Madonna dell'Orto (campo, fondamenta, ponte)

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Il campo de la Madonna dell'Orto con l'omonima chiesa.
 
Questi luoghi prendono il nome dall'omonima chiesa che sorge sul campo, uno dei pochi a Venezia che mantiene l'antica pavimentazione in cotto dove i mattoni, disposti a spina di pesce, sono racchiusi in sessantadue campiture rettangolari incorniciate da trachite grigia.
Al centro una corsia, sempre in trachite, collega la riva del canale al portale d'ingresso della chiesa.
La storia della chiesa ha inizio con l'ordine degli Umiliati: questo ordine sorse come movimento laico verso la fine del XII secolo nell'area lombardo-piemontese. Faceva parte di quel più vasto movimento di penitentes che contestava una certa rilassatezza della Chiesa.
Ottenne il riconoscimento da Papa Innocenza III (1161-1216) nel 1201.
La parte laica degli aderenti all'ordine era particolarmente dedita ai commerci e fu logico quindi che si insediasse con un caposaldo a Venezia dove acquistò un'area nella parte settentrionale della città, in un'insula accanto a quella dove oggi sorge la chiesa di Sant'Alvise.
Si trattava di una localizzazione commercialmente interessante, perché punto di snodo tra le vie di comunicazione (e commerciali) con la terraferma veneziana e le rotte dei traffici verso la laguna nord ed il golfo di Venezia, come era chiamato il mare Adriatico.
L'ordine, che si divideva nei rami laico, monacale e clericale, attorno alla metà del XIV secolo era retto da fra Marco Tiberio de Tiberi che era stato nominato XIII Maestro Generale dell'ordine nel 1355 e coprì la carica fino alla sua morte, avvenuta a Venezia il 21 gennaio 1371.
 
Lo stemma di fra Marco Tiberio de Tiberi, maestro generale dell'ordine sotto il quale fu deciso di costruire la chiesa: lo stemma è ripetuto a sinistra ed a destra del portale d'ingresso.
 
Uno scorcio sul campanile con la sua cupoletta in cotto che spunta dalla facciata della chiesa. E' opera quattrocentesca ultimata nel 1503. 
Egli decise di costruire qui una chiesa che venne dedicata a San Cristoforo martire, patrono dei viaggiatori: San Cristoforo era infatti il loro protettore per aver preso sulle spalle Gesù bambino per trasportarlo sull'altra riva di un fiume.
Sulla facciata della chiesa vediamo ripetuto due volte lo stemma di fra Marco Tiberio de' Tiberi e sopra il portale d'ingresso la figura di San Cristoforo con il Bambinello sulle spalle, opera di fine XIV o inizio del XV secolo; figura ripresa anche in un'altra scultura collocata sulla porta della Scuola di San Cristoforo dei Mercanti che guarda verso la fondamenta.
 
Il San Cristoforo sopra il portale d'ingresso della chiesa (a sinistra) e quello sopra la porta della Scuola di San Cristoforo dei Mercanti (a destra, un po' deformato dalla prospettiva).
 
Questa Scuola, o Confraternita, che riuniva alcuni mercanti, era stata fondata su insistenza degli stessi frati, probabilmente per favorire la raccolta dei fondi necessari al progredire dei lavori di costruzione. Fondata nel 1374, la Scuola venne approvata dal Consiglio di Dieci l'8 aprile 1377.
La statua miracolosa della Madonna dell'Orto.
Vi faceva parte anche un certo Giovanni de Santi, figlio di Andriolo, uno scalpellino originario della contrada di San Severo, ma probabilmente abitante in quella di Santa Fosca, non lontana da questi luoghi.
Il parroco di Santa Maria Formosa gli aveva commissionato una statua di Madonna con Bambino; quando questa statua non era ancora stata ultimata, ma si trovava in fase avanzata di lavorazione, il committente rinunciò all'acquisto per motivi che non conosciamo: non gli piacque? non aveva più i quattrini per pagare il lavoro? Non lo sappiamo, ma fu così che lo scultore la lasciò in un orto a fianco della propria abitazione.
Pare che la prima ad accorgersi di qualcosa di inconsueto ed eccezionale sia stata la moglie del de Santi: questa avrebbe visto la statua, nel buio della notte, emettere dei bagliori.
La voce corse, venne addirittura detto che la statua compiva dei miracoli e, come è facile immaginare, cominciò a diventare meta di pellegrinaggi.
Questi fatti non lasciarono indifferenti il vescovo di Castello Giovanni Piacentini (?-1404). Con l'occasione, osserviamo che Giovanni Piacentini più tardi aderì all'obbedienza all'antipapa Clemente VII che seguì ad Avignone.
Ma mentre era a Venezia dove accadevano questi fatti, per evitare l'insorgere di forme di culto non autorizzate, ordinò al Giovanni de Santi di tenere la statua dentro casa, oppure di collocarla in una chiesa.
Il de Santi propose al priore del monastero degli Umiliati di acquistare la statua prodigiosa per la chiesa che era ancora in costruzione.
Ma i frati non disponevano dei denari necessari.
Fu così che, forse con l'interessamento del de Santi, i confratelli della Scuola di San Cristoforo dei Mercanti (alla quale -come ricordato- apparteneva il de Santi stesso) pagarono 150 ducati perché la statua fosse collocata nella chiesa.
  Da parte sua, il de Santi chiese di poter essere sepolto a proprie spese ai piedi della statua e che fosse celebrata quotidianamente una Messa in favore della propria anima.
L'obbligo della Messa è ricordato in un cartiglio che regge il Bambino Gesù, in braccio della Madonna, scolpito dallo stesso de Santi sull'architrave della porta che oggi conduce alla cappella di San Mauro, ma che una volta era di comunicazione tra la chiesa ed il monastero:
«ABIE IN
MENTE
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A MESA
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A DE QVELO
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E MIA MA
RE Q
VA»
Ricordatevi fratelli di dire ogni giorno una messa per l'anima di quello che qui mise mia madre (ovvero la Madonna, "madre di tutti noi").
 
La tomba di Jacobo Robusti, il Tintoretto (1519-1594): «Tinctoretti cineres hoc marmore clauduntur».
    
Gli stemmi dei Procuratori sotto i quali venne edificato il ponte.
   
 
Sull'architrave, la Madonnina con il Bambino che regge il cartiglio che ricorda ai frati i loro doveri.
 
Così ogniqualvolta i frati attraversavano quella porta, si dovevano ricordare dell'obbligo di celebrare una Messa per l'anima dello scultore.
La Madonna miracolosa, in origine collocata sul terzo altare della navata destra (attualmente altare dell'Immacolata) nel 1826 venne trasferito nella cappella di San Mauro dove fu poi anche spostata nel 1864 la sepoltura dello scultore, o quanto meno la sua lastra sepolcrale.
 
Il ponte de la Madonna dell'Orto.
  
 
Un canonico regolare di San Giorgio in Alga, detto popolarmente "celestino" (da un "album amicorum" conservato alla Beinecke Rare Book & Manuscript Library (Yale University).
Intanto, ben presto, la chiesa di San Cristoforo cominciò ad essere popolarmente chiamata chiesa della Madonna dell'Orto, ricordando la statua miracolosa che era stata collocata nell'orto di Giovanni de Santi.
Il de Santi stesso lo ricorda nel suo testamento del 9 luglio 1384: «...ecclesia Sancti Cristophori de Veneciis ubi dicitur Sancta Maria ab orto...».
Nonostante il suo nome ufficialmente sia diventato Madonna dell'Orto, il titolo della dedicazione non si può cambiare, e quindi resta ancora oggi intitolata a San Cristoforo martire.
Solo pochi decenni dopo la sua costruzione, la chiesa cominciò ad aver bisogno di consolidamenti e di importanti restauri, per i quali non bastavano le offerte che i fedeli facevano alla statua miracolosa.
Nel 1399 il Maggior Consiglio offrì 200 ducati con i quali si poté dare inizio alla ristrutturazione della chiesa.
I lavori si protrassero per tutto il XV secolo (fino al 1483) con il risultato di offrirci oggi uno dei migliori esempi di architettura gotica veneziana. Nella facciata si era impegnato anche Bartolomeo Bon, o Bono, o Buono (inizi primo decennio del XV secolo-1464/7), autore tra l'altro, della porta della Carta del palazzo Ducale, del portale di San Giovanni e Paolo, del pozzo della Ca' d'Oro, che qui, in questo portale, fonde elementi gotici (come il coronamento che sostiene la statua di San Cristoforo) ad altri ormai rinascimentali (le colonne corinzie).
Bartolomeo Bono con la sua famiglia abitava a Madonna dell'Orto: lo troviamo chiamato come «...mastro Bortolo tajapiera alla Madonna dell'Orto...» ed era figlio di Giovanni, del fu Bertuccio, il quale Giovanni il 25 marzo 1422 fece testamento presso il notaio Tomaso Pavoni dando disposizioni per la propria sepoltura «... ante introitum ecclesiae sanctae Mariae ab horto, sive s. Christophori».
Invece bisognerà aspettare fino al 1503 per vedere completato il campanile (alto 56 metri) con la caratteristica cupoletta in cotto che ricorda molto certe architetture orientali che i mercanti conoscevano certamente molto bene: ricordiamo anche la presenza, qui vicino, di insediamenti commerciali arabi, come testimoniato in campo dei Mori, sul palazzo Mastello e in altre immediate vicinanze.
 
Nella veduta di Venezia "a volo d'uccello" di Jacopo de' Barbari (a sinistra) del 1500 la facciata della chiesa è completata, ma non il campanile; la mappa di Giovanni Andrea Vavassore detto il Vadagnino (a destra) del 1525, pur nella povertà dei dettagli, soprattutto della chiesa, mostra il campanile completo con la caratteristica cupoletta che lo contraddistingue anche oggi.
  
Il campanile di Madonna dell'Orto, con i suoi 56 metri, è il quinto di Venezia per altezza e per la sua caratteristica cupoletta è facilmente riconoscibile nello skyline.
 
Intanto erano sorti dei dissapori tra i membri della Scuola di San Cristoforo ed i frati per questioni economiche (erano state lanciate anche accuse di irregolarità contabili); dovettero intervenire addirittura il Papa Eugenio IV (1383-1447, il veneziano Gabriele Condulmer), il primo Patriarca di Venezia San Lorenzo Giustiniani (1381-1456) ed il Senato veneziano con il Doge Francesco Foscari (1373-1457).
Alla fine gli Umiliati poterono restare, ma avrebbero dovuto riformare l'ordine.
Tuttavia passati alcuni anni, i problemi evidentemente non erano stati risolti se ci fu un intervento del Consiglio di Dieci presso il Pontefice Pio II (1405-1464) a seguito del quale gli Umiliati abbandonarono la città e vennero sostituiti nel 1462 dai Canonici regolari di San Giorgio in Alga, chiamati popolarmente "celestini" per il colore della loro veste, ordine che seguiva la regola di Sant'Agostino al quale erano appartenuti lo stesso Gabriele Condulmer, Lorenzo Giustiniani, ma anche Angelo Correr (ca. 1327-1417), futuro papa con il nome di Gregorio XII ed altri numerosi chierici provenienti dal patriziato veneziano.
Confermati nel possesso nel 1473, furono questi frati umanisti a stringere saldi rapporti con il Tintoretto (1519-1594) che nel 1547 aveva trasferito la propria bottega da San Cassiano a questa contrada: per loro realizzò numerose straordinarie opere nel corso di trent'anni.
Nel 1668 l'ordine venne sciolto dal Pontefice Clemente IX ed i beni vennero incamerati dalla Repubblica che li vendette, impegnata com'era nell'onerosissima e lunga guerra di Candia che si concluse nel 1669 con la resa della città.
  I soldi ricavati infatti non erano serviti a mutare le sorti del conflitto: erano stati venduti il convento ed i chiostri ai cistercensi di Lombardia per ospitarvi nel 1669 quelli di San Tommaso dei Borgognoni stanziati nel monastero di Sant'Antonio a Torcello caduto in rovina.
 
Il chiostro della Madonna dell'Orto a ridosso della chiesa quando si trovava nello stato del massimo abbandono.
Nel 1787 la comunità dei cistercensi si era ridotta a quattro monaci, di cui uno infermo, che vennero allontanati: la chiesa fu tenuta aperta da un rettore e da alcuni sacerdoti.
Il monastero venne così soppresso senza che ci dovesse pensare Napoleone, incoronato nel 1805 Re d'Italia, che portò avanti la politica di eliminazione degli ordini religiosi.
Quello che rimaneva del complesso conventuale venne acquistato dai conti di Caporiacco ed oggi è ridotto, sostanzialmente, al primo chiostro addossato alla chiesa, il più antico dei due che una volta esistevano.
Qui c'erano moltissime lapidi ed iscrizioni, anche di una certa importanza, come quella dedicata ad Alessandro Leopardi (?-1522/23), lo scultore che aveva il proprio laboratorio qui vicino ed al quale si deve, tra le altre opere, la fusione della statua equestre dedicata a Bartolomeo Colleoni (1395? o 1400-1475) ed i tre pili bronzei reggistendardi di piazza San Marco; ricordiamo anche l'iscrizione con il busto del cardinale Gasparo Contarini (1483-1542) attribuito ad Alessandro Vittoria (1525-1608)
 
Il chiostro restaurato come appare oggi.
 
La chiesa funzionò a singhiozzo, come oratorio della parrocchia di San Marziale, dalla quale dipendeva; divenuta pericolante, fu il Governo Lombardo Veneto a disporne il restauro, restauro che però procedette a singhiozzo con varie interruzioni: nel 1845 la facciata, nel 1855 l'interno.
Poi nel 1859 non si trovò di meglio che usarla come deposito militare di paglia (e di vino) fino a quando nel 1864 il restauro riprese sotto la direzione di Tommaso Meduna (1798-1880): furono rimosse moltissime lapidi, anche di valore storico ed artistico, in parte inserite nel pavimento della cappella di San Mauro, e fu rifatto quello della chiesa con i quadranti di marmo bianco e rosso di Verona. Come spesso accade, furono spostati anche alcuni altari e opere d'arte.
Nel 1868 (o 1869) la chiesa fu riaperta al culto ed acquisì il titolo di parrocchiale mentre ad essere vicariale fu quella di San Marziale, precedentemente essa parrocchiale.
  
Uno scorcio in una foto dell'Ottocento: da osservare che una volta la facciata della chiesa era intonacata.
Lo stesso scorcio, fotografato da una posizione simile, ma non identica, oggi.
 
Negli anni 1930-31 furono eseguiti altri interventi miranti, soprattutto, al ripristino, ove possibile, dell'aspetto originario.
Da quegli anni (1931) la chiesa è tenuta dalla Pia Società Torinese di San Giuseppe fondata nel 1873 da San Leonardo Murialdo (1829-1900) i cui sacerdoti sono chiamati semplicemente "giuseppini".
Tragici furono gli effetti dell'acqua alta del 4 novembre 1966 sulla chiesa: fu proprio in occasione di quel disastro che sir Ashley Clarke (1903-1994), diplomatico britannico in congedo e già ambasciatore in Italia con sua moglie lady Frances fondò un comitato "Italian Art and Archives Rescue Fund", diventato poi "Venice in Peril Fund", che rese possibili i radicali restauri e rifacimenti alla chiesa.
Successivi restauri purtroppo saranno occasione di una dolorosa perdita per questa chiesa: nella cappella Valier, la prima a sinistra entrando nella chiesa, nell'Ottocento venne collocata, al posto di un dipinto alquanto rovinato di Palma il Vecchio (circa 1480-1528), una piccola tavola (cm. 50x75) di Giovanni Bellini (1425-1516) dipinta attorno al 1475/80 rappresentante una Madonna con Bambino: una delle poche opere firmate per esteso dall'artista.
Ludovico Cadorin (1824-1892) ne progettò la cornice.
 
La Madonna con Bambino di Giovanni Bellini, oggetto per ben tre volte dell'attenzione dei ladri.
  
 
La Scuola di San Cristoforo, a sinistra della chiesa, è ancora ad un piano nella veduta di Venezia "a volo d'uccello" di Jacopo de' Barbari del 1500.
Nel 1909 la tavola venne rubata, ma fortunatamente fu recuperata.
Negli anni Settanta del Novecento ci fu un tentativo di furto, a seguito del quale l'opera risultò danneggiata.
Nel 1993 il dipinto venne nuovamente rubato: erano in corso dei lavori di restauro alla chiesa, alla quale erano addossate le impalcature che servivano agli operai. Nella notte tra il 28 febbraio ed il 1° marzo, dei ladri, entrati nel campetto di calcio dell'oratorio, si arrampicarono sulle impalcature penetrando nella chiesa attraverso una finestra. Il sistema d'allarme era fuori uso ed i ladri ebbero l'accortezza, per non rovinare il dipinto, di avvolgerlo in una tovaglia d'altare.
Da allora non è stato ancora ritrovato.
Alla sinistra del campo, osservando la facciata della chiesa, si può vedere quella che era la sede della Scuola di San Cristoforo dei Mercanti che nel 1377 aveva contribuito per l'acquisto della statua miracolosa della Madonna.
Negli anni Settanta del Cinquecento la Scuola di San Cristoforo si era unita con la Scuola dei Mercanti che aveva sede in campo dei Frari.
L'edificio della Scuola di San Cristoforo, come possiamo rilevare dalla veduta di Venezia "a volo d'uccello" del de' Barbari, era ad un unico piano. Venne pertanto ricostruito a partire dal 1570 con l'intervento di Andrea Palladio (1508-1580): il portale verso la fondamenta è sormontato dalla figura quattrocentesca di San Cristoforo con il Bambinello sulle spalle (che abbiamo mostrato qui sopra), mentre su quello laterale che si apre sul campo è collocato un altorilievo della fine del XIV secolo proveniente dalla sede che la Scuola dei Mercanti aveva precedentemente in campo dei Frari.
 
L'altorilievo sopra la porta laterale della Scuola di San Cristoforo dei Mercanti, precedentemente presso la Scuola dei Mercanti ai Frari.
 
La Scuola di San Cristoforo dei Mercanti sul campo, a fianco della chiesa.
 
L'altorilievo mostra una Madonna con Bambino entro mandorla che accoglie sotto il suo manto i confratelli della Scuola, tra San Marco e San Francesco.
Sull'architrave della porta è incisa su sei righe l'iscrizione:
«DOMINICVS BONAMOR Q.D. BARTHOLOMEI CAVSIDICVS . ET NOTARIVS VENETIARVM RECTOR HVIVSCE //
COLLEGII SEV FRATERNE S. MARIE MISERICORDIE MERCATORVM EAM EX ANGVSTO LOCO VBI PRIMO //
POSITO ERAT SVO STVDIO HVC TRANSFERENDAM DVXIT ET LOCVM HVNC OLIM FRATERNE S. //
CHRISTOPHORI EI MODO VNITE VETVSTATE COLLABANTEM INSTAVRABDVM ET IN HANC VENVSTIOREM //
FORMAM IPSIVS COLLEGII MERCATORVM CONSENSV ET SVMPTIBVS REDVCENDVM CVRAVIT ANNO //
SALVTIS MDLXX.XI. KL. DECENBRIS VRBIS VERO CONDITE MCL.MVNDI AVTEM VI. DCC. LXX.».
 
All'interno, l'edificio era uno scrigno di dipinti ed opere d'arte: quando nel 1806 si pensò di svuotarla per trasformare i locali in  caserma per la truppa, o stazione di polizia, vennero contati 92 dipinti! E di artisti ne abbiamo per tutti i gusti: il Veronese (1528-1588), suo fratello Benedetto Caliari (1538-1598), l'allievo del Veronese Antonio Vassillacchi, detto l'Aliense (1556-1629), il Tintoretto (1519-1594) e suo figlio Domenico (1560-1635), Cima da Conegliano (1450-1519), Palma il Giovane (1548/50-1628) ed altri!
Con la nuova destinazione d'uso dell'edificio, i dipinti furono dispersi: i «...più insigni...», ma nessuno dei quadri poteva «...dirsi triviale...», furono destinati alla Scuola Grande della Misericordia «...ove sarebbero stati al riparo dagli insulti della soldataglia...».
 
L'Annunciazione che Paolo Veronese dipinse per la Scuola di San Cristoforo dei Mercanti, oggi alle Gallerie dell'Accademia di Venezia.
Altri insulti avrebbero subito queste opere, e non dalla "soldataglia": così, ad esempio, del polittico di Cima da Conegliano che si vedeva sulla sinistra, scendendo la scala dal primo piano al piano terreno, oggi rimane solo un San Cristoforo (alle Gallerie dell'Accademia): dei Santi Sebastiano, Luigi, Giovanni Battista, Girolamo, Nicolò e Giacomo, che lo completavano ai lati, non sappiamo il destino.
Così sono scomparse altre tele: una Natività di Maria di Jacopo Tintoretto si dice sia andata a finire all'Hermitage di San Pietroburgo (ma quella è un'altra!), il "Castigo dei serpenti", data in deposito il 10 giugno 1840 alla chiesa di Breonio (Verona) non ha più lasciato tracce, così come il "Mosè che fa scaturire le acque" del figlio Domenico spedito nel 1852 a Leopoli «...per le chiese povere di Bucovina».
La pala di Jacopo Tintoretto (forse con l'intervento del figlio Domenico) che adornava la sala al piano terreno con la Madonna e San Cristoforo fu scoperta nel 1926 che abbelliva una chiesa di Alzano Lombardo (all'epoca Alzano Maggiore) dal 1820-22, probabilmente dopo essere stata ospitata nelle raccolte di Brera ed oggi è custodita nel Museo di Arte Sacra della parrocchia di San Martino di quel paese.
 
La Madonna con San Cristoforo e due membri della Scuola dei Mercanti del Tintoretto, una volta al piano terreno della Scuola, venne scoperta solo nel 1926 ad Alzano Lombardo, all'epoca Alzano Maggiore.
 
La fondamenta de la Madonna dell'Orto: sulla destra la Scuola di San Cristoforo dei Mercanti.
Il triste elenco delle opere disperse (e perse) potrebbe continuare...
Nel 1876 la sede della Scuola di San Cristoforo dei Mercanti, completamente spogliata, venne restaurata in occasione del Giubileo episcopale di Papa Pio IX per poterla adibire a «...oratorio del patronato pei ragazzi vagabondi...» che venne dedicato appunto a Pio IX.
Ai piedi del ponte de la Madonna dell'Orto, sul lato opposto del rio, esisteva la Scuola dei Fornai (o cuocitori di pane) che dal 1463 possedeva qui vicino anche un ospizio per i poveri fornai infermi. La Scuola di devozione, oggi abitazione privata, era sotto la protezione dei Tre Re Magi.
La fondamenta de la Madonna dell'Orto prosegue dopo l'edificio della Scuola.
In corrispondenza del numero civico 3506 segnaliamo un portone gotico sulla cui architrave c'è un'iscrizione, forse su tre righe, purtroppo illeggibile che non ci risulta segnalata neppure da Antonio Emmanuele Cicogna (1789-1868).
Ipotizziamo (però senza alcun fondamento concreto) che possa trattarsi di un avanzo del demolito palazzo dalla Vecchia di cui ci parla, fra gli altri, Giuseppe Tassini (1827-1899).
 
L'architrave di questo portale reca una iscrizione purtroppo illeggibile.
 
L'edificio, costruito in stile sansoviniano, era stato acquistato nel 1576 da Antonio dalla Vecchia (o Vecchia) del fu Venturino, appartenente ad una ricca famiglia di origini bergamasche che si chiamava inizialmente Cornovi e teneva un commercio di legname in Barbarìa de le Tole. Più tardi aprì a San Bortolomio una bottega di cambellotto (un panno ricavato dal pelo di capra) che innalzava l'insegna della Vecchia: fu così che cambiò il cognome in dalla Vecchia.
Il palazzo «...d'Antonio Vecchia, ricchissimo cittadino, il quale ha grande et bellissimo giardino, addobato di preciosissimi arnesi et fornimenti, et adornato di quadri, e di pitture in buon numero di eccellenti pittori et maestri.»
Tuttavia secondo quanto ci scrive il Cicogna nel suo secondo volume delle "Inscrizioni Veneziane" (pagina 250) un Martinantonio Maffetti, originario di Sovere nel bergamasco, avrebbe acquistato nel 1565 «...lo stabile dominicale [...] ch'era di M. Antonio dalla Vecchia q. Venturino...».
 
Palazzo Rizzo-Pataròl sulla fondamenta de la Madonna dell'Orto.
La confusione su questo palazzo continua ancora, perché sempre secondo il Tassini, estintasi la famiglia dalla Vecchia, il palazzo sarebbe passato in eredità ai conti di Vigonza e poi ad altri proprietari: «...divenuto cadente, l'atterrarono...» agli inizi dell'Ottocento.
Successivamente incontriamo il palazzo Rizzo Pataròl, oggi trasformato in hotel a cinque stelle con il nome "dei Dogi", seppure non esista alcuna relazione tra l'edificio ed un qualsiasi Doge.
Venne costruito tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento dalla famiglia Pataròl, commercianti probabilmente di origine fiorentina che poi fu iscritta nell'ordine dei Secretarii ed aveva come arma quattro gigli d'oro in campo azzurro con una rosa al centro.
L'ampio scoperto che dal retro del palazzo arrivava (ed arriva ancora) fino in laguna fu sistemato da Lorenzo Pataròl (1674-1724) che trasformò quella lingua di verde in un raffinato giardino, un vero e proprio orto botanico dove faceva germinare semi, acclimatare piante che scambiava con altri scienziati e botanici con cui era in corrispondenza.
 
La firma autografa di Lorenzo Pataròl (1674-1724).
 
Morto Lorenzo, l'orto botanico continuò ad essere curato dal figlio Francesco, «...degno figlio del suo gran padre, ed erede non meno della di lui virtù che della gentilezza e generosità nel favorire chiunque amante sia delle scienze più severe e della più amena letteratura». Francesco in particolare introdusse essenze esotiche.
Nel 1815 venne visitato dall'imperatore d'Austria Francesco I.
  Giovanni Battista Paganuzzi nel 1821 poteva scrivere che contava «...circa seicento tra alberi e arbusti d'aria libera quasi tutti esotici, nuovi e rari, circa cento e ottanta specie di rose [...] parecchie delle quali sconosciute nei giardini d'Italia e forse in molti altri del continente...».
Il palazzo poi passò ai discendenti di Francesco e quindi a due nipoti, una sposata con un Borromeo di Padova, l'altra con un Rizzo di Venezia.
Anche i Rizzo lasciarono qui il segno nella toponomastica del luogo: esisteva un sotopòrtego Rizzo che poi venne cancellato da un intervento di edilizia popolare nel primo dopoguerra che diede origine al nuovo quartiere "Piave".
Inoltre un Vincenzo Rizzo (o Riccio) morto il 17 febbraio 1639 more veneto (ovvero 1630 secondo l'attuale nostro calendario) aveva la tomba con iscrizione nella chiesa della Madonna dell'Orto.
Con la morte del conte Francesco Rizzo Pataròl, il palazzo (con il giardino) passò per eredità al conte Giovanni Correr (1798-1871), che fu anche podestà di Venezia dal 1838 al 1857.
Questi diede al giardino una connotazione romantica, secondo il gusto dell'epoca, rimasta sostanzialmente immutata fino ad oggi con la loggia d'ingresso dal lato laguna, opera di Giuseppe Jappelli (1783-1852), costruzione di grotte e finti ruderi, fontane. Il giardino occupa una superficie di circa 2.000 mq.
Dopo il Correr, il palazzo fu sottoposto a successivi passaggi di proprietà, fu dei Lazzari Costantini mentre ebbe vari utilizzi: sede di ambasciate e persino convento!
Indubbiamente il restauro che ha subito per la destinazione alberghiera è stato molto accurato e lo ha salvato da una probabile rovina.
Al termine della fondamenta sorge l'ospedale San Raffaele Arcangelo, un ospedale oggi specializzato nella medicina riabilitativa.
E' gestito dall'ordine religioso San Giovanni di Dio "Fatebenefratelli" che nel 1716 era stato chiamato dalla Repubblica di Venezia per assistere inizialmente militari feriti o ammalati.
Per questo compito fu loro assegnata l'isola di San Servolo, all'interno della laguna: alle cure mediche e chirurgiche erano affiancati trattamenti per i malati mentali. Infatti i "matti" non erano tenuti in considerazione: spesso vagavano liberamente per la città e quando, a causa della loro malattia, si lasciavano andare ad eccessi venivano rinchiusi in carcere o isolati nella pubblica fusta: una galea adibita all'addestramento al remo dei galeotti ed anche, attorno al 1720, a ricovero dei pazzi.
Nel 1882 i "Fatebenefratelli" si insediarono nel palazzo Benci (o Benzi)-Zecchini.
Non sono del tutto chiari i dettagli sulle origini di questo palazzo: le fonti ci raccontano storie parallele, a volte con nomi diversi o storpiati.
   
 
L'affaccio del complesso del "Fatebenefratelli" sulla fondamenta de la Madonna dell'Orto, all'incrocio tra l'omonimo rio ed il rio Zecchini: oltre, si intravede l'edificio monastico di Sant'Alvise.
   
  Nel 1581 la famiglia Gerardi-Zecchini avrebbe acquistato delle case di proprietà dei Roberti ed un palazzo della famiglia Leoncini.
Si trattava dei fratelli Giannantonio e Lorenzo Girardi, di origine bergamasca che probabilmente esercitavano l'arte dei tintori di stoffe e, forse perché estremamente ricchi, al cognome Girardi (o Gerardi) aggiunsero quello di Zecchini.
In questo contesto cominciarono a costruire il proprio palazzo dominicale; sull'architetto che sovrintese i lavori ci sono solo ipotesi: Francesco Contin (1585-1654), oppure Vincenzo Scamozzi (1548-1616), o un giovane Baldassarre Longhena (1596/7-1682), o anche altri.
Nel 1621 il palazzo non era ancora completato se non sul lato sinistro lungo il rio degli Zecchini. Una caratteristica che lo rende ancora oggi unico è la porta d'acqua che conduce ad una darsena, o cavana, all'interno del palazzo stesso.
Ormai rinunciata definitivamente l'idea di completare l'opera, nel 1649 il materiale edilizio avanzato fu venduto al Longhena e servì per la costruzione di Ca' Pesaro.
Nel 1658 la proprietà passò per eredità ai Benci (o Benzi)-Zecchini.
Le cronache ricordano un incendio che qui si sviluppò il 28 agosto 1738. Verso la metà del Settecento vi abitò Orazio Bartolini (1690-1765), fedele ed abile servitore della Repubblica in moltissime occasioni che fu anche segretario del Consiglio di Dieci e poi Cancellier Grande.
Come detto, nel 1882 si insediò qui l'ordine di San Giovanni di Dio "Fatebenefratelli" che nel 1964 costruì l'attuale struttura ospedaliera: inizialmente ospedale generale di zona, poi riconvertito nel 1985 in Ospedale Provinciale Specializzato ad indirizzo riabilitativo.
  
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Pagina aggiornata il 9 aprile 2017