Maya 80

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Città del Messico, Tenochitlan,
Teotihuacán, Tula
Uxmal,
Palenque
Agua Azul, San Cristóbal de
las Casas, Comitán,
Montebello, Huehuetenango
Chichicastenango
Lago Atitlán, San Lucas
Tolimán, Antigua,
Città del Guatemala
Copán,
Quiriguá
Rio Dulce, Foresta del Petén,
Flores, Tikal,
Melchor de Mencos
Belmopán, Belize City,
Tulum, Playa del Carmen,
Cozumel, Isla Mujeres
Chichén Itzá, Mérida,
New York
 
Viaggio effettuato nell'aprile 1980
 
Vita di tutti i giorni lungo le sponde del lago Atitlán.
 
 
Il lago Atitlán, presso San Lucas Tolimán che si scorge sulla sponda a sinistra.
Alla mattina salutiamo Chichicastnango e ripartiamo. Con qualche difficoltà nel trovare la strada, arrivati all'incrocio di Las Pilas proseguiamo diritti per qualche chilometro per poi girare a sinistra in direzione di Cotzol. Proseguendo verso Panajachel abbiamo la prima visione dall'alto del lago Atitlán, dominato dai vulcani San Pedro (3.020 metri), Tolimán (3.158 metri) e Atitlán (3.535 metri, la cui ultima eruzione risale al 1853).
Scendiamo verso il lago fino a Panajachel e da qui cominciamo il nostro giro attorno al lago. Ci sono tredici villaggi abitati da indios di discendenza Maya, molti dei quali parlano ancora la lingua dei loro antenati, mantenendo la propria cultura e le proprie tradizioni.
Ci fermiamo in alcuni di essi: scene di vita comune, come le donne che lavano i panni sulle sponde del lago ed i ragazzini che vi si tuffano sguazzando nell'acqua.
Vicino a San Lucas Tolimán è mezzogiorno quando facciamo un'altra sosta per comperare da mangiare qualcosa. Su una specie di duna di fronte al lago c'è anche un baracchino di legno ad uso di toilette pubblica. C'è chi ne approfitta: in sostanza dietro una porta sgangherata di legno c'è solo una profonda buca che emana un odore nauseabondo, ricettacolo di migliaia di insetti e mosche schifose. C'è chi rinuncia ad ogni successiva operazione e va a cercarsi qualche discreto (e più igienico) cespuglio appartato nei dintorni.
E' qui che Chicca si accorge di non avere più il borsellino con il passaporto (e ad un'altra compagna di viaggio è sparito il K-Way). Le ricerche sul pulmino e a terra, ripercorrendo i luoghi dove siamo stati, danno esito negativo e nessuno tra noi si è accorto di nulla, neppure di estranei che si fossero avvicinati a noi.
Giancarlo, sospettando che comunque la sparizione sia stata opera di qualcuno del luogo che abbia approfittato di un nostro momento di disattenzione, ha un'idea: quella di cercare qualcuno che possa mettere in giro la voce del furto del passaporto, magari promettendo una ricompensa. Questo qualcuno potrebbe essere un sacerdote della chiesa del paese.
Andiamo così a San Lucas. In chiesa il sacerdote non c'è, ma ci indicano dove è la sua casa: comunque è fuori, rientrerà verso le cinque di sera.
Noi intanto ci sparpagliamo per il paese o per le rive del lago.
Alle cinque raggiungiamo la casa del prete fuori del paese: si tratta di un basso villino, moderno, con ampie vetrate ed un piccolo giardino ben curato. Ci accoglie la perpetua che ci fa accomodare nello studio. E' un sacerdote missionario americano. Siamo nel suo studio, pieno di libri e pubblicazioni ordinate in moderne e funzionali librerie, con un divano  e delle poltrone per gli ospiti dove prendiamo posto. Accanto a lui un cane pastore tedesco che alterna il suo sguardo attento su di noi a delle occhiate interrogative al suo padrone; come dire: che faccio? li sbrano?
Il missionario è molto ospitale e cordiale, ci offre del whisky, ci parla dei problemi della sua comunità e dei progetti che, con fatica, cerca di avviare. Noi gli raccontiamo quanto ci è accaduto. Ci assicura che metterà in giro la voce: la sua gente è per la maggioranza poverissima, ma un passaporto italiano per loro non vale nulla, nel borsellino cercava i soldi. Inviterà chi ne sa qualcosa a farsi sentire e chi lo può fare a restituire a lui, anche in forma anonima, il passaporto. Noi però dobbiamo aspettare qui.
Ci chiede se abbiamo un posto dove andare a dormire. Gli facciamo presente che abbiamo tutti la tenda e ci basta uno spiazzo dove montarle. Il sacerdote allora ci offre da dormire in una sala adiacente alla chiesa, dove possiamo usufruire anche di docce e servizi.
Passiamo la serata in questa sala, prepariamo la cena con i nostri fornelli e poi dormiremo sui materassini, nei nostri sacchi a pelo.
La chiesa di San Lucas Tolimán.
La mattina dopo ci sembra doveroso farci vedere alla Messa celebrata in chiesa dal sacerdote missionario. E' una normale celebrazione eucaristica, ma abbiamo notato alcune cose che non sono usuali nelle nostre chiese: per tutta la durata della Messa il cane pastore tedesco è sempre restato fedelmente a fianco del sacerdote, seguendolo ad ogni suo passo, come neppure una guardia del corpo saprebbe fare. Poi c'è il popolo dei fedeli, un'assemblea coloratissima di persone che vanno e vengono, entrano ed escono dalla chiesa con le loro sporte, le loro bisacce; in chiesa entrano anche galline e capre, nessuno ci bada. Infatti la porta della chiesa resta spalancata.
Il nostro missionario non ha notizie sul passaporto e noi lo ringraziamo comunque per l'ospitalità lasciando un'offerta per la missione e ripromettendoci di passare da lui prima di lasciare la zona con l'ultima speranza di buon notizie.
Continuiamo dunque il nostro giro attorno al lago Atitlán. E' un giro ridotto, perché dobbiamo recuperare il tempo perso per la disavventura del passaporto. Ci limitiamo pertanto a proseguire solo fino a Santiago, un dei paesini caratteristici sulle sponde del lago dove incontriamo indios vestiti con i loro costumi tradizionali.
Anche a Santiago gli indios tzotziles hanno mantenuto la cultura dei loro antenati, i Maya, elaborando in campo religioso una religione tutta loro, intrecciando usanze e credenze antiche con la nuova religione portata dai missionari.
Qui c'è il centro del culto di una divinità molto temuta dai connotati negativi, chiamata Maximón.
Ci sono tante storie circa l'origine di questo personaggio.
La più antica è quella che ci riporta all'origine del mondo: a causa delle relazioni adulterine tra gli antenati, la terra stava attraversando un periodo di disordine e dissolutezza. Fu così deciso di creare una figura che doveva «...mantenere l'ordine sulla terra».
Gli antenati cominciarono a cercare un albero dal quale trarre la statua del nuovo idolo. Durante la ricerca si imbatterono in un albero che rivelò di essere lui stesso la divinità che cercavano.
Una volta scavata la statua dall'albero, questa cominciò ad assumere le sembianze ora delle donne adultere, ora degli uomini traditori, intrattenendo rapporti sessuali con ambedue i sessi facendo ricadere il mondo nel disordine.
Allora gli antenati distrussero la statua per renderla impotente. Tuttavia non riuscirono a distruggere Maximón, che sarebbe sopravvissuto fino ai nostri giorni ancora abbastanza forte e potente, in grado di provocare negli uomini febbri, malattie ed anche follie.
A volte Maximón è raffigurato come una persona dissoluta e godereccia, gran bevitore e fumatore: per questo a volte viene raffigurato con un sigaro in bocca!
Santiago è anche il paese dove un artista locale ha scolpito una statua con l'ingresso di Gesù a Gerusalemme raffigurandolo come un cow boy americano, con tanto di stivali e speroni!
Dobbiamo accontentarci di essere arrivati fin qui, perché il tempo stringe e dobbiamo proseguire, percorrendo sempre la strada sul lago Atitlán dove sono sistemati, nei punti più panoramici, dei miradores per godere di scorci sempre diversi su insenature e piccole baie sul lago.
Ripassiamo per San Lucas con l'esile speranza che il passaporto sia stato ritrovato, ma effettivamente la speranza era troppo esile perché potesse realizzarsi.
Necessariamente dovremo fermarci a Ciudad de Guatemala per ottenere dall'Ambasciata italiana un duplicato del passaporto di Chicca.
Quando passiamo per Antigua, siamo così di corsa che la minima sosta che riusciamo a fare non ce la fa apprezzare (sempre che ci sia qualcuno al quale piaccia questo stile spagnolo fortemente barocco). Fondata nel 1542 con il nome di Santiago de los Caballeros, fu il cuore della colonia spagnola che comprendeva, in pratica, tutto il Centro America. Quello che resta di questa antica capitale coloniale è una serie di pesanti facciate barocche. La Plaza de Armas, la piazza principale, il cuore della città, è circondata da edifici in stile coloniale tra i quali spicca il Palacio de los Capitanes Generales.
La città fu vittima di vari terremoti, il più potente dei quali la mise in ginocchio nel 1773. Proprio a seguito di questo cataclisma i suoi abitanti furono costretti ad emigrare in terre più sicure.
Gli edifici di Antigua vennero più volte ricostruiti, sempre a seguito del succedersi di terremoti, cosicché quello che vediamo oggi è il risultato di molte ricostruzioni che si sono succedute nei secoli.
Ripartiamo dunque per arrivare alle prime ore della sera a Ciudad de Guatemala, la capitale del paese, fondata nel 1776 su ordine del Re di Spagna Carlo III su un altopiano della Sierra Madre chiamato La Ermita, proprio per sostituire la distrutta Santiago de los Caballeros.
Grazie alle indicazioni in possesso di Giancarlo, troviamo abbastanza presto posto in un albergo che occupa il secondo ed il terzo piano di un vecchio squallido edificio, servito da un ascensore che sembra ancora più antico.
Alla sera si fa appena il giro dell'isolato e ci fermiamo in un poco significativo ristorantino nei paraggi.
La mattina dopo è una giornata impegnativa per Giancarlo e Chicca: lei dovrà farsi delle foto per il passaporto e lui dovrà accompagnarla a presentare la denuncia di furto del passaporto alla polizia e poi, con questa denuncia in mano, recarsi all'Ambasciata Italiana per ottenere un duplicato del passaporto o un passaporto provvisorio. Forse non basterà: potrebbe essere necessario ottenere il visto di ingresso in Guatemala, altrimenti lei potrebbe risultare entrata clandestinamente nel paese.
Nel frattempo noi, che abbiamo fatto un giro di orientamento per la città che non ci pare abbia grandi spunti da offrire, pensiamo di dedicare il nostro tempo al Museo del Popol Vuh ed a sbirciare, ed eventualmente fare acquisti, al Mercado Colón.
Decidiamo di non usare i pulmini per muoverci: ci perderemmo sicuramente nel grigiore delle strade tutte uguali di questa città. Così, con le informazioni avute in albergo, prendiamo un autobus urbano di linea.
L'autista è veramente un factotum: oltre a guidare, riceve i soldi dai passeggeri, consegna i biglietti e l'eventuale resto. Non solo: non c'è il pulsante per la prenotazione della fermata. Chi deve scendere si avvicina all'autista, gli tocca la spalla ed in questo modo questi sa che la prossima fermata è stata prenotata!
Raggiungiamo così il Museo del Popol Vuh. Nel giardino d'ingresso sono poste alcune sculture appartenenti alla cultura Cotzumalguapa, provenienti per lo più dalla costa del Pacifico, ed altre dall'Altopiano Centrale del Guatemala. Vediamo immagini del dio della pioggia, del giaguaro, del serpente piumato, un coccodrillo, teschi, un altare antropomorfo. Alcune sono pietre che facevano da bersagli per il gioco della pelota.
All'interno il museo accoglie in vetrine un po' datate altre sculture, ma anche ceramiche e terrecotte varie, che provengono da siti archeologici guatemaltechi, che coprono un periodo che va dall'800 a. Cr. al 900 d. Cr.
C'è poi tutta una sezione dedicata all'arte coloniale a soggetto religioso, nella quale gli artigiani guatemaltechi rivaleggiavano con quelli di Quito e del Messico. Erano famose soprattutto le loro Vergini ed i gruppi con la Sacra Famiglia, che al tempo in cui Santiago de los Caballeros (Antigua) era fiorente, venivano esportate in tutta l'America Latina per la loro qualità e finezza di lavorazione. Qui c'è anche la ricostruzione di una cappella (naturalmente barocca) con statue della Madonna, della Trinità, dell'Arcangelo Michele (in legno di cedro rivestita da abiti d'argento), con un dipinto dedicato a due Dottori della Chiesa, e poi lampade d'argento, candelieri in bronzo, ecc...
Nel museo sono presenti anche oggetti legati alle feste popolari guatemalteche, come costumi e maschere che appartenevano a congregazioni locali che si radunavano attorno ad un santo, o ad un'immagine di santo, che si impegnavano ad onorare. Queste congregazioni, o confraternite, a turno animavano le celebrazioni ed a certe feste più solenni partecipavano tutte assieme.
Venivano eseguite anche particolari danze per le quali gli artigiani erano chiamati a preparare magnifici costumi, maschere, copricapo, oggetti, per i personaggi interpretati dai danzatori: c'era la Danza della Conquista (che rappresentava la sottomissione degli indigeni all'esercito spagnolo), la Danza dei Diavoli (che veniva eseguita nel giorno dedicato all'Immacolata Concezione), la Danza del Cervo (che simbolicamente rappresenta la lotta tra l'uomo e gli animali e veniva eseguita all'inizio della stagione delle semine) e tante altre.
Il museo ha una sezione archeologica con sale dedicate al Petén (quasi la totalità degli oggetti proviene dal Periodo Classico), alla zona della valle del Rio Motagua (con figure in terracotta che altro non sono che zufoli) ed al Quiché (con ventiquattro urne funerarie comprese tra il 600 ed il 1100 d. Cr., tra cui una in eccellente stato di conservazione e di grande finezza artistica).
Conclusa la visita al museo, ci dedichiamo al Mercado Colón, dove giriamo a curiosare, e qualcuno fa anche acquisti di oggetti in cuoio.
Ciudad de Guatemala non è l'unico posto dove ho visto circolare per le strade le biciclette con la targa, ma è la prima volta che vedo la targa applicata anche a normali e semplici carriole, quelle tradizionali con una ruota ed i due manici per spingerle. Evidentemente qualsiasi cosa che ha le ruote, per poter circolare per le strade, deve avere una targa di identificazione.
Nel tardo pomeriggio rientriamo in albergo ed un po' più tardi sono di ritorno Giancarlo e Chicca: hanno fatto tutto, il passaporto è già materialmente pronto, ma manca la firma del funzionario che era assente. Hanno avuto assicurazione che domani mattina sarà firmato e potrà essere consegnato.
Infatti l'indomani alle nove siamo tutti nei due pulmini sotto la sede dell'Ambasciata Italiana di Ciudad de Guatemala. Finalmente escono Giancarlo e Chicca che sventola il suo nuovo passaporto (che ha validità di tre mesi).
Quando mancano i ponti, a volte le deviazioni ci costringono a dei guadi.
Si può dunque partire per riprendere il nostro tour, percorrendo la carretera automóvil  n. 9 che collega Ciudad de Guatemala con l'oceano Atlantico a Puerto Barrios, un'arteria che costeggia un gran tratto del Rio Motagua.
E' una strada molto trafficata, soprattutto da camion: in teoria dovrebbe essere asfaltata, ma a causa dei tanti mezzi pesanti che la percorrono scavando buche anche profonde ed a causa di frequenti lavori di manutenzione, è assai mal ridotta. A volte siamo costretti a transitare per deviazioni provvisorie in terra battuta ed alcuni ponti non percorribili ci costringono a passare dei guadi, non difficili, ma sempre molto d'effetto e suggestivi, suggerendo l'idea dell'avventura.
Al bivio di Rio Hondo prendiamo la strada CA-10 a destra ed oltrepassato di qualche chilometro Chiquimula deviamo a sinistra per una strada sterrata in un panorama collinoso ricoperto dalla foresta. Sono quasi una cinquantina di chilometri di pista abbastanza accidentata, con molte curve, saliscendi e guadi dove l'acqua rischia di entrare dentro i nostri Volkswagen.
Sembra che siamo i soli "matti" a percorrerla: per tutto il percorso non incontriamo nessuno e ci troviamo soli in questo paesaggio fantastico.
 
Uno dei nostri pulmini vicino alla frontiera tra Guatemala ed Honduras.
 
La disinfestazione dei nostri pulmini alla frontiera tra Guatemala ed Honduras.
Finalmente, ormai è quasi sera, arriviamo a El Florido, il posto di frontiera guatemalteco con l'Honduras. In pratica ci sono solo un paio di case, quelle dei doganieri, e nulla di più.
Quasi ci fanno festa quando ci vedono arrivare: non deve essere molto il traffico in questo posto. C'è il solito controllo dei passaporti, mentre l'ispezione doganale è molto accurata.
Non abbiamo ancora imparato la lezione, e così i doganieri honduregni ci sequestrano dei pomodori che avevamo con noi e che ci eravamo dimenticati di mangiare prima di arrivare alla frontiera.
Fatto questo comincia la disinfestazione dei pulmini: aperte le portiere vengono riempiti di insetticida che viene "sparato" dentro con un'apposita pompa portatile, poi le portiere ed i finestrini vengono chiusi. Sentita la puzza piuttosto forte, noi tentiamo di spalancare le portiere ed abbassare i finestrini per arieggiare i mezzi, ma ne siamo impediti dai disinfestatori. Infatti più tempo il veleno rimane nel mezzo, più effetto ha nei confronti dei possibili insetti.
Speriamo che non debba fare effetto anche su di noi!
C'è un grosso timore che insetti dannosi alle loro piantagioni, come ad esempio la mosca dell'albero da frutta, possano entrare nel loro territorio: come se questi parassiti, per oltrepassare la frontiera, abbiano bisogno del nostro pulmino!
Dobbiamo percorrere ancora una dozzina di chilometri prima di arrivare a Copán.
 
 
Nel paese, in piazza, cerchiamo informazioni per sapere dove possiamo accampare: ci viene segnalato il campo sportivo, appena fuori il paese. Lo raggiungiamo ed il custode ci indica uno spiazzo dove possiamo montare le tende. Avremo la possibilità di utilizzare i servizi annessi al campo di gioco, ma poi scopriremo che sono tutti chiusi con pesanti lucchetti.
Il posto è bello, nel terreno morbido i picchetti delle tende entrano senza difficoltà; vicino scorre un piccolo fiume fiancheggiato da alberi e cespugli. I fari dei nostri Volkswagen ci aiutano a far luce per montare le tende e, più tardi, mentre prepariamo da mangiare.
 
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Pagina aggiornata il 17 novembre 2017. Io ho fatto molti importanti viaggi con Avventure nel Mondo