Remèr (calle, campiello del)

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I due stemmi dei due rami della famiglia Balbi.
  
  
A San Pantalòn.
E' uno dei tanti luoghi di Venezia che prende il nome dalla presenza di un remèr, ovvero un fabbricante di remi, strumento indispensabile in una città come questa dove gli spostamenti avvenivano soprattutto con le barche.
  
Scorcio sulla corte del Remèr a San Pantalòn.
  
I remèri non fabbricavano solamente i remi, ma anche le forcole, come sono chiamati quei particolari scalmi che consentono di governare la barca senza necessità del timone.
In questa pagina si può leggere un piccolo approfondimento sul mestiere dei remèri.
Dalla calle del Remèr si può accedere a palazzo Balbi che ha la facciata sul Canal Grande "in volta de canàl" (ovvero dove il percorso del Canal Grande compie una decisa curva tra il ponte di Rialto e quello dell'Accademia).
Casimir Freschot (1640 circa-1720) nel suo "Li pregi della Nobiltà Veneta", stampato presso Andrea Poletti, Venezia 1682, fa discendere questa famiglia dai Balbini dell'antica Roma: da Roma si sarebbero portati a Pavia, dove ebbero un vescovo, Bernardo Balbi.
Da Pavia i Balbi si sarebbero spostati poi a Milano, quindi a Ravenna da dove una parte della famiglia si trasferì ad Aquileia.
All'epoca delle invasioni barbariche da Aquileia si rifugiarono a Venezia, dove vennero raggiunti anche dall'altro ramo della famiglia che era rimasto a Ravenna; tuttavia, nonostante le origini comuni, i due rami rimasero separati con stemmi diversi: «...in campo vermiglio d'una fascia mezza d'oro, e mezza d'azzurro, l'altra in campo d'oro d'una Dolce negra con lingua, e artigli rossi. Alcuni M.S. [= manoscritti - N.d.R.] la fanno leonessa, il Cimiere un Leone nascente...».
   
Palazzo Balbi, "in volta de canàl".
Il Balbi, con i fratelli Nicolò e Giovanni, all'inizio del XIII secolo avevano offerto importanti servigi al Re d'Ungheria, avevano avuto tra le proprie fila molti ecclesiastici, tra cui un vescovo, Bono Balbi, che morì a Torcello nel 1215. A seguito della serrata del Maggior Consiglio del 1297 rimasero annessi al patriziato e nel 1509 fu un Pietro Balbi «...cavaliere e senatore grande...» a liberare Padova dall'assedio portato dall'imperatore Massimiliano I (1459-1519); un Teodoro Balbi, sopracomito della galera Santissimo Salvatore, ferito a Lepanto nel 1571, un anno dopo non esitò ad attaccare la flotta turca.
Ma dopo questa panoramica sulla famiglia Balbi, dobbiamo tornare ad un Nicolò Balbi, figlio di Girolamo, che nel 1582 aveva notificato di possedere un terreno vuoto («...infruttuoso...») sul Canal Grande, dove si sarebbe potuto costruire un palazzo.
Sulla costruzione di questo palazzo è legato un aneddoto riportato da Giuseppe Tassini (1827-1899) che non cita la fonte da cui lo avrebbe tratto limitandosi ad un generico «...dicesi che...».
Nicolò Balbi, membro del Maggior Consiglio e dal 1569 al 1571 anche Podestà e Capitano a Mestre, abitava in una casa non molto lontano da qui, per la quale pagava un affitto.
Un giorno, mentre si recava a Palazzo, venne fermato dal suo padrone di casa che, con modi bruschi, gli rammentò che non aveva ancora pagato l'ultima pigione, ingiungendogli allo stesso tempo di provvedere subito al pagamento.
Il Tassini scrive che l'inquilino aveva «...innocentemente dimenticato la scadenza della rata...», tuttavia noi vogliamo ricordare che a quel tempo a Venezia girava la frase che, all'incirca, diceva: «Tra le cose introvabili a Venezia ci sono dei Balbi ricchi». Ricchi sicuramente dovevano esserlo, ma non abbastanza (si sussurrava) per poter aspirare ad essere eletti al Dogado.
Fatto è che, pagato il debito, Nicolò Balbi sentendosi offeso rinunciò alla casa in affitto, si trasferì con tutta la famiglia su un naviglio che ormeggiò davanti alla casa del suo ex padrone di casa in modo da oscurarla!
 
Gli stemmi sulla facciata del palazzo, tra le finestre del primo piano.
  
Contemporaneamente incaricò l'architetto (e scultore) Alessandro Vittoria (1525-1608), allievo di Jacopo Tatti, detto il Sansovino, (1486-1570) di progettare il proprio nuovo palazzo da costruirsi proprio su quel terreno vacuo ed «...infruttuoso...» che aveva notificato di possedere.
  
La lapide commemorativa della costruzione del palazzo.
  
In otto anni, dal 1582 al 1590, il palazzo che noi vediamo fu completato mostrando un impianto classico con alcuni elementi anticipatori di un barocco primitivo che ritroveremo di lì a poco in Baldassarre Longhena (1596/7-1682).
Il palazzo sulla facciata è sormontato da due obelischi, che in un certo momento a fine Settecento sparirono, per essere poi ricostruiti in successivi restauri: sono elementi decorativi che sarebbero appannaggio dei Capitani da Mar, ovvero degli ammiragli della flotta veneziana: effettivamente un Pietro Balbi era stato nominato Capitano da Mar nel 1510.
   
La lapide che ricorda la venuta di Napoleone in occasione di una regata in suo onore.
Con riferimento al fatto che gli uomini di mare potevano stare in navigazione mesi, ed anni, lasciando le proprie donne sole in casa, le maldicenti lingue veneziane attribuivano a quegli obelischi un differente significato, attribuendovi la natura di "corna".
Dalle finestre di questo palazzo Napoleone Bonaparte (1769-1821) assistette nel dicembre 1807 ad una regata che si svolse in suo onore.
  
Il cortiletto d'ingresso a palazzo Balbi dalla calle.
   
Dalla calle al palazzo l'ingresso non è diretto, ma si deve attraversare un piccolo cortiletto con al centro una vera da pozzo. Su un lato entro una finta grotta  è collocata una statua di Nettuno, attribuita genericamente a possibili allievi di Alessandro Vittoria.
Un frammento architettonico erratico di palazzo Balbi sul campiello del Remèr. 
Il palazzo venne parzialmente ristrutturato all'interno nel 1737 da Lorenzo Balbi, che vi spese 1.230 ducati, mentre attorno agli anni Settanta del Settecento Jacopo Guarana (1720-1808) con la collaborazione di Agostino Mengozzi Colonna (m.1792) abbellì gli interni con affreschi per lo più mitologici.
L'ultima discendente della famiglia Balbi vendette il palazzo ad un antiquario ebreo, Moses Michelangelo Guggenheim (1837-1914).
In verità definire semplicemente antiquario il Guggenheim è molto riduttivo: era nato a Venezia da Samuel Guggenheim e Sara Dettelbach, giunti a Venezia provenienti dal Baden negli anni Venti dell'Ottocento dove si erano dedicati alla raccolta ed al commercio di opere d'arte.
Michelangelo non si limitò a seguire esclusivamente il mercato antiquario, ma si fece propugnatore convinto della necessità di favorire lo sviluppo delle arti applicate all'industria ed a questo fine fondò nel 1857 uno Stabilimento di Arti Decorative e Industriali.
Fu lui stesso il progettista di tutti i suoi prodotti che oggi chiamiamo "di design", e per questo venne chiamato per l'arredamento interno di palazzo Papadopoli (oggi Aman Venice Hotel) durante i restauri del 1874-1881, arredamento che progettò diverso per ciascun locale, corridoio, pianerottolo o scala.
   
 
La mostra permanente di Moses Michelangelo Guggenheim nei saloni di palazzo Balbi.
  
Dal 1879 stabilì la sede del proprio Stabilimento in palazzo Balbi dove teneva una mostra permanente, mentre nel 1885, quando aveva attivi tre laboratori-officina, lavoravano per lui un centinaio di persone, tra artigiani, impiegati ed operai, il cui numero poteva aumentare in caso di bisogno per soddisfare ordini importanti.
Tutto questo senza dimenticare l'attività antiquariale, ereditata dai genitori, che lo fece uno dei più importanti antiquari di Venezia sempre disponibile a fornire al Comune studi, pareri e consulenze sul restauro e conservazione dei monumenti.
 
Palazzo Caotorta Angaràn, a fianco di palazzo Balbi.
Terminata l'avventura di Moses Michelangelo Guggenheim, nel 1925 il palazzo venne acquistato dalla S.A.D.E. (Società Adriatica Di Elettricità) fondata vent'anni prima da Giuseppe Volpi (1877-1947) e da Ruggero Revedin, che qui vi stabilì la propria sede principale dopo averlo fatto restaurare dall'architetto Samuele Mantegazza e dall'ingegnere Giuseppe Muzzi, sacrificandone uno dei due scaloni monumentali.
A seguito della nazionalizzazione dell'energia elettrica (1962) il palazzo passò all'Enel che poi, nel 1971, lo cedette alla Regione Veneto e, dopo l'importante ed accurato restauro del 1973, divenne sede della Giunta Regionale del Veneto.
Mentre scriviamo, la Regione Veneto ha espresso la volontà di cederlo a terzi.
Ad appena due numeri civici di differenza, in campiello del Remèr, c'è l'ingresso di terra di un altro palazzo che si affaccia sul Canal Grande, a fianco di palazzo Balbi: si tratta del palazzo Caotorta Angaràn.
 
A sinistra lo stemma Caotorta, a destra quello Angaràn (secondo Casimir Freschot).
  
La famiglia Caotorta vanta delle antiche origini cittadine: aveva abitato nell'insula di Castello contribuendo alla costruzione della chiesa dei SS. Sergio e Bacco: era iscritta al Maggior Consiglio prima della serrata del 1297, quando ne venne esclusa. Vi rientrò pochi anni dopo, nell'anno 1311, per i meriti di un suo membro, Nicolò Caotorta, che si era schierato a fianco del doge Pietro Gradenigo (1251-1311) in occasione del tentativo di colpo di stato fomentato da Bajamonte Tiepolo, Marco Querini e Badoero Badoer. Nel 1682 un Geronimo Caotorta fece parte del Consiglio di Dieci.
Lo stemma porta un leone d'oro che sostiene davanti un cerchio d'oro: in origine esso mostrava solo un cerchio d'argento, ma fu un Marco Caotorta nel 1425 a modificarlo aggiungendo anche il leone.
La famiglia Angaràn invece era originaria di Vicenza dove era presente già nel 1250 con il titolo di conte. Nel 1655 un Fabio Angaràn aveva offerto, in occasione della guerra di Candia (Creta), 140mila ducati ottenendo così l'ammissione al Maggior Consiglio per sé, i nipoti e i discendenti. Dalla supplica che presentò per chiedere l'ammissione al patriziato veniamo a sapere tra l'altro di un Girolamo Angaràn che fu luogotenente di Bartolomeo d'Alviano (1455-1515).
Il palazzo originario risale alla fine del XVIII secolo: è stato però di fatto ricostruito nel 1956 su progetto dell'architetto Angelo Scattolin, insegnante di restauro dei monumenti alla Scuola Superiore di Architettura di Venezia (oggi Università Iuav) dal 1936 al 1970, professore all'Accademia di Belle Arti di Venezia e proto della Basilica di San Marco negli anni Sessanta e Settanta del Novecento.
 
Lo stemma Angaràn sulla facciata del palazzo.
 
La facciata sul Canal Grande non è di particolare interesse: si segnala solo la classica porta d'acqua sovrastata nei piani superiori da due trifore.
Il palazzo presenta una sopraelevazione ed un abbaino: al centro del mezzanino è presente lo stemma settecentesco degli Angaràn.
  
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Pagina aggiornata il 9 gennaio 2018