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Il
"sotopòrtego" Manin con le luci del tramonto. |
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A San Salvadòr.
Il sotopòrtego ed il ponte oggi prendono il nome dal palazzo
sovrastante, costruito inizialmente dalla famiglia
Dolfin della Ca' Granda e poi giunto in possesso della famiglia Manin e
specificatamente di quel Lodovico Manin (1726-1802) che fu l'ultimo mite e
soprattutto debole Doge con cui si chiuse
l'epopea della Repubblica di Venezia.
Sotto l'imponente facciata ideata da Jacopo Sansovino (1486-1570) si
apriva questo portico che ospitava un tempo dei negozi.
Il palazzo venne ristrutturato durante i lavori commissionati nel 1787
proprio dal futuro ultimo Doge, che comportarono, tra l'altro, la
distruzione di un originale cortile ideato dal Sansovino che
suscitava l'ammirazione dei contemporanei per aver saputo coniugare schemi
architettonici romani al particolare contesto urbanistico veneziano.
Fu nel corso di questi lavori che furono eliminate le botteghe presenti
nel sotopòrtego, a vantaggio anche della viabilità pubblica.
Nel XVI secolo il ponte Manin era chiamato anche «ponte della Riva del
Carbon», come leggiamo in questo documento del 1575 del Magistrato
alle Acque: «Sia rifatto et alzato il Ponte della Riva del Carbon acciocché
le Barche vi possino passare sotto. 1574, 12 Gennaro». (essendo il
documento del 12 gennaio, la data deve intendersi more veneto:
quindi l'anno è corrispondente al nostro 1575).
Nel 1696 il ponte era descritto da Vincenzo Coronelli (1650-1718) come «...di
Ca' Delfin di pietra con una banda».
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Il
"sotopòrtego" Manin. |
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