Donna onesta (calle, fondamenta, ponte de)

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La calle de Donna Onesta (a Dorsoduro, sullo sfondo il ponte omonimo che porta a San Polo).
Ai Frari e a San Pantalon.
Il rio de la Frescada segna il confine tra i sestieri di San Polo e di Dorsoduro e delle parrocchie di Santa Maria Gloriosa dei Frari (una volta di San Tomà) e di San Pantalon: di conseguenza troviamo questo toponimo in ambedue queste parti di città, unite dal ponte de Donna onesta.
Sulle origini di questo nome sono state fatte diverse ipotesi. Giuseppe Tassini (1827-1899), ad esempio, molto semplicemente ritiene che qui potrebbe aver abitato «...qualche donna notissima al vicinato, e chiamata "Onesta" per solo nome di battesimo, come molte solevano chiamarsi in tempi andati».
Gianjacopo Fontana (1805-1885) invece propende per l'ipotesi che qui abitasse una prostituta, detta popolarmente «...la donna onesta...», perché prudente e discreta nell'esercizio della sua professione.
La tradizione popolare, riferendosi ad un viso femminile in pietra infisso su una casa in prossimità del ponte (casa che una volta fu della famiglia Lipoli), racconta che un giorno due uomini attraversassero il ponte discutendo animatamente sull'onestà delle donne ed uno dei due dicesse: «Sai qual'è l'unica donna onesta in città? Quella!» e dicendo ciò avrebbe additato la piccola scultura in pietra.
 
La "Donna onesta" secondo la tradizione popolare.
 
 
La fondamenta de Donna onesta nel sestiere di San Polo.
Un racconto del tutto diverso è quello che ci viene offerto da Iacopo Vincenzo Foscarini (1783-1864) nei suoi "Canti pel Popolo Veneziano" (Tipografia Gaspari, 1844), brevemente riassunto dal Tassini.
Questo racconto ha grandi somiglianze con quello relativo all'origine di un altro toponimo, calle de l'Amor dei amici, circostanza che fa pensare ad un unico episodio ricordato in due luoghi diversi.
Il Foscarini condisce con molti particolari d'invenzione il fatto, che vede come protagonisti Giovanni, un artigiano fabbricante di pugnali e spade e sua moglie, la bella Ginevra. C'è naturalmente il terzo incomodo, «un giovine nobile e di famiglia potente, di cui la tradizione o non conserva, o vuol tacere il nome a risparmio di vergogna».
Oggi si direbbe che quel giovane nobile avesse la mania delle armi: infatti ne aveva molte e spesso se le faceva fabbricare proprio da Giovanni, abile in questo lavoro. Fu frequentando la casa dello spadaio che il nobile ne conobbe la moglie e se ne invaghì, cominciando a perseguitarla pesantemente con le sue avances alle quali lei pudicamente si sottraeva.
Ultimamente il giovane aveva ordinato a Giovanni una misericordia (uno stiletto sottile) e si era recato a ritirarla: aveva l'impugnatura cesellata ed era fatta del più fine acciaio. Volle però farne apportare una modifica, aggiungendo una catena d'oro alla guaina per poterla indossare in bella vista sulla sinistra della cintura.
La modifica sarebbe stata pronta per la sera, ma Giovanni non poteva attenderlo in bottega, perché aveva un altro impegno: gliela avrebbe consegnata la moglie che era in casa.
Pare che Ginevra -così prosegue il racconto- timorosa di incontrare da sola il giovane cliente, del quale aveva intuito le intenzioni, abbia cercato in ogni modo di non farsi trovare. Ma neppure dopo mezz'ora da quando era uscito il marito, lasciando il pugnale finito, il giovane nobile bussò alla porta.
  Era notte quando rientrava il marito: bussò, chiamò, ma Ginevra non rispondeva. Pensò che la moglie fosse andata da una sua amica e si recò in casa di questa, ma l'amica non l'aveva vista. Entrambi ritornarono verso la casa dell'artigiano: «Forse Ginevra ha preso sonno nell'attesa e non ha sentito bussare», pensavano. Bussarono forte, chiamarono il suo nome a squarciagola, ma invano.
Allora si procurò una leva e facendo forza riuscì a scardinare la porta ed entrare: in bottega non c'era nessuno, salì le scale e nella camera trovò la moglie riversa a terra in un lago di sangue con il corpo ormai freddo. Aveva quel pugnale che aveva fabbricato piantato nel petto.
 
Due scudi con gli stemmi illeggibili su un pilastro d'angolo in fondamenta de Donna onesta.
La bella Ginevra piuttosto che cedere alle voglie del nobile giovane, non riuscendo a resistere alla sua violenza, aveva preferito togliersi la vita piuttosto che tradire la fedeltà coniugale.
«Da quel momento istesso, il ponte sul quale mettevano i balconi della camera della virtuosa Ginevra, fu chiamato ponte di donna onesta».
 
Il ponte de Donna onesta sul rio de la Frescada che separa San Polo da Dorsoduro.
 
Troviamo per la prima volta la denominazione di ponte de Donna onesta nel 1537, quando un Zuane Querini notificò di dare in affitto una casa «...in contrà di S. Tomà a donna Honesta...».
Giannantonio Pivoto (1716-1789) che fu parroco nella chiesa di San Tomà, nel suo "Vetera ac Nova Ecclesiae Sancti Thomae Apostoli Monumenta" (Venezia, 1755), nel descrivere il territorio della parrocchia scrisse che i suoi confini giungevano «...apud quasdam Domos positas apud Pontem vocatum di Donna Onesta, quae Domus sunt pro indiviso cum Paroc. S. Pantaleonis».
Il ponte de Donna onesta venne rifabbricato in ghisa nel 1871 dalla fonderia del francese Federico Layet che, a Castello, aveva anche un cantiere navale che rimase attivo fino al 1937. Sul lato meridionale del ponte, sull'arco, sono visibili nella fusione le  parole «FONDERIA LAYET» e nel lato settentrionale l'anno di fabbricazione. Inoltre sul corrimano una placca in ottone ripete il nome del proprietario della fonderia.

 
 
 
Al ponte de Donna onesta, a metà Settecento, abitava lo stampatore Stefano Tramontin; nella sua casa scoppiò un incendio nel 1755.
Da ultimo segnaliamo che su un pilastro d'angolo sulla fondamenta proprio di fronte al ponte sono incisi due scudi, ormai appena intuibili a causa della corrosione della pietra e pertanto gli stemmi non sono identificabili.
  
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Pagina aggiornata il 27 giugno 2015