Un
tratto della fondamenta delle Eremite (o Romite).
A San Trovaso.
Questi luoghi si sono da sempre tradizionalmente chiamati "de le
Romite", ed ancora oggi i nizioleti indicano questo toponimo,
anche se il nuovo "Stradario del Centro Storico Veneziano" del
Comune di Venezia del febbraio 2012 lo ha voluto italianizzare in
"Eremite".
Attualmente
l'unico "nizioleto" che riporta il tradizionale nome
di "Romite" è quello relativo al rio sul quale si
affaccia la fondamenta: tutti gli altri "nizioleti"
relativi al ponte, alla calle, al "sotopòrtego" ed
alla fondamenta sono spariti per incuria.
Il ritiro di donne in romitori presso le chiese o i templi è stata una
pratica in uso dai tempi più antichi, anche precristiani. Basti ricordare
la figura della profetessa Anna che Luca nel suo Vangelo descrive come una
donna che «...non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno
con digiuni e preghiere.»
A Venezia, questo stile di vita si introdusse soprattutto a partire dal
Duecento ed abbiamo memoria di numerosi luoghi che ancora non possiamo
definire come monasteri, nei quali si rinchiudevano, volontariamente o
essendo obbligate, pie donne in solitudine ed in preghiera.
La
chiesa di Gesù, Giuseppe e Maria, detta anche della Sacra Famiglia,
o delle Romite, sulla fondamenta: sulla destra la facciata del
monastero.
Uno di questi romitaggi era situato a San Marcuola (Santi Ermagora e
Fortunato), secondo la tradizione in cellette poste sopra la chiesa,
probabilmente nel sottotetto.
In realtà non sappiamo se le tre eremite, Benedetta, Lucia e Caterina, abitassero proprio sul tetto
della chiesa; il più antico documento che ci è pervenuto in proposito è un
diploma pontificio con cui Papa Innocenzo VIII (1432-1492) nel 1486
concede a «...Benedetta Eremita abitante appresso la Chiesa di
Sant'Ermagora di Venezia...» di poter nominare un proprio sacerdote che
potesse somministrare a lei ed alle sue consorelle i Sacramenti.
Nel 1518 Benedetta morì e le due monache superstiti vollero accogliere
tra loro una nuova consorella confermando la concessione del Papa, ma il
parroco si oppose.
Sorse dunque una lunga controversia che coinvolse persino tre papi dalla
quale veniamo a sapere che erano «...Monache Eremite [...] dell'Ordine
di Santo Agostino».
La controversia si risolse definitivamente nel 1578 a favore delle tre
monache che, in segno di riconoscenza per la grazia ricevuta, vollero
obbligarsi al voto della clausura.
Con le offerte dei fedeli, il romitaggio originario venne ampliato e nel
1669, per evitare problemi con il parroco, ottennero da Papa Clemente IX
(1600-1669) di essere esenti in perpetuo dalla giurisdizione parrocchiale.
Questo permise di aumentare il numero delle monache a sei.
Ma sul finire del XVII secolo il romitorio di San Marcuola dava segni
evidenti di «...non lontana ruina».
La Provvidenza venne in soccorso delle monache eremite: si era appena
liberato nel Borgo di San Trovaso un ospizio di Padri Minori, che si erano
trasferiti in un nuovo convento.
Il
campaniletto della chiesa di Gesù, Giuseppe e Maria.
Il 12 agosto 1693 ottennero il permesso dal Senato di fondarvi un nuovo
monastero, con la condizione però che le monache non potessero superare
il numero di sei.
L'impresa fu resa possibile dalla generosa donazione testamentaria che
fece in loro favore Santo Donadoni che permise anche di poter costruire
una chiesa, che venne consacrata nel 1694 dal Patriarca Giovanni Alberto
Badoèr (1649-1714), intitolata a Gesù, Giuseppe e Maria, comunemente
detta della "Sacra Famiglia" o semplicemente "delle
Romite".
Successivamente il Senato permise di aumentare il numero delle monache
(che diventarono 32) ed ingrandire il monastero.
Ludovico
Ughi, nella sua mappa di Venezia del 1729, conferma la presenza delle Romite e della loro piccola
chiesa intitolata a Gesù, Giuseppe e Maria.
La chiesa fu progettata da Giovanni Battista Lambranzi (1632-circa 1716),
pittore, scenografo ed architetto, al quale si deve anche il rifacimento
seicentesco della chiesa di Santa Margherita.
Gli schemi costruttivi delle due chiese, pur con le diverse dimensioni (la
chiesa di Gesù, Giuseppe e Maria è decisamente piccola), sono simili:
unica navata, facciata spoglia, ricchezza di decorazioni interne.
Si tratta di un espediente quasi scenografico che il Lambranzi conosceva
bene: entrando
attraverso una facciata pulita e sobria, il fedele resta sorpreso ed
abbagliato dalla ricchezza e bellezza che trova dentro la chiesa che
sembra voler lodare il Signore.
Per questa costruzione, il Lambranzi sembra essersi ispirato al presbiterio della chiesa del
Redentore.
La pala dell'altare maggiore di Giovanni Battista Pittoni (1687-1767) è
andata perduta a seguito di un incendio: ne resta solo un frammento,
rappresentante il volto della Madonna.
Nei due altari laterali sono collocate, in quello di sinistra, la statua
di una "Madonna con Bambino" di Antonio Corradini (1688-1752),
ed in quello di destra una "Maddalena davanti alla Croce".
L'altare di sinistra conserva anche le spoglie di San Filomeno martire;
dovrebbero ancora esserci in questa chiesa quelle di Sant'Agapito, di San
Basilio e di un San Benedetto, tutte provenienti dalle catacombe romane,
ed altre reliquie ancora.
L'Altare
di destra con la "Maddalena davanti alla Croce".
L'altare
di sinistra con la "Madonna con Bambino" di Antonio
Corradini.
Il 3 giugno 1722 il Patriarca di Venezia Pietro Barbarigo (1671-1725)
stabilì per il complesso il nome canonico di «...Monastero con
clausura, e la più rigida osservanza della regola di sant'Agostino».
In quello stesso anno, Laura Cornèr, dei Cornèr del ramo di San Maurizio
della Ca' Granda, figlia di Nicolò e di Elena Pesaro, restata vedova del
Doge Giovanni Cornèr II (1647-1722), si ritirò dal mondo andando ad
abitare in questo monastero, dove visse fino al maggio 1729 e dove fu
tumulata proprio in questa chiesa.
Dall'inventario redatto dopo la sua morte, risulta che portò con sé un
corredo sontuoso che certamente stonava con l'austerità dell'ambiente:
una gran quantità di argenteria, posate, vassoi, fiaschette, croci,
reliquiari, scaldini, sottocoppe, bacili, vasetti, scatole, medaglie
(anche d'oro), ditali, calamai, oggetti in filigrana «...et altre
varie galanterie...» tra cui fibbie tempestate di diamanti, collane
di turchesi, agate legate in oro con relativi orecchini, anelli d'oro, una
borsa grande con 1.694 ducati d'oro, una borsa piccola con 104 zecchini:
un mistero cosa le servisse tutto questo tesoro, quando lei si vestiva con
vesti sì lussuose ma tutte «...vecchie e rotte...» ed anche le
lenzuola di seta «... tutte rotte...» dovevano sicuramente aver
visto tempi migliori.
Il 12 maggio 1810, con le leggi napoleoniche, il monastero venne
soppresso, la chiesa chiusa, i beni indemaniati e le 38 monache che vi
risiedevano disperse.
Intanto a Venezia i due fratelli Cavanis, Antonangelo (1772-1858) e
Marcantonio (1774-1853), abbandonate le loro carriere (rispettivamente
segretario alla Cancelleria Ducale e notaio) si fecero in tempi diversi
sacerdoti (1795 e 1806) abbracciando la missione di portare una
educazione a tanta gioventù sbandata. Fondarono così una scuola di
carità maschile presso la chiesa di Sant'Agnese.
Quando pensarono di dedicarsi anche all'educazione delle fanciulle,
fondando nel 1808 una scuola di carità femminile originariamente nei
locali del monastero dello Spirito Santo, chiesero alla marchesa Maddalena
di Canossa (1774-1835), proclamata Santa nel 1988, che aveva già fondato
l'Istituto delle figlie della Carità, di venire a Venezia per esporre il
proprio metodo educativo alle insegnati dei fratelli Cavanis.
Santa Maddalena di Canossa stette a Venezia 4 mesi.
Il complesso delle Romite venne acquistato dal Comune di Venezia nel 1861
per concederlo, il 22 giugno 1863, in uso gratuito e perpetuo, alla Pia
Congregazione Ecclesiastica delle Scuole Femminili di Carità Cavanis. Ma
nel 1866 Venezia, con il Veneto, venne annessa al Regno d'Italia e cambiarono
le regole: la soppressione delle corporazioni ecclesiastiche.
In
fondamenta de le Eremite (o Romite), sono visibili questi due
curiosi finestrini, o fori di aerazione.
Il
palazzo ottocentesco in stile lombardesco in fondamenta de le Eremite
(o Romite). Attribuito al Fuin o al Cadorin.
Il Comune di Venezia fu costretto a chiedere la restituzione degli immobili.
Ne seguì una lite giudiziaria lunga 13 anni, ma fu solo nel 1881 che le
suore Canossiane della Scuola di Carità poterono sentirsi più tranquille
prendendo in locazione i locali delle Romite.
Finalmente, con un non indifferente sforzo economico, il 1° ottobre 1887
le Figlie della Carità Canossiane acquistarono dal Comune di Venezia la
proprietà del complesso, che tuttora detengono.
Pàtera
in fondamenta de le Eremite (o Romite) sulla facciata del
civico 1327.
Nel 1917 ci fu una parentesi nella presenza canossiana in questi luoghi,
quando a causa della guerra le suore si trasferirono in provincia di
Modena. Ma quando tornarono ad occupare l'antico monastero agostiniano
delle Romite diedero vita ad un istituto magistrale e subito
dopo ad un giardino d'infanzia che permetteva alle allieve di praticare un
sano tirocinio applicando i metodi educativi che avevano appreso tra le
aule.
A metà degli anni Trenta le alunne erano quasi seicento.
La
calle ed il "sotopòrtego" de le Eremite (o Romite) visti
dal lato occidentale.
Il declinino dell'istituto avvenne negli anni Sessanta: l'emigrazione di
molte famiglie nella terraferma con il conseguente spopolamento del centro
storico veneziano, consigliarono il trasferimento della scuola magistrale
e della scuola media a Mestre. L'istituto magistrale vide poi un continuo
calo di iscrizioni e nel 1974 fu chiuso definitivamente.
Attualmente il monastero delle Romite ospita studentesse universitarie
che, provenendo da fuori città, frequentano i corsi delle Università
presenti a Venezia.
Sulla fondamenta de le Eremite (o Romite) si nota un palazzo realizzato a
metà Ottocento in stile lombardesco, con archi a tutto sesto e
decorazioni in cotto. L'attribuzione non è certa, si parla dell'ingegnere
Giovanni Fuin o dell'architetto Lodovico Cadorin.
Oltre al ponte che unisce l'opposta fondamenta
del Borgo e quella de le Eremite (o Romite) attraversando il rio de le Eremite (o
Romite), altri due luoghi (oltre al rio) prendono questo nome: una calle
ed un sotopòrtego.
Curiosamente non si trovano sullo stesso lato del canale dove sorge il
monastero, bensì sul lato opposto: nel Settecento la calle era chiamate
de la Toletta, per la vicinanza con quella località.
Tra il primo ed il secondo piano della calle de le Eremite (o Romite) si
scorge uno stemma cinquecentesco che presenta un'aquila con le ali
dispiegate.
Uno
stemma tondo con un'aquila ad ali spiegate.
La
calle ed il "sotopòrtego" de le Eremite (o Romite) visti
dal lato orientale.
In questa calle dovevano esistere delle proprietà della Scuola Grande della
Carità: infatti sopra l'ingresso del sotopòrtego e
sull'architrave di una porta all'interno dello stesso sono distinguibili
gli stemmi di quella Scuola.
Stemmi
della Scuola Grande della Carità: a sinistra quello posto
sopra il "sotopòrtego", a destra quello scolpito
sull'architrave di una porta all'interno del "sotopòrtego".
L'emblema della Scuola Grande della Carità è ripetuto anche sul lato
opposto del sotopòrtego, accostato allo stemma cinquecentesco
della famiglia Dugolin: i due stemmi sono scarsamente visibili perché
coperti dal pluviale che maldestramente vi è stato sovrapposto.
Sul
lato opposto del "sotoportego" sono visibili con
difficoltà gli stemmi della Scuola Grande della Carità e
della famiglia Dugolin nascosti dal pluviale di una grondaia
che li attraversa.
Il
capitello mariano all'interno del "sotopòrtego" de le
Eremite (o Romite).
Su
una finestra della calle è leggibile il frammento di una iscrizione che
riporta una frase tratta dalla lettera di San Paolo ai Romani:
«SI . DEVS . EST . PRONOBIS . QVIS . CONT[RA . NOS?]».
Se
Dio è per noi, chi sarà contro di noi?
All'interno del sotopòrtego è collocato un capitello dedicato
alla Madonna, con l'evidente scopo di recare un po' di luce al viandante
che di notte si trova a doverlo percorrere. Sull'argomento si può
leggere un piccolo approfondimento in questa
paginetta.
Dietro la grata è collocato un tondo con un altorilievo rappresentante la
Madonna.
Sotto il capitello una scritta ricorda:
«FERMATI O PASSEGGERO
IL CAPO INCHINA ALLA
GRAN MADRE DI DIO DEI
CIELI REGINA»