Edifici
di sei piani al Ghetto, nella corte Scala Matta.
Al Ghetto.
Fa specie che Giuseppe Tassini (1827-1899), così colto, con un bagaglio
immenso di conoscenze sulle storie ed i fatti anche più reconditi della
città e dei suoi luoghi, a proposito di questa denominazione candidamente
dichiarasse: «Confessiamo d'ignorare l'origine di siffatta denominazione,
se pur essa non sia corruzione di Calamatta, cognome di famiglia».
E' la dimostrazione di una cesura, una incompenetrabilità, che si era
creata fra due culture, una che si era chiusa in se stessa, l'altra incapace
di allargare la vista "oltre".
E' abbastanza noto che gli ebrei di Venezia risiedessero in un ghetto che
è stato il primo al mondo e che la parola stessa "ghetto"
indicava il luogo dove un tempo c'era il "getto" del metallo
fuso di una fonderia che produceva, tra l'altro, i cannoni per le fortezze
e le navi della flotta veneziana.
Costretti in uno spazio limitato, gli ebrei veneziani si erano adattati a
costruire case alte per sfruttare lo spazio a loro destinato,
vivendo in locali angusti, dai soffitti bassi per poter usufruire di più
piani: erano, in un certo senso, dei grattacieli!
Ogni metro quadrato era prezioso, ed in una tale situazione non sempre ci
si poteva permettere il lusso di scale che portavano da un piano
all'altro: anche il vano scale doveva essere sacrificato a favore dello
spazio abitativo.
Un disegno
esemplificativo di una scala (non è la scala di cui
trattiamo) al servizio degli alti edifici del Ghetto di
Venezia tratto da un progetto di fine Seicento.
Così si trovò un ulteriore espediente, per sfruttare maggiormente lo
spazio limitato: costruire una "scala-non-scala, una scala (in un certo
senso) fittizia, una scala falsa, cioè... matta!"
Le
case al Ghetto di Venezia sono vicinissime le une alle altre, per
sprecare il minor spazio possibile. Qui, tra queste case, c'era la
calle
Mocato, oggi chiusa da un muro e privatizzata.
Un termine che si usa popolarmente anche per indicare un metallo prezioso,
che prezioso non è, come l'oro... matto! Cioè oro finto, oro falso.
La scala "matta" di cui parliamo dovrebbe essere stata costruita
(o ricostruita) qui nel 1772 in legno, e consisteva in una specie di rampa senza
parapetti e senza gradini in legno, una specie di piano inclinato
interrotto ogni tanto da una specie di pianerottolo orizzontale dove si
poteva sostare o entrare in un piano: nel 1797 in uno di questi
appartamenti serviti dalla scala matta abitava un certo Samuel Foà.
I documenti d'archivio riportano una vicenda legata ad una "scala
matta" che non doveva essere questa, in quanto i fatti si riferiscono
ad un secolo prima, precisamente al 5 luglio 1691: quel giorno venne
trovato abbandonato sulla scala matta un neonato che, per la prima notte,
in emergenza venne allattato da Simcà Todesca.
Il giorno dopo i Cattaveri (una magistratura con compiti di indagine sulle
entrate fiscali e sulla spesa pubblica, nonché del -oggi si direbbe-
recupero coatto dei crediti dello Stato, che assicurava con custodi e
guardie l'isolamento notturno del Ghetto) decisero di affidare
temporaneamente il bambino ad una balia ebrea.
Alla fine si scoprì che il bambino era nato da una certa Corona Levi
rimasta incinta dopo un incontro con Sanson Sacerdote ed il 24 luglio i
Cattaveri Nicolò Bolani e Alvise Mocenigo decisero concordemente che la
creatura dovesse rimanere nel ghetto «...a chi s'aspetta».
La
stretta calle Mocato (oggi privatizzata) alla caduta della
Repubblica di Venezia, secondo la ricostruzione dell'architetto
Guido Sullam (1873-1949).
Due
leoni reggiscudi nell'odierna corte Scala Matta, dove c'era uno degli
accessi alla calle Barucchi (oggi privatizzata).
Oggi la corte della scala matta si presenta in modo differente da un tempo, anche per la chiusura di alcune calli, l'apertura di altre, costruzioni
di nuovi edifici, come quello che ospita la Scuola Materna Comunale
intitolata ad Elena
Raffalovich Comparetti (1842-1918).
Come
doveva collocarsi la corte della Scala Matta alla caduta della
Repubblica di Venezia, secondo la ricostruzione dell'architetto
Guido Sullam (1873-1949).
In prossimità dell'ingresso ad uno spazio privato (dove una volta c'era
uno degli ingressi alla calle
Barucchi), su un muretto di
confine, sono collocati due leoni reggiscudi dove sono incisi due stemmi che non
sappiamo identificare.