Le
chiovère di San Rocco nella veduta di Venezia "a volo
d'uccello" di Jacopo de Barbari del 1500: si sono voluti
evidenziare i rii de le Muneghete (a sinistra) e di San Giovanni
Evangelista (in alto a destra) che le contengono.
A San Rocco.
Questa calle di recente formazione (inizi del Novecento) prende nome da
una fonderia che esisteva nelle vicinanze.
In questa zona, precisamente in un'area compresa tra le chiese di San
Rocco, di Santa
Maria Gloriosa dei Frari
e di San
Nicolò, o San Nicoletto della lattuga da una parte e dai rii de le
Muneghete e di San Giovanni Evangelista dall'altra, si sviluppavano le chiovère
di San Rocco con il cosiddetto campazzo.
La
stessa area delle chiovère di San Rocco come risulta nel
catasto napoleonico del 1808-1811: anche in questo caso
abbiamo evidenziato i due rii che la comprendono (come nella
veduta del de Barbari, in basso a destra è visibile l'area
occupata dalla chiesa
di San Rocco).
Era una vasta area verdeggiante destinata soprattutto ai tintori che, dopo
il lavaggio e la tintura dei panni, li stendevano all'aria ed al sole per
l'asciugatura.
Anche quelli che esercitavano il mestiere dei "chiavaroli" («ciovaroli
a le ciovere») erano riuniti in un'arte che comprendeva i claudadòri
e i tiradòri: i primi avevano l'uso delle chiovère, mentre i
secondi, i tiradòri, erano quelli che "tiravano" i tessuti
per strizzarli dalla tintura e dall'acqua e favorirne così l'asciugatura.
Nell'incisione del de' Barbari si vedono le strutture in legno, alcune
coperte da una tettoia, con gli stenditori per sistemare i panni da
asciugare.
Le
chiovère di San Rocco come risultano trasformate nella mappa
catastale del 1939 dopo gli interventi di urbanizzazione di edilizia
popolare. In giallo è evidenziata la calle de la Fonderia.
Dettaglio
della veduta del de' Barbari con le "chiovère"
propriamente dette, alcune delle quali coperte da un tetto.
La professoressa Doretta Davanzo Poli ci ricorda che la tiratura dei panni
dopo il lavaggio, oltre a togliere l'eccedenza di acqua, serviva anche per
infeltrirli e così farli tornare morbidi.
Inoltre era proibito lo "stratiro" dei panni, cioè
allungarli stirandoli esageratamente oltre misura per imbrogliare sulle
loro effettive dimensioni, che poi si restringevano subito alla prima
pioggia.
A tal proposito la studiosa veneziana cita un documento del 1736
conservato nell'archivio dei Cinque Savi alla Mercanzia nel quale si
supplica di «...togliere il dannato stratiro di panni che si
fabbricano per i poveri soldati che a pena fatti li vestiti, ricevendo
l'umido o calighi [nebbie - N.d.R.] o pioggia restano deturpati...»
dal rimpicciolimento. Si invoca quindi che lo "stratiro"
sia fatto solo con le mani senza l'aiuto di macchine.
La scuola dei ciovaròli, ormai la distinzione tra claudadòri
e tiradòri era venuta a cadere, si era costituita nel 1600 ed
aveva il proprio patrono in San Francesco di Paola: si riuniva nella
chiesa di San Geremia e successivamente in quella di San Simon Piccolo.
Nel 1774 contava otto capimastri con sei figli che seguivano le orme dei
padri.
Non è certa l'origine del nome chiovère: secondo Giambattista
Gallicciolli (1733-1806) potrebbe derivare da «clauderie»
(luoghi chiusi) e
sostiene che sebbene oggi (ai tempi del Gallicciolli) in esse siano
ospitati i tiratoi per stendere i panni, una volta erano «...dei Campi
erbiferi, alcuni de' quali erano chiusi per uso de' pascoli ed in oltre
servivano per distendervi pannilani».
La
calle de la Fonderia: sullo sfondo è visibile il campanile di Santa
Maria Gloriosa dei Frari.
Tuttavia
è più probabile che il termine derivi da "ciovi", cioè
dai chiodi infissi sugli assi di legno ai quali erano attaccati i
panni per stenderli.
Le chiovère di San Rocco nel 1908 videro i primi allenamenti dei
giocatori della neonata (venne fondata il 14 dicembre 1907) squadra di
calcio del Venezia.
L'area delle chiovère di San Rocco si prestò ad uno dei primi
insediamenti di edilizia popolare, che a Venezia ha origini antiche: già
nel XIV secolo si erano costruite «...case per marinai infermi...»
a spese della Repubblica.
Ma soprattutto importante era l'intervento dei privati, generalmente appartenenti
a ricche famiglie mercantili non iscritte al patriziato, che con le
Scuole, confraternite di devozione, di mestiere e di assistenza
caritatevole costituivano un vero e proprio welfare, una rete di
solidarietà sociale capillare e diffusa al punto che nel XVI secolo si
poteva affermare che pochi erano i cittadini veneziani che non potevano usufruire
di una qualche forma di assistenza, ivi compresa una abitazione quando,
terminato il ciclo lavorativo, magari ammalati e senza altro
sostentamento, potevano disporre di un ospizio o di un ricovero di
proprietà della Scuola alla quale appartenevano.
Non deve quindi meravigliare se proprio a Venezia, alla fine
dell'Ottocento, il generico movimento solidaristico (che, ad esempio,
aveva visto la creazione delle Società Operaie di Muto Soccorso), per merito
soprattutto del veneziano Luigi Luzzati (1841-1927), si coagulò anche
sulla problematica dell'abitazione: poter offrire a tutti case salubri ed
economiche.
La lapide dedicata a
Luigi Luzzati e collocata proprio in calle de la Fonderia:
«LVIGI
LVZZATI
MAESTRO DELLA PREVIDENZA SOCIALE
QVI' POSE NEL 1909 LA PRIMA PIETRA
E RITORNO' A ESALTARE
NELLA SANITA' DELLA CASA
LA SANITA' DELLA FAMIGLIA
PRIMO SACRO NVCLEO
D'OGNO ORDINATO VIVERE CIVILE
I DISCEPOLI A RICORDO PERENNE»
Il
cortile della fonderia a ridosso degli ex-conventi dei Frari e di
San Nicoletto in una foto del 1894: si nota il campanile dei Frari a
sinistra ed a destra quello di San Rocco, con la parte
absidale della chiesa. (Foto
di Tomaso Filippi, 1852-1948; Fondo Tomaso Filippi, Archivio storico
IRE, Venezia).
Fu
un'operazione che vide il Comune di Venezia, con l'appoggio della Cassa di
Risparmio, impegnato a costruire case di proprietà pubblica che venivano
assegnate a famiglie che ne avevano bisogno dietro corrispettivo di un
affitto calmierato che andava ad alimentare un fondo capitale con il quale
si sarebbero potute costruire nuove abitazioni.
Questa esperienza, oltre a favorire la costruzione di case popolari, pose
le basi per la nascita degli Istituti Autonomi per le Case Popolari.
Nel 1908 il Comune di Venezia aveva già deciso di costituire un apposito
istituto autonomo le cui modalità operative furono definite cinque anni
più tardi trovando infine la concreta operatività con il decreto
istitutivo dell'8 febbraio 1914.
Tra le prime realizzazioni ci fu quella degli immobili in quest'area,
delle chiovère di San Rocco e del Campazzo.
Tuttavia fu necessario prima appropriarsi anche di un'area che era stata
concessa ancora nel 1851 allo svedese Teodoro Hasselquist che il 28 maggio
di quell'anno aveva fatto domanda al Comune di Venezia di potervi installare
una fonderia.
Nello stesso anno Hasselquist ottenne anche il permesso di mettervi una
caldaia a vapore che, seppure di modeste dimensioni, avrebbe potuto
migliorare le prestazioni del forno.
La
calle de la Fonderia: sulla sinistra si intravede la lapide
dedicata a Luigi Luzzati e sullo sfondo il campanile di Santa
Maria Gloriosa dei Frari.
Per alcuni anni, almeno fino al 1867, sarebbe stata l'unica fonderia
privata attiva a Venezia. In quell'anno tuttavia è citata come appartenente
alla ditta
di Enrico Gilberto Neville.
C'era stato infatti un cambio di proprietà: alla famiglia Hasselquist
(trasferitasi a Treviso) subentrò quella di E. G. Neville e C.
In
quegli anni nella fonderia lavoravano 67 persone ed inoltre 20 «fanciulli»
(ovvero giovani di età inferiore ai 14 anni!) ai quali si aggiungeva
un'altra quindicina di persone tra ingegneri, disegnatori e impiegati; si
lavorava nei giorni feriali per 10 ore e mezza d'inverno e 11 ore e mezza
d'estate.
Nonostante fosse così florida, l'industria non tardò a trovarsi in
difficoltà per problemi "di vicinato" e per la sua situazione logistica: era troppo
vicina all'Archivio di Stato con i suoi preziosi documenti cartacei ed
aveva difficoltà di trasporto; infatti il porto era male attrezzato e lo scalo
ferroviario era inadeguato.
A tutto questo si era aggiunta la concorrenza: se nel 1867 era ancora
l'unica fonderia presente in città, nel 1895 queste erano diventate 16.
All'inizio del Novecento, Neville si convinse di ritirarsi da Venezia
mettendo in liquidazione la società. L'area venne acquistata dal Comune
il 7 aprile 1905 per destinarla alla costruzione delle case popolari.
Tuttavia ci fu chi si prestò a portare avanti quell'attività (che
nel frattempo era arrivata a coinvolgere 250 famiglie) trasferendola alla
Giudecca ed allo scopo fu costituita la S.A.V.I.N.E.M. (Società Anonima
Veneziana Industrie Navali E Meccaniche): venne chiesto al Comune, ormai
proprietario dell'area, un po' di tempo per attrezzare l'area alla
Giudecca e trasferirvi gradualmente i macchinari.
I fabbricati vennero demoliti tra il 1907 ed il 1908 ad eccezione di uno
che servì provvisoriamente come abitazione del custode del cantiere di
costruzione delle case popolari.
La
calle de la Fonderia verso la calle del Campazzo.