Poste Vechie (calle, sotopòrtego de le)

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La stretta calle (una volta chiamata "calesella") de le Poste Vechie.
A San Cassiano.
Il toponimo è stato purtroppo storpiato: da "Poste Vecchie" previsto dallo stradario del Comune di Venezia del 2012 si è voluti tornare nel 2015 ad una forma popolare/dialettale (vechie) che non esiste (ed anzi è ridicola) anziché, se proprio si voleva, ad un più corretto "Poste Vecie".
L'uomo ha sempre avuto necessità di comunicare con i suoi simili e la posta è stata uno strumento per farlo, riuscendo ad avvicinarli anche quando si trovavano lontani fra di loro migliaia di chilometri.
Se una volta la posta si identificava con la lettera (ma anche con tutto quanto ci ruotava attorno, corriere, diligenze, strade, stazioni di posta, locande, viaggi, eccetera...) oggi la posta è un'organizzazione complessa, non necessariamente pubblica, che consente la trasmissione di notizie tra persone lontane: non più solo lettere, ma anche telegrafo, telefono, e.mail, messaggistica di tutti i tipi, da WhatsApp a Skype, ecc... e chissà quanti altri sistemi verranno inventati già da domani.
Limitandoci all'Europa, in origine la posta venne organizzata dall'Impero Romano: sulle grandi strade che furono costruite non transitavano solo eserciti, ma anche notizie.
Per la sua importanza la posta fu appannaggio di principi e governanti, ma è evidente come nei secoli interessò anche i privati, dapprima di qualche condizione particolare, poi genericamente di tutti i cittadini.
A Venezia ad avere necessità di comunicare erano soprattutto le autorità di governo e i mercanti, figure che molto spesso coincidevano: il nobile che saliva gli scaloni del Palazzo Ducale per raggiungere le magistrature di governo delle quali faceva parte, spesso era la stessa persona che, superato il ponte di Rialto, trattava di partite di spezie, o di tessuti, o di carichi di merci provenienti da Bisanzio.
Se il nobile-politico aveva bisogno di notizie dalle altre città europee o mediorientali, lo stesso nobile-mercante aveva bisogno di notizie dai mercati d'Europa o dell'impero ottomano.
Trovava chi si prestava al servizio di trasportare lettere o messaggi: il corriere.
 
Il tratto della calle de le Poste Vechie che una volta era chiamato ramo, ed in tempi più antichi corte.
 
Un corriere reca a Papa Innocenzo III (1161-1216) la notizia della presa di Costantinopoli (frammento musivo della seconda decade del XIII secolo conservato nella chiesa di San Giovanni Evangelista di Ravenna).
 
Già nell'840 l'Imperatore Lotario (795-855) ed il Doge Pietro Tradonico (Doge dall'837 all'864) avevano stretto un patto per garantire la sicurezza e la libera circolazione dei corrieri nei rispettivi territori ed in quelli vicini o sottoposti a Bisanzio: «...epistolarii, si detenti fuerint, relaxentur, et componantur eius solidi trecenti...» (i portatori di lettere, se sono stati trattenuti, siano rilasciati e risarciti con trecento soldi) «...et si, quod absit, occisi fuerint, componantur parentibus eorum pro ipsis solidi mille, et ipsa persona tradatur in manibus eorum» (e se, come può capitare, vennero uccisi, siano risarciti i loro parenti con mille soldi, ed il corpo sia consegnato nelle loro mani).
A Venezia questi corrieri, con messi, cavallari e con i barcaioli pronti per trasportarli via acqua, stanziavano nella zona di Rialto, a San Giacomo, in Erbarìa o in Beccarìa, in riva de l'Ogio (olio) a disposizione di quanti avevano la necessità di trasmettere missive e più tardi anche per distribuire quelle ricevute.
Un certo numero di questi corrieri era originario della Val Brembana: in genere vengono citati quelli della famiglia Tasso che organizzò un'efficiente rete postale a livello europeo, ma che in realtà poco ebbe a che fare con le poste veneziane dove si limitava ad arrivare con la Posta di Fiandra; alcuni Tasso, che troviamo iscritti dal XVI al XVIII secolo nella Compagnia dei Corrieri della Serenissima Signoria di Venezia, forse non avevano neppure rapporti di parentela.
  Il 6 gennaio 1305 more veneto (corrispondente al nostro 1306) l'importanza che aveva raggiunto l'attività dei corrieri, messaggeri e cavallari spinse il Maggior Consiglio a sottoporli al controllo dello Stato, e precisamente dei Provveditori de Comun: «Quod offitium de super Cursoribus comittatur Provisoribus Communis, et addatatur in eorum Capitolari» (il compito di controllo sui corrieri sia affidato ai Provveditori de Comun, e venga aggiunto nel loro capitolare).
Il "sotopòrtego" de le Poste Vechie oggi esistente non è quello che esisteva già nel XV secolo.
Sbaglia chi considera che con questo atto sia stata fondata la Compagnia dei Corrieri della Serenissima Signoria di Venezia: in realtà sono stati solamente assoggettati ad un organo di controllo dello Stato in considerazione dell'altissima importanza della loro opera.
Una lettera datata 14 settembre 1464 ci testimonia che alcuni corrieri cominciarono a sistemarsi in locali dove poter svolgere la propria attività al coperto: si trattava di alcune stanze che si affacciavano sul rio delle Beccarìe ed alle quali si poteva giungere attraversando un sotopòrtego che si imboccava dalla riva de l'Ogio.
A seguito dei mutamenti urbanistici intervenuti in cinque secoli, soprattutto tra il XVIII e XIX secolo, quel sotopòrtego non c'è più: lo vediamo ancora nella pianta di Lodovico Ughi del 1729, ma non più in quella di Bernardo e Gaetano Combatti del 1847. Tuttavia parte di quella calle esiste ancora oggi e si chiama "delle Poste Vechie".
In questi locali occupati da tredici uffici di posta si accettava la corrispondenza in partenza per le varie destinazioni, si distribuiva quella in arrivo e, data la concentrazione di tanti corrieri in questo luogo, i corrieri stessi potevano scambiarsi tra di loro la corrispondenza da avviare sui vari percorsi.
Vi avevano trovato sede le poste di Bassan (Bassano), Verona, Piove, Padova, Brescia, Palma, Bolzan (Bolzano), Conelgian (Conegliano), Ceneda, Saraval (Serravalle), Udene (Udine), Treviso, Vicenza, Motta, Uderzo (Oderzo), Porto Bufolè (Portobuffolè) e Sacil (Sacile).
 
Lo schizzo riprende un disegno risalente al XV-XVI secolo che mostra i locali al pian terreno che erano raggiungibili tanto dalla riva de l'Ogio sul Canal Grande (a sinistra), quanto da una calle a destra che dovrebbe identificarsi con l'attuale calle de le Beccarìe. Molti locali sono affacciati sul rio de le Beccarìe.
Ai piedi dell'attuale ponte de la Pescarìa (a sinistra), sulla riva de l'Ogio, è leggibile l'annotazione «barche da Padova» che facevano proseguire la posta per quella direttrice lungo il fiume Brenta: la più famosa di queste barche è il "Burchiello".
Con numeri romani sono identificati tredici uffici di posta:
 
I - Posta di Bassan;
II - Posta di Verona;
III - Posta di Piove;
IV e V - Posta di Padova;
VI e VII - Posta di Brescia;
VIII - Posta di Palma e Bolzan
IX - Posta di Conelgian, Ceneda, Saraval;
X - Posta di Udene
XI - Posta di Treviso;
XII - Posta di Vicenza
XIII - Posta di Motta, Uderzo, Porto Bufolè e Sacil.
 
 
L'altare della Compagnia dei Corrieri Veneti.
 
Al centro dello stemma, nella parte superiore un leone di San Marco "in moleca", in quella inferiore un corno di posta.
All'incirca in questo periodo un gruppo di corrieri che operavano abbastanza individualmente, al di là dei necessari contatti per far progredire la posta da una località ad un'altra, vide conveniente unire le forze costituendo la Compagnia dei "Corrieri della Serenissima Signoria di Venezia" che «...fo principiata...» l'11 marzo 1489.
Inizialmente il loro numero era di quaranta che poi venne ridotto a 32: «...i corrieri de quest'inclita Città si presenti come futuri congregati in Capitolo [...] sono numero quaranta che sono tutti quelli se attrova in Venezia...».
I corrieri si riunivano come Scuola (confraternita) nella chiesa di San Giovanni Elemosinario a Rialto, non lontano da dove avevano i loro stazi. Elessero come santo protettore Santa Caterina d'Alessandria con copatroni San Sebastiano e San Rocco.
Purtroppo l'incendio che devastò l'area di Rialto nella notte del 10 gennaio 1514 provocò danni irreparabili, come la distruzione degli archivi dei Corrieri Veneti che si conservavano probabilmente nella chiesa di San Giovanni Elemosinario, oltre al danneggiamento del loro altare di devozione che venne rifatto.
Negli anni in cui si lavorava al ripristino della chiesa, i corrieri si riunivano nella vicina chiesa di Sant'Aponal; rientreranno a San Giovanni cinque anni più tardi, nel 1519.
Per il loro altare, commissionarono quindi a Giovanni Antonio de' Sacchis, detto il Pordenone (1484 circa-1539) una pala che venne completata nel 1532-33; nella lunetta superiore Domenico Robusti (1560-1635), figlio del più famoso Tintoretto, dipinse una "Santa Caterina d'Alessandria medicata dagli Angeli".
 
La tomba dei membri della Compagnia dei Corrieri Veneti.
 
Ai piedi dell'altare avevano la loro tomba sul cui sigillo erano incise le parole «VENETIARVM CVRSORES», l'anno 1585 «MDLXXXV» ed uno stemma occupato dal leone di San Marco e da un significativo  corno di posta.
L'altare verrà ricostruito nel 1681 perché fino ad allora pare fosse in legno.
 
Una miniatura che mostra Santa Caterina d'Alessandria con due corrieri postali inginocchiati in preghiera. Sulla cornice floreale, i simboli dei quattro Evangelisti. 
La Compagnia dei Corrieri Veneti non era formata da nuovi corrieri: erano quelli già presenti in città che avevano deciso di unirsi, forse su pressione dei Provveditori de Comun.
La loro presenza diede quindi una fisionomia articolata e complessa al servizio postale a Venezia: c'erano loro, che si erano spartiti i percorsi interni e quelli esterni ai territori della Serenissima, c'erano i corrieri delle città di terraferma, riuniti in fraglie (nel senso di "fratellanze", o corporazioni) e c'erano i corrieri stranieri che giungevano da altri stati.
Similmente alle altre Scuole di mestieri, anche i Corrieri Veneti eleggevano una volta all'anno un gastaldo ed un vice gastaldo: il gastaldo infatti era un corriere lui stesso e quindi per il suo mestiere non poteva essere sempre presente in città; per questo aveva bisogno di un sostituto.
E per lo stesso motivo (l'attività dei corrieri non poteva mai fermarsi) alle votazioni ed alle decisioni da prendere, l'assemblea non era mai al completo: partecipava chi era presente in città.
La qualifica di corriere era ereditaria e poteva essere perduta solo per indegnità o rinuncia. Tra i motivi di indegnità c'era l'occultamento delle lettere per sottrarne i guadagni in base ai quali veniva versata una percentuale nella cassa della Compagnia: la cassa aveva scopo di mutuo soccorso.
A seguito della morte di un corriere, in mancanza di eredi maschi, la qualifica poteva essere trasmessa alla figlia femmina «...per il suo maritar...», cioè il mestiere poteva essere esercitato da suo marito. In assenza di figli, il diritto veniva trasmesso al consanguineo più prossimo.
Nel 1582, ottenendo la gestione completa delle Poste dello Stato, ai Corrieri Veneti venne riconosciuto l'interesse pubblico del loro servizio.
Nel 1615 avevano acquisito la posta di Palma, e via via inglobarono la posta di Feltre (1718), quella di Udine e Cividale, di Belluno (1733), le poste di Bergamo e di Bassano (1733 e 1734).
Furono delle operazioni che costarono alla compagnia ingenti esborsi di denaro per indennizzare gli altri corrieri, ma alla fine si trovò a gestire tutti gli itinerari postali più importanti.
Il 31 ottobre 1634 i corrieri della Compagnia furono autorizzati a portare l'insegna di San Marco.
Intanto abbiamo notizia di un certo fenomeno: molti dei corrieri che erano a Rialto cominciarono ad abbandonare i locali sul rio de le Beccarìe: non si conoscono con certezza i motivi, ma in genere si ipotizza che l'affitto richiesto fosse diventato troppo oneroso.
 
Una delle pagine de "La temi veneta" per l'anno 1793 con gli arrivi e le partenze delle poste a Venezia.
Così molte poste trovarono ospitalità presso botteghe o anche case private: nel 1702 il «...Signor Andrea Petrobelli Spitier ["speziere", in pratica farmacista - N.d.R.] al Re di Francia Sula Riva del Fero...» ospitava le poste di Motta, Oderzo e Portobuffolè; la posta di Sacile si trovava «...in Casa di Pasqual Fantini...» mentre la posta di Pordenone era «...in Bottega di Picin Linariol».
I Provveditori de Comun, nelle persone di Zorzi Bondumier e Vincenzo Pisani, non vedevano di buon occhio questo sparpagliarsi per la città degli uffici postali, preferendo averli concentrati in un unico luogo ed è per questo che decisero di far restaurare sei locali di quelli presso la riva de l'Ogio incaricando del lavoro il proto Anzolo Gornizai che il 28 luglio 1705 firmò il disegno dei luoghi per i «...mureri [muratori - N.d.R.] che lavoravano». Venne quindi ordinato «...che tutte le Poste disperse in più luoghi della città siano ridotte in uno nel luoco stabilito in Rialto vicino alla Barche di Padova ove sono raccolte molte Poste dello Stato».
 
 
Il disegno riprende quello datato 28 luglio 1705 e mostra la stessa zona dello schizzo precedente: il proto Anzolo Gornizai evidenzia i sei locali destinati alle poste: l'indicazione è per i muratori che vi dovevano lavorare: «luocho per uso de posta per relazione de' mureri che lavoravano»; sulla sinistra, sulla riva de l'Ogio sul Canal Grande, ai piedi del ponte de la Pescarìa, è disegnato un burchio, apparentemente simile all'iconografia del "burchiello", l'omnibus acqueo che collegava Padova a Venezia e che con i passeggeri trasportava anche merci e posta.
 
Nella pianta di Anzolo Gornizai si può osservare come era agli inizi del Settecento l'attuale calle de le Poste Vechie: è contrassegnata con il nome «calisella» (piccola calle) e la vediamo con il suo andamento orizzontale in basso verso destra del disegno. E' interessante notare come, una volta entrati  dalla calle de le Beccarìe (a destra che porta al ponte), oggi la calle sia chiusa da un muretto appena dopo il sotopòrtego: ma oltre è visibile lo stesso scanso del muro che disegnò nel 1705 il proto Gornizai.
Su quel basso muretto, su cui c'è una porticina chiusa, è inserito un capitello votivo che oggi racchiude la riproduzione a stampa di una Madonna con Bambino del Raffaello (Madonna Tempi, München, Alte Pinakothek).
 
Il piccolo capitello votivo sul muretto che chiude la calle de le Poste Vechie.
 
Il 12 settembre 1730 la Compagnia dei Corrieri Veneti venne incaricata di vigilare su tutte le poste presenti a Venezia: per i suoi uffici dovevano necessariamente transitare tutte le lettere che per qualsiasi motivo (arrivo, partenza, transito) fossero presenti in città, chiunque ne fosse il trasportatore.
Per quanto riguardava invece i servizi gestiti direttamente dai propri corrieri (posta cavalli, staffette, posta estera) si serviva di una sede autonoma in riva del Carbon, a San Salvador.
Giungiamo così al 1747 quando, con differenti decreti, lo Stato veneziano avocò a sé il cosiddetto jus postale affidando con asta pubblica al maggior offerente gli Offizi de' Cavallari.
La Compagnia riuscì in questo modo ad ottenere il monopolio di tutte le poste ed i cavallari diventarono in pratica dei dipendenti della Compagnia.
A questo punto, avendo assunto tutti i servizi postali dello Stato, si trasformò in Impresa Generale degli Uffizj delle Cavallerie con la sede nei locali di rio de le Beccarìe.
Nel 1783 l'Impresa Generale scelse per esercitare la propria attività «...lo Stabile nella Contrada di San Moisè sopra il Canal Grande, situato nella Corte di Cà Barozzi...»; «...saranno pertanto trasportate le Poste tutte dello Stato ora esistenti nella Contrada di S.Cassiano, ed appresso Rialto, nello Stabile medesimo che ad universale notizia sarà marcato sopra le due Porte della Corte di Cà Barozzi, e nel Canal Grande, col nome della detta Generale Impresa. S'incomincerà nel giorno di Lunedì 10. Novembre venturo la raccolta di tutte le Lettere, Gruppi, e Tramessi andanti per tutto lo Stato, e nel giorno susseguente anche la dispensa di tutte le Lettere, Gruppi, e Tramessi, venienti dallo Stato».
  In palazzo Barozzi verrà trasferita anche «...la Posta Generale andante, e veniente dall'Estero [...] che ora s'attrova nella Contrada di S. Salvatore sopra la Riva del Carbon, per esercitarla in esso Stabile della Contrada di S. Moisè, principiando nei giorni stessi la raccolta pure e la dispensa delle Lettere, Gruppi, e Tramessi andanti e venienti dall'Estero, come anche la consegna delle Persone, Staffette, e Corrieri in conformità delle Pubbliche Leggi».
Con la caduta della Repubblica, per un po' la situazione mutò di poco, ma alla fine dopo la costituzione del francese Regno d'Italia il servizio postale venne nazionalizzato nel 1806.
I locali sul rio de le Beccarìe in parrocchia di San Cassiano che erano occupati dagli uffici di posta vennero adibiti a spaccio di vini. Questo spaccio è citato da Hans Barth (1862-1926) nel suo "Osterie", ovvero "Guida spirituale delle osterie italiane", dove lo chiama Osteria di Shylok, evidentemente per strizzare l'occhio al colto turista europeo che approdava a Venezia durante il suo viaggio in Italia; ma subito dopo soggiunge che «...il popolo chiama: Poste vecchie», nome mantenuto ancora oggi dalla trattoria che è ospitata in questi luoghi.
   
  
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Pagina aggiornata il 20 dicembre 2016.