A Rialto.
Questi luoghi prendono il nome da un'osteria che aveva l'insegna "al
Gąmbaro" (il gąmbaro č il gambero, in italiano) che si
trovava nel campiello.
Abbiamo notizie dell'esistenza di una osteria con tale insegna a Rialto
dal XV secolo: nel 1465 un certo Venturino, che era alloggiato nella
locanda al Gąmbaro, oppure che era l'oste per il duplice significato
della parola hospes, («...hospes in hospitio Gambari in Rivoalto...»)
venne ferito ripetutamente da tre tedeschi: tale Armano, cappellaio, e da
Angelino e Leonardo dei quali non viene detta la professione.
Il 25 settembre 1465 i tre furono condannati in contumacia a bando
perpetuo; nel caso avessero contravvenuto al bando, sarebbero stati
portati nel luogo dove avevano commesso il delitto, gli sarebbe stata
amputata la mano destra e con questa, appesa al collo, sarebbero stati
scortati fino alla piazzetta di San Marco tra le colonne di Marco e Todaro
dove sarebbero stati decapitati.
Tredici
anni dopo, un certo Fioravante, un Girolamo originario di Brescia assieme
ad altri compagni stavano giocando a carte «...in hospitio Gambari in
Rivoalto...» quando furono assaliti da Giovanni Gallina e da un tale
Giacomo, probabilmente un candiotto dalla cittadina di Azali «..ab
Azalibus...», per impadronirsi delle monete che erano sul tavolo di
gioco.
I due malcapitati vennero feriti «...cum uno gladio panesco...».
I due responsabili riuscirono a fuggire; ciņ nonostante il 7 marzo 1478
furono condannati in contumacia al bando perpetuo e, qualora avessero
osato entrare a Venezia o nei territori dello Stato, sarebbero stati
mandati a morte alle forche di campo delle Beccarie.
Troviamo ancora qui un «...Iseppo Rossi hosto al Gambaro...» che
nel 1661 pagava l'affitto della bottega a vari comproprietari.
Traccia
di un'iniziale di chi una volta ci abitava.
In
calle del Gąmbaro c'č l'ingresso ad un edificio che si affaccia sulla
vicina riva del Vin: si tratta del palazzetto Barbarigo.
Qui la confraternita dell'Arte del Venditori, Portadori e Travasadori de
Vin pare avessero la sede della propria Scuola in alcuni locali che
avevano preso in affitto al piano terra dell'edificio.
Quando nel 1609 questa fraglia confluģ nella Scuola dei Mercanti da Vin,
le maggiori possibilitą economiche consentirono l'acquisto del palazzo
che venne poi indicato come Scuola dei Mercanti da Vin.
Due
santi sugli stipiti della porta d'ingresso di quella che era
stata la Scuola dei Mercanti da Vin: se quello di destra č
sicuramente San Adriano, pił incerta risulta
l'identificazione di quello di sinistra.
Sugli stipiti della porta d'ingresso, sono effigiati due santi: quello di
destra č Sant'Adriano, effigiato con una corta veste, una mantellina, la
spada con la quale venne martirizzato e la palma del martirio: č lo
stesso santo che troviamo raffigurato sul pilastro d'angolo di questo
palazzo Barbarigo tra questa calle e la riva
del Vin.
Il santo di sinistra dovrebbe essere San Girolamo, un altro santo al quale
i confratelli della Scuola dei Mercanti da Vin erano devoti, anche se non
sembra abbia tutti gli elementi iconografici caratteristici di questo
santo.
Sullo stipite di destra č inciso anche il numero romano «V».
Croce
con Golgota incisa su un pilastro di bottega in calle del
Gąmbaro.
Su un pilastro di antica bottega al numero civico 528 č distinguibile una
croce devozionale con Golgota, incisa dalla mano pietosa di qualche
fedele.
Tra i numeri civici 530 e 531 rimane la curiosa traccia di una targhetta
con l'iniziale «F.» di una persona, o famiglia, che evidentemente vi abitava.
Sul pilastro d'angolo, tra la calle ed il campiello del Gąmbaro, laddove
probabilmente esisteva l'antica osteria che dava il nome a questi luoghi,
sono incisi due stemmi, in corrispondenza rispettivamente dei numeri civici
537 e 537A.
Una
targa ricorda la ricostruzione del palazzo dopo il bombardamento del
1918.
Stemmi su un pilastro
angolare di bottega tra il campiello e la calle del Gąmbaro.
Non sono di univoca attribuzione: potrebbero appartenere tanto alla
famiglia Zorzi, quanto alla famiglia Polani, in quanto sono
sostanzialmente identici, cambiando solo il colore della fascia,
rispettivamente di rosso o d'azzurro, colore che evidentemente non si puņ
distinguere nell'arma scolpita nella pietra.
Questo palazzo fu bombardato durante la Prima Guerra Mondiale, nella notte
tra il 26 ed il 27 febbraio 1918. Un marmo commemorativo posto sulla
facciata prospiciente il campiello ricorda questo fatto con l'iscrizione: «SVLLE
ROVINE CAVSATE DA BOMBA AVSTRIACA RISORGEVA L'EDIFICIO L'ANNO DOMINI
MCMXXI».
La facciata sul campiello dell'edificio di fronte presenta una simpatica
curiositą: una delle due finestre del primo piano č stata tamponata ma,
probabilmente per non guastare la simmetria della parete, č stata dipinta
sul muro come se esistesse ancora!