A San Giovanni Evangelista.
Questi luoghi prendono il nome da due attività che vi si svolgevano:
quella di fornèr, o fornaio, e di marangòn, o falegname.
Il ramo invece è denominato solamente "del fornèr".
Giuseppe Tassini (1827-1899)
tuttavia
scriveva che «...il
fornajo più non vi stanzia, nè il marangon, o falegname».
Non dubitiamo della parole dell'illustre studioso di cose veneziane,
tuttavia ci piace ricordare che un fornaio esiste oggi nella vicina calle
de l'Ogio o del Cafetier; non solo: avendo noi abitato dalla nascita
fino all'adolescenza proprio in questo campiello, ricordiamo che nella
calle del Fornèr abitava un falegname, di cognome Ciotti, che aveva la propria
falegnameria proprio lì vicinissimo, ad una decina di metri: quasi che la
vocazione di questi luoghi ad ospitare un fornèr ed un marangòn
sia rimasta immutata nel tempo.
Come spesso si nota in molti altri luoghi della città, sui vecchi
architravi delle porte di accesso sono ancora visibili i resti di una
numerazione con cifre romane: su un architrave del ramo del Fornèr sono
incisi addirittura due numeri sullo stesso architrave.
Civico
2371 (I).
Civico
2373 (II).
Civico
2374 (III).
Civico
2375 (IV).
Civico
2376 (V).
Civico
2369 (VI).
Civico
2370 (VII).
Civico
2366 (ramo del Fornèr, numeri romani IV e V).
Entrando
nel giardino del palazzetto Bru Zane dal campiello del Fornèr o del
Marangòn.
Il numero civico 2368 conduce ad un giardino alla francese di ragione del
Palazzetto Bru Zane, Centre de Musique Romantique Française.
La famiglia Zane era stata proprietaria di un palazzo qui vicino, tutt'ora
esistente, che attualmente ospita un istituto scolastico (per tantissimi
anni, nel passato, l'Istituto Professionale Livio Sanudo): in origine si
trattava di una palazzina trecentesca che era di proprietà della famiglia
Morosini. Domenico Zane la fece ristrutturare da Baldassare Longhena
(1596-1682) ed alla sua morte da Antonio Gaspari (circa 1660-1738/49) e
Domenico Rossi (1657-1737) che la dotarono di un'elegante facciata che
prospetta sul rio di Sant'Agostin.
Un nipote di Domenico, Marino Zane, uomo di cultura ed appassionato di
teatro, fece costruire verso la fine del Seicento, in un terreno di
proprietà collegato alla prossima casa dominicale, questa palazzina dotata
di sala per il ballo e la musica con tanto di balaustra per ospitare il
pubblico, con lo scopo di farne un luogo a se stante di cultura e di svago
intellettuale, separato dalle sale di rappresentanza dell'abitazione di famiglia.
La
tromba delle scale per salire.
l
ramo del Fornèr.
La
palazzina venne dotata di tre ingressi: quello di terra, che si affaccia
sulla corte del Fornèr o del Marangòn, quello d'acqua sul rio di San
Giacomo dell'Orio, ed uno dal giardino.
A seguito di varie vicende testamentarie, nel 1715 la proprietà passò ai
Venier di San Vio.
Nell'Ottocento il palazzo ed il casino passarono a differenti proprietà:
il palazzo finì con l'ospitare la struttura scolastica mentre il resto,
ad eccezione della biblioteca che fu divisa in appartamenti, divenne di proprietà dei marchesi
Taiani.
L'aquila
asburgica posta accanto al pulsante del campanello.
Nella proprietà del casino subentrò l'arciduca Domenico di Asburgo
Lorena ed ancora personalmente ricordiamo membri di quella blasonata famiglia
che vi abitò con una coppia di biondi setter irlandesi che girava libera
nel giardino, mentre la proprietà lasciò il segno sul campanello
d'ingresso con un'aquila bicipite asburgica tuttora ancora visibile.
Gli Asburgo Lorena nel 2005 cedettero il casino alla Fondazione Bru Zane
di Cologny che ne ha fatto un centro di ricerca e produzione culturale
sottoponendolo a importanti lavori di restauro per riportarlo il più
possibile agli splendori di un tempo.
Nei nostri ricordi rimane ancora l'immagine di decine e decine di sacchi per
le immondizie ricolmi di carte, per svuotare i locali da restaurare.
Un'altra
inquadratura del campiello del Fornèr o del Marangòn con le
case modulari.