Stua (campiello, fondamenta, ramo, sotopòrtego)

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La fondamenta de la Stua alle Carampane: in primo piano a destra si nota il "sotopòrtego" che conduce al campiello de la Stua.
Alle Carampane.
"Stua", in dialetto veneziano, sta indicare la stufa e deriva direttamente dal verbo latino "aestŭo, aestŭas, aestuavi, aestuatum, aestŭāre", ovvero avvampare, divampare, ma anche essere infuocato (riguardo al luogo), ribollire (delle acque), essere accaldati (delle persone).
Erano degli ambienti che originariamente erano legati alla pulizia ed al benessere del corpo, gestiti dagli stueri, una sorta di medici di minimo livello che appartenevano ad un colonnello (ramo) dell'arte dei barbieri e che, almeno in origine, si dovevano occupare della cura dei calli.
Per la loro attività avevano bisogno di acqua calda, e così c'era una stua sempre accesa che la riscaldava.
   
  
Samuele Romanin (1808-1861) nella sua "Storia Documentata di Venezia" paragona le stue veneziane ai bagni caldi turchi basandosi sulle affermazioni fatte dall'ambasciatore Alvise Molin (1606-1671), contenute nel Diario dell'ambasciata a Costantinopoli secondo le quali «...nel ritorno a casa dessimo un'occhiata ad uno dei loro bagni, che molti e frequentissimi sono nella Turchia, fatti per lavarsi prima dell'orazioni loro, che altro non sono che stufe in tutto simili alle nostre».
 
Uno stemma in fondamenta de la Stua.
Tuttavia che gli stueri non si limitassero a curare calli e unghie lo desumiamo da un decreto del 3 luglio 1615 dove si dice che molti curavano «...malati di diverse qualtà di mali, e da se stessi gli ordinano decotti di legno, che non avendo cognitione della complessione del patiente, per il più lo abbruggiano, altri fanno ontioni con l'argento vivo, profumi, od altro, a gran danno del prossimo, et anima loro, et altri segnando da strigarie, danno medicamenti per bocca così gagliardi che, invece di cacciar spiriti, cacciano l'anima».
Di luoghi che portano il nome di queste stue, a Venezia ne esistono altri; tuttavia Giovanni Battista Gallicciolli (1733-1806) nel suo "Delle Memorie Veneta Antiche Profane ed Ecclesiastiche" ci parla proprio di questa corte: «S'apre in calle di Ca' Bragadin altra calle che torcendo poi a scirocco perviene alla Fondamenta delle Tette ove trovasi un sottoportico. Ma prima nel mezzo si spande in un seno quadrato o piazza, che s'appella Corte de la Stua, ov'è un pozzo».
La corte del Gallicciolli, che in realtà è oggi più propriamente un campiello, è proprio questa, anche se il pozzo non c'è più: probabilmente il suo pluteale sarà stato trafugato nel passato, come purtroppo è avvenuto per moltissimi di questi caratteristici manufatti.
   
Il campiello de la Stua alle Carampane.
   
  Ed il Gallicciolli continua parlando degli «...Stueri diciamo gli Stufaioli, cioè quel genere di Chirurghi, i quali sogliono far loro mestiere accomodando le ugne [unghie - N.d.R.] de' piedi, risecando cali & c. perché sempre hanno in pronto acqua calda, ovvero qualche luogo caldano per comodo di quelli, che si vogliono far curare».
Ma non solo la cura del corpo, in senso lato, poteva riguardare (anche se come visto sopra era vietato) intrugli per il trattamento di malattie di vario genere, ma anche il piacere, il compiaciuto erotismo, l'abbandono a pratiche amorose ed a rapporti sessuali mercenari.
Ricordiamoci che, qui vicino, nell'area delle Carampane ed in particolare attorno alla fondamenta delle Tette, c'erano numerosi postriboli con prostitute: così nelle stue ci si poteva anche lavare e rinfrescare prima e dopo un convegno amoroso.
  
La fondamenta de la Stua alle Carampane.
  
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Pagina aggiornata il 7 marzo 2021