Vicino
al famoso mercato di Chichicastenango, da anni ormai turisticizzato, si
svolge una antica cerimonia di origine maya.
Viaggio effettuato nel 1980
Incenso
e copale davanti alla chiesa di Santo Tomás di Chichicastenango.
Il mercato della domenica di Chichicastenango, ripetuto per esigenze
turistiche al giovedì, è noto a molti, attraverso i racconti di chi c'è
stato e le innumerevoli fotografie pubblicate nei depliants delle agenzie di
viaggio e dei tour operator.
Non mi intrattengo su di esso, sugli indios discendenti diretti delle
antiche genti maya che percorrono 40-50 chilometri a piedi per cercare di
vendere una cintura intrecciata, qualche chilo di pesce essiccato del lago
Atitlán, un sacchetto di legumi; i colori ruotano vorticosi tra le
bancarelle, le stoffe stampate, i tessuti variopinti, il mercato dei fiori,
ai piedi degli scalini della chiesa di Santo Tomás e le donne, le
meravigliose donne guatemalteche con quella tipica bisaccia appesa alla
schiena che può contenere, indifferentemente, la spesa, tutti i loro averi
o il bambino neonato.
Una
scena del mercato di Chichicastenango.
Non mi trattengo neppure sulle cerimonie che avvengono all'esterno ed
all'interno della chiesa di Santo Tomás: i penitenti che salgono i gradini
in ginocchio con turiboli improvvisati ricavati da barattoli di latta o da
lattine di birra e Coca Cola, candele, fiori, preghiere, litanie, il profumo
dell'incenso... Si esce dalla santità del luogo e di nuovo siamo immersi
dalla frenesia del mercato.
Ne ho parlato qui
in un'altra paginetta che ho dedicato all'intero viaggio.
Così è capitato anche a me, in un giorno particolare, la domenica
successiva a quella di Pasqua.
Attirato da racconti frammentari, frasi buttate là e subito rimangiate da
un tardivo pentimento di averle pronunciate, scendendo gli scalini della
chiesa, invece di tornare ad immergermi nei colori e nei suoni del mercato a
destra, facendomi accompagnare da un ragazzino, guida improvvisata, ho
percorso la strada di sinistra: una strada in terra battuta costeggiata da
basse abitazioni e via via sempre da meno negozietti che porta fuori dal
centro del paese.
Su
una pietra nera dell'altarino c'è già una testa di gallo posata su un
piatto tra le candele.
Percorso un chilometro, forse
più, abbandonata ormai anche la periferia, la strada in mezzo alle
colline affronta un'ampia curva verso destra: porta al cimitero di
Chichicastenango, quel cimitero famoso nel mondo sulle cui tombe i
parenti, nei giorni dedicati ai Defunti, banchettano con i morti,
deponendo cibo e mais, affinché il loro parente possa continuare a
nutrirsi, e dove fino a pochi anni fa c'era una tomba dalla quale usciva
un filo con una cornetta telefonica con la quale il familiare si metteva
in comunicazione con l'Aldilà: oggi non c'è più, forse è morto anche
chi faceva quelle telefonate ultraterrene.
La mia guida mi spinge però a sinistra; poco prima della curva c'è un
viottolo, si passa davanti al cortile di una fattoria, si è guardati con
sospetto dai proprietari, si fa finta di nulla e avanti.
Avanti tra due campi, alcuni cespugli di Stelle di Natale che qui crescono
rigogliosi alti non meno di tre o quattro metri... Il viottolo si fa
stretto ed inizia la salita su una collina.
La cima della collina è piatta, coperta da alberi.
«Señor Santo Vicente, Señor Santo Antonio, Señor Santo Pedro, Señor
San Juan, Señor Santo Simon...»
La
radura sopra la collina nei dintorni di Chichicastenango.
La litania proviene da sempre più vicino una voce monocorde ripete una
sequenza impressionante di santi, mentre acuta si avverte la presenza
dell'incenso.
Cammino ormai in piano ed improvvisamente si apre un piccolo spiazzo
animato da personaggi d'altri tempi: sono gli Ajkún, sacerdoti
stregoni indios, custodi degli antichi riti dei loro antenati, i
Maya. Attorno stanno i maggiorenti delle confradias (confraternite,
o congregazioni, pagano-cristiane), alcuni adepti e le loro donne.
«Santa Rita, Nuestra Señora de la Merced, Señor San Lucas, Santa Teresa
de Jesús, San Sebastián...».
Mentre
un assistente regge il gallo tenendolo fermo, l'Aikún
officiante si appresta a mozzargli la testa.
Ora
è il sangue che fuoriesce dal corpo del gallo decapitato a bagnare
le "piedras nigras" dell'altarino.
L'incenso brucia in
improvvisati bracieri; su alcune pietre nere, di origine vulcanica, è
stato allestito un primitivo altarino: petali di fiore, candeline accese
sono posti davanti alla piedra nigra che la tradizione vuole sia
stata scolpita dagli antichi Maya. Di fronte arde un piccolo fuoco.
Una certa agitazione fra i presenti mi fa comprendere che mi devo tenere
ad una certa distanza, verso il boschetto. La mia presenza chiaramente non
è gradita.
«Señor San Diego, Señor San Cristóbal, Señor San Andreas, Señora
Santa Rosa del Pilar, Santa Fe...».
Si
fa colare sul fuoco il sangue che fuoriesce dalla testa
tagliata del gallo..
Salta fuori come da un cilindro dell'illusionista un gallo nero. L'Ajkún
officiante lo cosparge di copale, lo purifica al fumo dell'incenso e con
l'aiuto di un assistente taglia di netto la testa.
Dal corpo e dal capo reciso escono fiotti di sangue che vengono fatti cadere sul fuoco che
viene immediatamente ravvivato da una spruzzata di aguardiente.
Altro sangue bagna la sacra pietra nera dell'altare e su di essa viene
collocata la testa mozzata, come si fa con un sacrificio offerto alla
divinità.
«Señor San Augustin, Señor San Esteban, Señor
San Maximón,
Señor Santo Tomás... ayuda nosotros siempre...».
E' la volta del gallo bianco; si ripete il cerimoniale: purificazione
dell'animale sull'incenso, taglio della testa, si cosparge la pietra maya
di sangue, si ravviva il fuoco con l'aguardiente, si depone la
testa sull'altare.
E la litania continua: «Señor
san Gabriel, Señor San Joaquin, Señor San Miguel...».
Osservo meglio la pietra sacra: è rozzamente scolpita in modo da effigiare
grossolanamente le sembianze di un volto dai tipici lineamenti somatici
maya. Accanto un'altra pietra nera rappresenta una croce: i celebranti si
rivolgono indifferentemente ai santi cristiani, alle divinità maya,
oppure ad ambedue contemporaneamente. E' proprio vero che il cristianesimo
non ha conquistato gli indios: sono piuttosto loro che hanno
conquistato il cristianesimo, trasformandolo in un "cristianesimo
maya".
Ai margini della radura le donne sono intente a spennare i galli: il
sacrificio è compiuto, il sangue è stato versato, il cibo oggi sarà
santificato.
A
destra ci sono le "piedras nigras" dell'altare
pagano, a sinistra, con la stessa pietra nera vulcanica, è
scolpita una croce cristiana.