelia dopo Vittorio Emanuele II.
Cosa sia la filatelia dopo Vittorio Emanuele II non lo so, non lo voglio sapere, non mi interessa saperlo (anche perché capire una cosa, per poi capire che non meritava di essere capita, è sempre un'esperienza piuttosto frustrante).
Io parlo solo ed esclusivamente della filatelia fino a Vittorio Emanuele II.
Andrea61 ha scritto: 1 aprile 2025, 14:28
E resta anche il fatto che per chi si avvicina con curiosità a questo mondo il catalogo resta il primo riferimento, il primo strumento per perlustrare il collezionabile.
Che è un po' come dire che Elementi di teoria delle funzioni e di analisi funzionale - di Kolmogorov-Fomin - è tra i primi strumenti di un corso di matematica avanzata.
Già. E chi può negarlo?
Però - ne conveniamo - un conto è se devo versare sangue e lacrime sul Kolmogorov-Fomin per capirlo da solo, altro - ben altro - è se al mio fianco c'è una guida indigena (un professore) che, prendendomi per mano, mi orienta tra le varie pagine.
Andrea61 - ne sono certo - sarà una guida fantastica all'interno del Kolmogorov-Fomin; io - in un modo incommensurabilmente più modesto - proverò a farvi ora da guida all'intero del Sassone (fino a Vittorio Emanuele II, s'intende).
Il Sassone propone una "tabella esplicativa dell'interpretazione dei prezzi di catalogo in funzione della qualità".
Già la sola lunghezza del titolo - tabella esplicativa etc. etc. - dovrebbe allertarci contro le pretese di semplicità e immediatezza, nella lettura del catalogo; se poi ci diamo addirittura la pena di leggere le parole, allora inizieremo a intravedere la complessità della situazione.
La tabella è soltanto esplicativa: fornisce un primo inquadramento, vuole dare l'idea generale, serve a illustrare alcune casistiche, non è un dogma, un assioma o una verità indiscussa e indiscutibile.
La tabella, poi, richiede - impone - una interpretazione: serve una capacità di lettura critica, una chiara presa di posizione, un atto volitivo da parte del lettore.
Non possiamo leggere il Catalogo Sassone, e capire i francobolli degli Antichi Stati, allo stesso modo con cui leggiamo e intendiamo l'orario dei treni, senza discernimento, senza giudizio, limitandoci a registrare passivamente l'informazione fornita dal tabellone della stazione, per poi dirigerci meccanicamente a tal binario alla tal ora.
Il Sassone mette a disposizione una "base efficace per una valutazione adeguata", allo stesso modo con cui un professore insegna al meglio delle sue possibilità, nei limiti di tempo e di spazio cui soggiacciono le sue lezioni, nel presupposto implicito che sia poi lo studente a metterci del suo, a studiare, ragionare, riflettere, collegare, incuriosirsi e porsi domande.
Il Sassone riporta per ogni esemplare una quotazione di riferimento, o quotazione piena, ma già a pagina 1 introduce l'obbligo di scalarla in ragione della qualità dell'esemplare oggetto di valutazione, attraverso l'applicazione di una serie di coefficienti, su cui dà un'indicazione di massima.
Il Sassone invita perciò a un itinerario valutativo in cui il nostro giudizio deve farsi parte attiva, e precisamente ci chiede di:
1) inquadrare il francobollo sotto i nostri occhi in una delle categorie definite nel catalogo e registrane il relativo coefficiente (indichiamolo con c%);
2) registrare la quotazione piena del francobollo (chiamiamola Q) ;
3) applicare il coefficiente c% alla quotazione Q, per avere la quotazione nominale di catalogo di quel preciso francobollo.
Nessuno può sostituirsi a noi, nell'esecuzione del primo passaggio; e attenzione poi al terzo passaggio, per non far dire al Sassone ciò che il Sassone non dice né potrebbe mai di dire.
La quotazione ufficiale di catalogo è invariabilmente l'esito di una moltiplicazione, in cui uno dei due fattori (Q) è fornito dal Sassone, l'altro (c%) deve essere individuato dal soggetto valutatore, in funzione dell'esemplare che ha effettivamente sotto mano. Il Sassone - a esprimersi con rigore - non quota i francobolli, ma traccia i lineamenti di un processo valutativo, nel quale il collezionista ha un ruolo attivo, decisivo e dirimente.
La quotazione ufficiale non è semplicemente l'importo Q che si legge sul catalogo, ma è Q×c%, e dobbiamo prendere avvio proprio da questa ovvia annotazione, che converrà scolpire in una formula:
QUOTAZIONE DI CATALOGO = Q × c%
Partiamo da qui, per capire il catalogo: re-inquadrare nelle categorie qualitative del Sassone ogni francobollo che ci passa sotto gli occhi, per entrare nell'ordine di idee che la quotazione di catalogo è Q×c% e non semplicemente Q.
Un tema ne chiama un altro, perché la qualità è un argomento monolitico, in cui ogni capitolo è collegato a tutti gli altri, e alcune precisazioni sono allora inevitabili, anche se sembrano allontanarci dalla discussione principale.
Il valore Q×c% - nelle intenzioni del Sassone - non è il prezzo a cui chiunque può indifferentemente comprare o vendere un certo francobollo di una certa qualità.
Il valore Q×c% - nelle intenzioni del Sassone - ha un significato più limitato e per ciò stesso più preciso.
Il valore Q×c% è il prezzo suggerito dal Sassone ai commercianti, nella messa a punto delle loro proposte di vendita, per renderle profittevoli.
Il valore Q×c% - in modo speculare - è il prezzo indicato dal Sassone ai collezionisti, per valutare l'equità e la convenienza dei propri acquisti, per evitare di incorrere in costi eccessivi.
Il Sassone dà suggerimenti (ai commercianti) e indicazioni (ai collezionisti) sui prezzi che è ragionevole praticare sul mercato - nell'opinione degli estensori del catalogo - per mediare tra esigenze opposte: per assicurare un guadagno sufficiente ai commercianti, proporzionato ai costi e ai rischi dell'attività d'impresa; per dare ai collezionisti la possibilità di coltivare la loro passione con una spesa ragionevole, proporzionata alla rarità e alla qualità del materiale desiderato.
Il Sassone non dice - non ha mai detto, non dirà mai - che il collezionista può vendere un francobollo a un commerciante al prezzo Q×c% né - a più forte ragione - che può venderlo al pezzo Q tout court, indipendentemente dal suo apprezzamento qualitativo.
Il Sassone - a rigore - non dice neanche che Q×c% è il prezzo a cui un collezionista può vendere un francobollo ad un altro collezionista, perché la quotazione Q×c% recepisce i costi, i rischi e le tasse a cui è esposta l'attività d'impresa, laddove il privato collezionista non ha costi, non è esposto a rischi e non paga tasse, su eventuali transazioni bilaterali con un altro collezionista.
Le quotazioni ufficiali del Sassone - Q×c%, mi raccomando, non semplicemente Q - sono prezzi di vendita per i commercianti e prezzi di acquisto per i collezionisti.
Il Sassone esprime un guadagno per il mercante e un costo per il collezionista. Chi confonde le due cose, chi le scambia tra loro, è in malafede o soffre di un serio strabismo valutativo. In entrambi i casi il problema è suo, non del Sassone.
Ovviamente, nella prassi di mercato, potrà ben accadere - e in effetti accade - che il commerciante conceda uno sconto di cortesia (s%), di entità variabile con situazioni generali e specifiche. Lo sconto di cortesia - per dare una larga indicazione di massima - viaggia intorno al 5%-10% per esemplari lusso o d'amatore, si aggira tra il 10% e il 20% per i pezzi eccezionali, e sale progressivamente al ridursi della qualità, sino a raggiungere picchi superiori al 50%, per materiale di second'ordine.
Il prezzo di scambio - di vendita, dal commerciante al collezionista - è pertanto:
PREZZO DI MERCATO = Q × c% × (1-s%)
che possiamo qualificare prezzo di mercato, perché espressivo del controvalore monetario sborsato dal collezionista, per acquistare il francobollo posseduto dal commerciante.
Attenzione, ancora una volta: il prezzo di mercato è a senso unico, si riferisce a un transazione che va dal commerciante al collezionista, in cui il francobollo del commerciante è scambiato contro il denaro del collezionista. Non possiamo andare contromano, pensare anche solo vagamente - noi collezionisti - di poter cedere i nostri francobolli a un prezzo situato in un intorno sufficientemente piccolo del prezzo di mercato. Noi possiamo consumare un caffè al bar, al costo di 1 euro, ma non possiamo prepararci un caffè a casa e pensare di venderlo al barista a 1 euro, perché così c'è scritto - caffè: € 1 - sul listino dei prezzi esposto al bar.
Quindi, a chiudere, serve anzitutto collocare nelle categorie qualitative del Sassone ogni francobollo sottoposto al nostro esame, per dedurne la sua quotazione nominale di catalogo Q×c%. Questo esercizio - se eseguito con scrupolo e iterato un sufficiente numero di volte - avrà due conseguenze capitali, una in prospettiva molto positiva, l'altra retrospettivamente parecchio sgradevole.
1) Le categorie qualitative del Sassone inizieranno a starci strette, ne avvertiremo tutta l'insufficienza per una precisa valutazione degli esemplari effettivi, e saremo perciò spontaneamente portati ad ampliarle e modificarle, a intercalare nuove categorie tra quelle predefinite dal catalogo, e a modificare le stesse categorie del catalogo, per meglio adattarle alla nostra realtà valutativa. Il Sassone si rivelerà per quel che è: una buona base di partenza per capire la qualità, utile nella misura in cui ci impegniamo a superarla, a perfezionarla di continuo. Questa conclusione era già implicita nelle premesse: "Non è ovviamente possibile codificare tutti gli stati di conservazione che si riscontrano", in un catalogo che deve rispettare vincoli di spazio e parlare anche d'altro, oltre che di prezzi e qualità; sarà il collezionista - deve essere il collezionista - ad andare oltre, partendo dalla "base efficace" propostagli dal catalogo.
2) Noi collezionisti, nella stragrande maggioranza dei casi, abbiamo accettato di pagare un prezzo smisuratamente più elevato della quotazione nominale Sassone (Q×c%, e non Q, mi raccomando). A noi collezionisti, nella maggioranza dei casi, i commercianti non hanno mai praticato nessuno sconto di cortesia, giocando furbescamente sull'equivoco tra quotazione di riferimento Q e quotazione nominale Q×c%. Nessun commerciante re-inquadra i francobolli nella categoria qualitativa del Sassone, prima di attribuirgli la quotazione ufficiale, perché, se lo facesse, i suoi affari cesserebbero prima di domani mattina. Giusto per dare un riferimento sommario: i francobolli correntemente venduti tra il 10% e il 20% del catalogo, se valutati correttamente, con approccio ortodosso, si scoprono valere tra l'1% e il 10% del catalogo.
Il Sassone postula un commerciante-venditore e un collezionista-acquirente; si rivolge a un commerciante che deve vendere e a un collezionista che vuole acquistare, per fornire alle parti un'indicazione sulle condizioni a cui è ragionevole finalizzare la transazione.
Il Sassone non conosce la casistica del commerciate-acquirente e del collezionista-venditore, che pure esiste, sicuramente, ma non è trattata dal catalogo. Le quotazioni del Sassone segnano un percorso a senso unico, dal commerciante che deve vendere al collezionista che vuole acquistare, e non possiamo andare controsenso, dal collezionista che vuol dismettere al commerciante che vuol approvvigionarsi.
Il Sassone - a esprimersi con rigore - non dà poi la quotazione secca dei francobolli, ma delinea un processo di valutazione, in cui è vitale la capacità dell'interprete di capire la qualità. Perciò è intellettualmente disonesto - sebbene sia prassi - associare a un francobollo la sua quotazione piena (Q) senza averlo prima re-inquadrato nella pertinente classe qualitativa, applicandogli l'associato coefficiente di valutazione (c%).
Il Sassone, infine, non detta legge, ma dà solo suggerimenti, a cui le parti - il commerciante-venditore e il collezionista-acquirente - restano libere di attenersi nella misura in cui lo trovano conveniente, e in particolare nella misura in cui il commerciante continua a trarre un adeguato profitto praticando un certo sconto (s%).
Abbiamo riassunto questo insieme di argomenti in due semplici formulette:
QUOTAZIONE DI CATALOGO = Q × c%
PREZZO DI MERCATO = Q × c% × (1-s%)
La prima formuletta è la quotazione nominale di catalogo, il prezzo a cui un commerciante potrebbe vendere con giusto profitto, e un collezionista acquistare con giusta spesa, un certo francobollo di una certa qualità, codificata nel coefficiente c%.
La seconda formuletta è il prezzo osservato sul mercato, a cui effettivamente è chiusa la transazione, il prezzo a cui il commerciante ha venduto il francobollo acquistato dal collezionista, influenzato dall'eventuale sconto s% sulla quotazione nominale.
Tra la quotazione di catalogo e il prezzo di mercato passa dunque uno sconto.
Praticare sconti è prassi in ogni settore merceologico e lo sconto è tanto più modulabile quanto meno industrializzato è il processo di vendita, quanto più la transazione beneficia di elementi di personalizzazione. Il gap tra prezzi ufficiali e prezzi effettivi è pertanto un fatto strutturale, in ogni mercato. Osserviamo sconti consistenti e sistematici persino in circuiti di vendita altamente standardizzati: i "3×2" nelle offerte dei supermercati, i saldi al 50% e più dei negozi di abbigliamento, le promozioni commerciali della grande distribuzione.
Perché meravigliarsi, allora, degli sconti sul mercato filatelico, molto più artigianale di tanti altri? Preoccupiamoci piuttosto di capire bene l'atteggiamento del commerciante.
Due numeri cadono immediatamente sotto i nostri occhi: la quotazione piena di catalogo (Q) e il prezzo di mercato praticato dal commerciante (P). Tra Q e P ci sono di mezzo due coefficienti che non vediamo: la taratura sulla qualità (c%) e lo sconto di cortesia (s%). Siamo al punto decisivo, perciò massima attenzione.
Meglio esser ingannati sul prezzo che sulla qualità è un mantra del mondo del commercio, di qualunque commercio, da qualunque lato ci si trovi, acquirenti o venditori. Se tu - commerciante - devi proprio ingannare il tuo cliente, allora praticagli un prezzo più alto del dovuto, ma continua a proporgli oggetti di qualità. E tu - cliente - fattene una ragione se il commerciante ti ha spillato più del giusto, purché ti abbia venduto un oggetto di qualità. Quel che addolora il cliente, e porta alla bancarotta il commerciante, sono le compravendite a prezzi un po' più bassi, di materiale infimo. Meglio esser ingannati sul prezzo che sulla qualità!
Cosa vuol dire - in filatelia - essere ingannati sul prezzo? Significa - se guardiamo la seconda formuletta - non vedersi praticato alcuno sconto di cortesia (s%=0) in un mercato dove lo sconto è tanto diffuso da esser addirittura percepito come un atto dovuto (del commerciante nei riguardi del collezionista).
Cosa vuol dire - in filatelia - essere ingannati sulla qualità? Significa - se guardiamo la prima formuletta - veder applicato alla quotazione piena Q un coefficiente c% iniquo, sproporzionato, con gran sussidio di sofismi e giochi di prestigio (a me gli occhi, asso di cuori vince, asso di picche perde, dov'è l'asso di fiori?).
Invito pertanto tutti i collezionisti a seguire d'ora in poi questa linea di condotta.
Ogni qual volta un commerciante vi propone una buona occasione, un affare, un pezzo da non perdere, mostrandovi la convenienza del prezzo praticato P rispetto alla quotazione piena Q, voi esigete - con educazione, ma fermezza - la ricostruzione dei due passaggi intermedi che portano da Q a P. Fissate come inderogabile condizione all'acquisto la dichiarazione esplicita della qualità c% - per avere la quotazione nominale di catalogo Q×c% - seguita dalla dichiarazione esplicita dello sconto di cortesia s%, che intende praticarvi su quella quotazione nominale.
Sottoponete il prezzo P allo spettroscopio, viaggiate da Q a P, passando per c% e s%. Accettate pure - alle brutte - che non vi sia alcuno sconto, che per quanto invalso è una discrezionalità del venditore, e rimane comunque un fattore di second'ordine. Siate però intransigenti sul corretto inquadramento qualitativo, che rappresenta la componente principale. Meglio esser ingannati sul prezzo che sulla qualità!
L'esperienza - se condotta col giusto piglio, con spirito critico e sano contraddittorio - sarà incredibilmente formativa e vi libererà da tanti scocciatori e da tutta la loro paccottiglia.
Ovviamente il paragone tra l'approfondimento della Filatelia e l'approfondimento della Matematica è del tutto inconsistente, almeno per due ragioni.
La prima è che la Matematica è una materia scolastica. Viene insegnata progressivamente dalle elementari alle superiori da maestri e professori e mai qualcuno si trova nelle condizioni di partire da zero in modo totalmente autonomo. Il testo portato a paragone, poi--il Kolmogorov-Fomin--è un testo tecnico introduttivo ad una specifica disciplina matematica molto specialistica e certo non dà un'ampia panoramica, ne' un'introduzione su tutto lo spettro della matematica "avanzata". Chiunque voglia approfondire lo studio della Matematica post-liceale può farlo tranquillamente trovando strutture pubbliche (leggi: università) in cui operano professionisti del settore (leggi: docenti). Per la Filatelia le cose sono un po' diverse: se non si conosce nulla dell'argomento (cosa oggigiorno normale, visto che i francobolli sono invisibili) ma per qualche ragione fortuita si vuole approfondire l'argomento può non essere affatto semplice trovare interlocutori più esperti ed è quindi del tutto naturale che, lasciati a se stessi, un catalogo diventi la prima fonte di informazione un po' più precisa.
La seconda è che mentre "tutta la Matematica è per tutti", così non è per la Filatelia. Mi spiego: qualunque studente medio non troppo svogliato è in grado di capire enunciato e dimostrazione del teorema di Pitagora. Il teorema di Sard o il teorema di modularità di Breuil-Conrad-Diamond-Taylor richiedono sicuramente un impegno molto maggiore (il secondo molto più del primo), ma non sono impossibili da capire se si ha la giusta motivazione e la giusta guida. In Filatelia chiunque può collezionare francobolli del Lombardo-Veneto, ma sarà impossibile inserire carte vergate su busta o miste prima-seconda in collezione se non si ha un 730 adeguato e non si è evasori fiscali.
La Filatelia, cioè, è una disciplina in cui il fattore economico è assolutamente rilevante e per certe situazioni è un ostacolo insormontabile.
Ed è proprio per questo, con l'occhio a chi alla Filatelia si avvicina da totale inesperto, che un catalogo dovrebbe dare quotazioni corrette.
A mio modo di vedere gli scopi statutari di un catalogo di francobolli dovrebbero essere:
1) fornire una panoramica sufficientemente completa, nell'ambito dichiarato di competenza, dell'esistente;
2) dare una rappresentazione quanto più fedele possibile del mercato.
Sul punto 1) forse ci potrebbe essere da discutere, ma esula dal dibattito in corso e quindi non lo farò.
Il punto cruciale è il secondo.
Che i francobolli antichi, in particolare i non dentellati, abbiano uno spettro di qualità ampio che si ripercuote--anche pesantemente--sulla loro quotazione è cosa ovvia che anche un neofita totale è in grado di capire.
Che però la cessione di francobolli avvenga normalmente su valori che sono una frazione, anche relativamente piccola, della quotazione del catalogo è un'anomalia che rende il punto 2) sopra totalmente disatteso. Questo, a mio parere, può portare il neofita in confusione col risultato di poter pensare ad un ambiente non molto serio e conseguente distacco.
Sì, lo sappiamo, la Tabella Esplicativa.
Quindi l'idea è: fisso un prezzo per un francobollo in condizioni di conservazione ideale e poi applico un coefficiente che rifletta quanto un francobollo specifico sia lontano da tali condizioni ideali.
Nulla da eccepire sull'idea in sè. Ma in pratica ci sono alcuni problemi.
Un primo problema è che le condizioni di conservazione sono sempre un po' vaghe e molto poco oggettive. E' ben noto ai collezionisti, ad esempio, che il possesso di un francobollo non dentellato restringe i suoi margini: i margini di un francobollo sono sempre più ristretti quando si rivende di quanto lo erano quando lo si era comprato.
Un altro problema, più serio, è che le condizioni ideali su cui si fissa il prezzo sono talmente ideali da sfiorare l'idealismo platonico. Se si gira per mercati, fiere, aste ben di rado capita di vedere francobolli offerti a prezzo di catalogo, o vicino. Ciò vuol dire che di francobolli in tali condizioni ce n'è in giro molto pochi. Allora mi chiedo che senso abbia tarare un sistema valutativo su parametri del tutto eccezionali. Un sistema valutativo dovrebbe essere tarato su una rispettabilissima condizione normale e lasciare che esemplari eccezionalmente ben conservati seguano valutazioni "da amatore".
Per esempio il catalogo Scott, lo standard per i francobolli statunitensi, basa le sue valutazioni su francobolli Very Fine ed avverte che le valutazioni possono variare da quella secondo qualità, ma neanche accenna a coefficienti da moltiplicare. Se uno va anche solo su eBay.com può vedere come le quotazioni per esemplari very fine sono vicine a quelle del catalogo. Ciò vuol dire che un americano neofita che desideri iniziare una collezione del proprio paese può farsi un'idea abbastanza precisa del tipo di impegno economico a cui andrà incontro solo sfogliando il catalogo senza farsi conti tanto astrusi di coefficienti vari. Molto più precisa di quella che può farsi un suo omologo italiano che si immaginerà di dover impegnare un capitale quadruplo o quintuplo, se va bene, di quello effettivamente necessario e che, quindi, con buona probabilità lascerà perdere. Solo a me viene in mente il nome Tafazzi?
La cosa interessante è che la stessa Tabella Esplicativa riconosce implicitamente la sua stessa problematicità quando scrive che gli esemplari "di normale prima scelta" (quello che dovrebbe essere la norma per un collezionista) valgono il 50% della quotazione di catalogo. Che poi, in pratica, neanche raggiungono.
Tra l'altro, la Tabella Esplicativa, non si prodiga neanche tanto ad esemplificare i vari stati di conservazione limitandosi ad illustrarli per tre soli francobolli. Il già citato Scott riconosce solo 3 gradi di conservazione: Fine, Very Fine e Extremely Fine, ma li esemplifica con immagini di 69 (!) francobolli diversi.
C'è poi un'altra faccenda che potrebbe sembrare strana ad un neofita e a rendergli sospetto il mercato filatelico: i cataloghi sono indicazioni ai collezionisti per l'acquisto. Ma le vendite? Qual è in questo caso il coefficiente da applicare? Bisogna dire che su questa domanda anche i cataloghi non italiani glissano.
Andrea
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Sono interessato alla Storia Postale e ai Classici di tutto il mondo.
La replica di Andrea61 ha sollevato diversi punti di notevole interesse.
Ne pizzico alcuni, qua e là, e rispondo su base "stand-alone", perché mi viene più comodo e veloce, rispetto un'unica replica organica.
Andrea61 ha scritto: 2 aprile 2025, 16:30
E' ben noto ai collezionisti, ad esempio, che il possesso di un francobollo non dentellato restringe i suoi margini: i margini di un francobollo sono sempre più ristretti quando si rivende di quanto lo erano quando lo si era comprato.
In questa affermazione sembra esservi un sotto-testo vagamente polemico, e precisamente sembra che si voglia denunciare, stigmatizzare, il fatto che spesso i margini si allargano o si restringono a seconda che si sia acquirenti o venditori.
Sì, è vero: quando compro i margini sono "grandi", e quando invece vendo, se non proprio "piccoli", sono diventati "meno grandi" di quando li ho comprati. E' vero, è così.
Ma vi siete mai accorti che è così... ovunque, dappertutto, in ogni tempo e in ogni luogo?
Sarà capitato a tutti voi - per dire - di fare un viaggio all'estero, e di recarvi in un "money change" per cambiare gli euro in valuta locale. E cosa vedete, in questo "money change"? Una lista di prezzi "in acquisto" e una lista di prezzi "in vendita". Voi potete consegnare 100 euro e vedervi dare 3.600 bath thailandesi, ma se l'istante dopo - alla lettera: dopo un secondo - voi riconsegnate i 3.600 bath appena ricevuti perché rivolete gli euro, ebbene, l'omino del "money change" non vi darà 100 euro, proprio no, ve ne darà 99,5 oppure 99, o forse anche meno, ma di sicuro non ve ne darà 100. Questo è esattamente l'equivalente (finanziario) del margine che si allarga o si restringe, a seconda che si sia acquirente o venditore.
Altro esempio. Avete appena acquistato un auto nuova fiammante, spendendo, poniamo, 15.000 euro. Infilate le chiavi e la portate dal concessionario al parcheggio di casa vostra. E poniamo - per quanto possa suonare inverosimile - che una volta nel parcheggio di casa, l'auto non vi piaccia più così tanto e vogliate venderla. La vostra auto - ora - è a tutti gli effetti una "auto usata": poco importa se un quarto d'ora fa era nuova, e se ha percorso appena due o tre chilometri. Ora è un auto usata, e il suo prezzo non sarà 15.000, proprio no, e neppure 14.000, e neppure 13.000, e sarà un mezzo miracolo se si potrà proporre non sotto i 10.000 euro. Ed ecco di nuovo i margini ampliarsi e restringersi, in funzione del lato del mercato da cui ci si trova.
Questo fenomeno ha un nome preciso, in economia: si chiama "bid-ask spread" e caratterizza l'operato di qualsiasi settore economico, pur manifestandosi in forme specifiche in ciascuno di essi.
Ci sono settori (il mercato delle valute) in cui il bid-ask spread è estremamente ridotto; ce ne sono altri (il mercato della auto) dove invece è mostruoso. E da cosa dipende l'ampiezza del bid-ask spread? Fondamentalmente dalla cosiddetta "efficienza del mercato": tanto più il mercato è efficiente, quanto più il bid-ask spread tende a ridursi.
E cosa vuol dire che è un mercato è "efficiente"? Troppo lungo da spiegare. Mi limito a registrare che il cosiddetto "mercato filatelico" (concetto sui servirà ritornare) è mostruosamente inefficiente, e la sua mostruosa inefficienza è in larga parte intrinseca, strutturale, non eliminabile, perché legata a doppio filo alla natura stessa del bene (il francobollo) oggetto di scambio.
Quindi - in conclusione - nessuno si deve sorprendere, o trovare strano, se i margini si allargano o si restringono al variare delle situazioni, perché questo accade dappertutto, e non si vede perché non debba succedere anche in filatelia.
Andrea61 ha scritto: 2 aprile 2025, 16:30
La Filatelia, cioè, è una disciplina in cui il fattore economico è assolutamente rilevante e per certe situazioni è un ostacolo insormontabile.
Questa affermazione la considero alla stregua de V postulato euclideo.
Andrea61 ha scritto: 2 aprile 2025, 16:30
A mio modo di vedere gli scopi statutari di un catalogo di francobolli dovrebbero essere:
1) [...];
2) dare una rappresentazione quanto più fedele possibile del mercato.
Muoviamo da una considerazione: la maggior parte delle persone non sa cos'è un "mercato"; crede di saperlo, ma non lo sa.
Nel sentire comune, laddove ci sono scambi c'è un "mercato", e così si parla spesso di "mercato" quando avviene una transazione purchessia.
C'è una frase che viene spesso ostentata con sussiego e prosopopea, come se si fosse candidati a Nobel per l'Economia: "il prezzo lo fa il mercato, con l'incrocio della domanda e dell'offerta". Lo si dice senza sapere cosa sia un "mercato", senza avere la più pallida idea di quanti e quali vincoli devono essere imposti agli oggetti di scambio, ai meccanismi di negoziazione, e al contesto istituzionale in cui tutto ciò avviene, affinché sia legittimo dire che "il prezzo lo fa il mercato, incrociando domanda e offerta". Per dirlo in modo matematico: si degrada allo status di postulato, un'affermazione che si dovrebbe invece dimostrare, si dà per vera sempre e comunque, da accettare senza discussioni, una tesi che andrebbe invece dimostrata (e che, come ogni tesi da dimostrare, si basa su ipotesi ben definite).
Di nuovo: troppo lungo, da spiegare qui. Ma - a voler veicolare il concetto con una analogia - è come dire: "schiacciando l'interruttore, si accende la luce". Vi pare? La luce si accede perché c'è un'impresa mastodontica chiamata ENEL, dotata di strutture e infrastrutture tecniche e tecnologiche, che fanno sì che, schiacciando un interruttore, la luce si accenda. Noi non vediamo di nulla di tutto ciò - non ci accorgiamo delle strutture, delle infrastrutture, della tecnica e della tecnologia -, noi vediamo solo l'interruttore, e vediamo che, schiacciandolo, la luce si accende. Ma se all'improvviso sparissero strutture, infrastrutture, tecnica e tecnologia, e restasse solo l'interruttore, potremmo ancora dire che schiacciandolo la luce si accenderebbe?
Io ero partito da una precisa posizione di metodo
Napoli1860 ha scritto: 2 aprile 2025, 9:10
esiste - per me, per la mia sensibilità - una filatelia fino a tutto Vittorio Emanuele II (o al più sino alle "miste" Vittorio-Umberto) e una filatelia dopo Vittorio Emanuele II.
Cosa sia la filatelia dopo Vittorio Emanuele II non lo so, non lo voglio sapere, non mi interessa saperlo (anche perché capire una cosa, per poi capire che non meritava di essere capita, è sempre un'esperienza piuttosto frustrante).
Io parlo solo ed esclusivamente della filatelia fino a Vittorio Emanuele II.
E da questa posizione di metodo mi sento di dare un suggerimento, neppure tanto sommesso, a un potenziale neofita...
Andrea61 ha scritto: 2 aprile 2025, 16:30
... se non si conosce nulla dell'argomento (cosa oggigiorno normale, visto che i francobolli sono invisibili) ma per qualche ragione fortuita si vuole approfondire l'argomento può non essere affatto semplice trovare interlocutori più esperti ed è quindi del tutto naturale che, lasciati a se stessi, un catalogo diventi la prima fonte di informazione un po' più precisa.
La prima cosa che direi al neofita è - per l'appunto - trova un interlocutore più esperto, una guida, un riferimento, se non proprio un maestro. Non assecondare la pur naturale tendenza a fare da te, sforzati di contrastarla, perché altrimenti finirai in una spirale di "trial&error" che neanche troppo alla lunga ti porterà ad abbandonare tutto.
Se poi, in questa ricerca del tuo pigmalione, ti interessasse sapere la mia opinione, ebbene, eccola qua.
Consacra - qui, sì, come un postulato - questo fatto: non esistono due francobolli uguali e tu devi conoscere ogni tuo francobollo come il buon pastore conosce le sue pecore.
Capisci allora da te - amico mio - che non essendoci due francobolli uguali, essendo ogni francobollo unico e irripetibile, non si potrà mai parlare di un "mercato filatelico", giacché il concetto di "mercato" presume - come pre-requisito - una certa omogeneità del bene scambiato, che qui è invece del tutto assente; e venendo meno addirittura un pre-requisito, affinché si possa parlare di "mercato", è inutile parlare di tutto il resto.
Impara dunque a soppesare per quel che sono le cosiddette "quotazioni del catalogo": nella più favorevole delle situazioni esprimono un largo ordine di grandezza, una misura di massima; nella generalità dei casi sono semplicemente numeri ordinali, non cardinali, mettono in fila gli oggetti, ma non ti dicono quanta distanza ci sia tra l'uno e l'altro.
Non hai che una via per conoscere ogni tuo francobollo come un buon pastore conosce le sue pecore: costruirti una buona biblioteca di cataloghi delle vendite del passato (domanda pure a Franco Peli, per sapere come si fa).
I cataloghi del passato sono gli assi cartesiani dello spazio in cui ti muovi: senza - alla lettera - sei sperduto.
Battezza i tuoi francobolli sui cataloghi del passato, siediti e poi fai la cosa più difficile al mondo: aspettali.
Non passerà giorno senza un canto di sirena che voglia farti cadere in tentazione. Ignoralo, turati le orecchie, rotolati nudo sulla neve come San Francesco, ma - per l'amor del cielo - impara ad aspettare, a gioire dell'attesa.
Stai lontano da assurdità come "il rapporto prezzo-qualità", che non è un concetto collezionistico, ma commerciale. Tu cosa sei? Un collezionista o un commerciante? Un collezionista, giusto? Sì, giusto. E allora, ai commercianti quel che è dei commercianti, ai collezionisti quel che spetta ai collezionisti.
Accumula risorse più che puoi, non dissiparle: se metti da parte 5 euro al giorno, alla fine dell'anno ne avrai 1.825, e dopo dieci anni ben 18.250. Sembrano tanti soldi, anzi lo sono, ma alla fine bastano 5 euro al giorno, tutti i giorni (e questa è la parte difficile: "tutti i giorni").
E quando finalmente, dopo anni e anni di attesa, si presenta ciò che tu avevi battezzato, dai tutto te stesso, senza remore, senza scrupoli, senza calcoli: attingi a quei 18.250 euro e, se necessario, prosciugali. E fanculo alle quotazioni di catalogo! Quel che serve, si fa. Punto.
Se la teoria ti è chiara, passiamo a un esempio pratico.