Ellas ha scritto:Esatto. Lo conosci? Sai la sua storia?
Lech Parcoli Lewinsky è un noto carpentiere dei cantieri di Danzica.
Egli era l’ultimo rampollo di una grande casata mitteleuropea caduta in disgrazia, in Polonia, dopo la seconda guerra mondiale. Si narra, ma la cosa non del tutto acclarata, che l’occupazione presso i gloriosi cantieri navali di Danzica, in realtà non fosse altro che una copertura per nascondere i veri traffici che il nostro imbastiva con la lontana Albania. Pare che, infatti, allevasse di nascosto, nelle malsane acque del porto della città baltica, preziose e prelibate ostriche che, attraverso canali non ufficiali, faceva poi arrivare nel Paese delle Aquile. Alcune fonti citano come sicura questa notizia, almeno fino alla rottura delle relazioni polacco-albanesi in seguito al rifiuto di questi ultimi di aderire al Patto di Varsavia.
Comunque stiano le cose, il certo è che Parcoli Lewinsky riusciva a condurre uno stile di vita piuttosto agiato, specie se riferito alla modesta occupazione che, ufficialmente ricopriva. E da ciò deriva il ruolo assolutamente marginale che tenne durante la rivolta e gli scioperi di Solidarnosc. Egli, infatti, più volte sollecitato dall’allora elettricista Walesa, si rifiutò sempre di prendere apertamente la parte del sindacato clandestino, anche se non frequentava di certo gli ambienti governativi.
Il suo era, piuttosto, un vero e proprio atteggiamento blasè, da consumato dandy di una aristocrazia che, oramai non esisteva più. Si può senz’altro affermare che i suoi gesti sempre misurati, ma mai eccessivamente confidenziali, la sua aria vagamente distaccata dal mondo, fossero il suo vero biglietto da visita, un chiaro certificato dei suoi ascendenti nobiliari; d’altronde i Parcoli Lewinsky potevano vantare frequentazioni addirittura con la corte imperiale asburgica.
Fu, invece, alla caduta del muro di Berlino che la vita di Lech Parcoli Lewinsky finì per subire una svolta decisa.
V’è da sapere che il giorno della caduta del Muro, Lech Parcoli Lewinsky era appena giunto con l’Intercity Danzica-Berlino nell’allora capitale della morente DDR. Aveva deciso di recarsi colà per seguire la sua grande passione filatelica e riuscire a completare una avviata collezione di pezzi rarissimi tedesco orientali. Aveva conosciuto, infatti, tramite il circolo filatelico numismatico di Varsavia, un vecchio commerciante tedesco, un tale Joseph von Paarcol, che aveva il suo negozietto buio ma straripante d pezzi di prim’ordine, a meno di 100 metri dal Muro, sulla Parcolenstrasse.
Una volta sceso dal treno si avviò lesto nella direzione del negozio (dalla stazione centrale di Berlino a Parcolenstrasse non c’erano che pochi minuti di cammino lesto). Ma gli eventi lo sopraffecero. Si trovò nel mezzo di un corteo tumultuoso che, cercando di abbattere l’anacronistico diaframma, premeva per raggiungere l’Ovest come un uccello che, essendo in gabbia, spinge per uscirne.
In poche parole, le cronache di quei giorni riportano che Lech Parcoli Lewinsky, come un fuscello nella corrente, si ritrovò in occidente.
Capì allora dell’immensa opportunità che il destino gli aveva messo a disposizione e, senza oltre indugiare, si mise in marcia per raggiungere la terra delle sue origini, Vienna, Austria.
Il viaggio non fu dei più agevoli, da momento che fu costretto a servirsi solo di treni locali, quelli che fermano in ogni stazione; eppure, sorretto da una incredibile forza di volontà, in capo a dieci giorni tornava a respirare quell’aria asburgica che tanto si addiceva ai suoi geni.
Nella Vienna degli anni ’90 fu facile trovare una occupazione; anzi, un po’ sfruttando e millantando sul suo nome, un po’ per le conoscenze enciclopediche che aveva in campo filatelico, diventò presto un agente di rappresentanza della nota casa d’aste viennese Parcolen Briefmarken Auktionshaus.
Si mise tosto in evidenza e, in capo ad un lustro, gli venne offerta la direzione della filiale americana che aveva sede a Washington, a due passi dalla Casa Bianca.
Non aveva legami seri a Vienna e quindi non gli fu difficile mollare tutto ed attraversare l’oceano. Anche in America seppe farsi onore. Le cronache riportano delle sue strabilianti performances che lo portarono a risollevare le deficitarie sorti della filiale di cui era diventato il direttore.
Proprio questa sua posizione li consentì di ottenere entrature molto altolocate, fino ad essere ammesso alla casa Bianca dove era in buoni rapporti con l’allora presidente Clinton, anche lui appassionato collezionista filatelico.
Ma questa, purtroppo fu l’inizio della discesa. Il tiro mancino che il destino stava per serbargli era uno di quelli che non ammetteva vie di scampo.
Fu una piovosa domenica pomeriggio quando decise di andare a consegnare una rarissima quartina degli anni ’70 della DDR a quello che, oramai, considerava il suo amico Presidente.
Ma Bill era impegnato a presiedere una noiosa riunione di una improbabile associazione di allevatori di capre selvatiche del Wyoming. Era di certo un dovere istituzionale, più che un piacere, dal momento che Bill aveva letteralmente tartassato di telefonate Lech Parcoli Lewinsky affinché gli portasse quella quartina, anche se la gomma presentava evidenti tracce di linguella.
Fu la moglie, la first lady ad accoglierlo e si propose di preparargli un buon caffè con una ottima fetta di Sacher che le aveva fatto pervenire la moglie di origini austriache dell’ambasciatore francese.
Lech Parcoli Lewinsky, appena morse quella torta sentì come un impulso quasi irrefrenabile e, forse, non è del tutto aliena la versione che in seguito ne diedero i servizi segreti russi e che vollero la first lady come perfettamente consenziente; fatto sta che, come per occasione analoga ebbe a dire il Poeta, “galeotta fu la torta e chi la morse”. E’ meglio tacere cosa successe al rientro dell’omo più potente del mondo.
Documenti da poco desecretati della CIA evidenziano che fu solo per evitare sgradevoli conseguenze che non si passò alle vie di fatto e che fu il capo stesso della CIA, Gen. O’Parcol, a montare quello che poi fu il falso affaire Lewinsky. Fu O’Parcol ad assoldare una sedicente stagista a cui fornì documenti di identità falsi, mentre di Lech Parcoli Lewinsky non si seppe più nulla.
Versioni non confermate lo danno praticamente confinato su una piccola isola della Sardegna, anche se non venne mai confermato se era Caprera o La Maddalena. E già questo dovrebbe spingere anche l’analista più sprovveduto a considerare che, sebbene non vi sa una parola fine, la verità probabilmente non la sapremo mai.