Salam Israele, Shalom Palestina


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L'area archeologica di Cafarnao: in fondo, oltre gli alberi, si intravede il lago di Tiberiade.
Visitiamo le rovine archeologiche di Cafarnao. Situata sulla romana "via Maris", la grande carovaniera verso la Siria, al tempo di Gesù era un centro importante, presidiato da una guarnigione romana con un centurione che la comandava, con un posto di dogana e con tanto di esattore delle imposte.
"Entrato in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione..." che dice a Gesù "«...anch'io, che sono subalterno, ho soldati sotto di me...»"
(Matteo 8, 5-9)
"Nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Egli, alzatosi, lo seguì."
(Marco 2, 14)
Qui, e precisamente nella casa di Pietro, era venuto ad abitare Gesù dopo la sua cacciata da Nazareth.
Dal II secolo iniziò il periodo più fiorente di Cafarnao. Dopo l'occupazione araba del 638 la città cominciò a declinare rapidamente, ed il colpo di grazia fu un terremoto che la distrusse un secolo dopo.
Le rovine della sinagoga di Cafarnao in una foto di fine Ottocento/inizi Novecento prima degli scavi.
(Stanislao Loffreda, "Cafarnao", Franciscan Printing Press, Jerusalem 1995).
La città venne così abbandonata, anche se alcune famiglie arabe vi rimasero fino alla guerra arabo-israeliana del 1948.
L'americano E. Robinson, che visitò il luogo nel 1838, così lo descrisse: "Il sito è completamente deserto e triste. Solo alcuni Arabi dei Semekiyeh vivono nelle tende ed hanno costruito in mezzo alle rovine alcune catapecchie."
Le rovine continuarono ad essere danneggiate, saccheggiate e depredate dai beduini della zona e dagli abitanti di Tiberiade fino a quando, nel 1894, i Francescani riuscirono ad acquistare la maggior parte del terreno dove si trovavano le rovine, erigendovi un muro di protezione per evitare ulteriori manomissioni.
A partire dal 1905 iniziarono le campagne di scavo, condotte dagli archeologi tedeschi H. Kohl e C. Watzinger della Deutsche Orient-Gesellschaft, poi dall'architetto francescano Wendelin von Menden, da padre Gaudenzio Orfali ed in seguito dall'archeologo francescano Virgilio Canio Corbo e da padre Stanislao Loffreda.
L'intento, per nulla nascosto, di queste campagne di scavo era di riportare alla luce la casa di Pietro, la casa cioè dove aveva abitato anche Gesù.
Le rovine della sinagoga di Cafarnao oggi.
 
Rappresentazione dell'Arca dell'Alleanza su un bassorilievo proveniente dalla sinagoga di Cafarnao.
La scoperta avvenne partendo da due capisaldi: la sinagoga di Cafarnao, i cui resti erano riconoscibilissimi, e gli indizi che ci danno i Vangeli ed i primi pellegrini.
"Uscito dalla sinagoga entrò nella casa di Simone."
(Luca 4, 38)
"E, uscito dalla sinagoga, si recarono subito in casa di Simone e di Andrea..."
(Marco 1, 29)
I Vangeli ci fanno intendere che la casa di Simon Pietro non doveva essere molto lontana dalla sinagoga e quindi gli archeologi cominciarono le ricerche proprio dalla sinagoga verso il lago, pensando che essendo Pietro un pescatore avesse la casa nelle vicinanze della riva.
Ed ebbero ragione.
Ad una trentina di metri dalla sinagoga sulla strada principale del villaggio in direzione nord-sud scoprirono la casa di Pietro e ne ricostruirono la storia.
Una successione di pavimentazioni si succede dal primo secolo avanti Cristo fino verso la fine del primo secolo dell'era cristiana. Dati archeologici fanno ritenere che già nel tardo primo secolo la casa fosse adibita a luogo di riunioni ed oggetto di culto per la presenza di graffiti devozionali.
La pellegrina Egeria (chiamata altrimenti anche "Eteria") che visitò Cafarnao attorno al 380 poteva testimoniare che la casa era stata trasformata in chiesa: "In Capharnaum autem ex domo apostorum principis ecclesia facta est, cuius parietes usque hodie ita stant, sicut fuerunt." (cioè: a Cafarnao la casa del principe degli apostoli fu trasformata in chiesa. I muri sono restati fino ad oggi tali quali erano). Puntualmente gli archeologi hanno messo in evidenza un ampliamento di una precedente "domus-ecclesia" verso la fine del IV secolo.
Poi nel V secolo venne edificata attorno alla casa una chiesa bizantina ottagonale che la inglobava.
Un anonimo pellegrino piacentino verso il 570 d. C. scrisse: "Item venimus in Capharnaum in domo beati Petri, quae est modo basilica" (cioè: ugualmente venimmo a Cafarnao nella casa del beato Pietro, che è una basilica).
Nel 1990 venne consacrato un moderno memoriale, opera (a mio vedere abbastanza discutibile) dell'architetto Ildo Avetta, che resta come sospeso sopra i resti della casa di Pietro.
La "mensa domini" nella chiesa del "primato di Pietro".
 
I gradini nella roccia, visti dalla pellegrina Egeria nel 380 d. C., che hanno consentito di identificare il sito ed i resti.
Procedendo verso sud, dopo tre chilometri, incontriamo Tabgha. Qui sono ricordati tre episodi della vita di Gesù che sono commemorati da altrettanti santuari.
Il primo che incontriamo è il luogo del "primato di Pietro", dove Cristo apparve ai suoi discepoli per la terza volta, mangiò con loro ed affidò a Pietro la guida spirituale della Chiesa.
"Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane ... Gesù disse loro: «Venite a mangiare» ... Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti."
(Giovanni 21, 9-14)

Giovanni ci racconta che dopo mangiato Gesù chiese per tre volte a Pietro se lo amasse:
"Gli disse per la terza volta: «Simone di Giovanni, mi ami?» Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami?, e gli disse: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecorelle...»"
(Giovanni 21, 17)
Tre volte Gesù ha fatto la domanda a Pietro, che per tre volte aveva rinnegato Gesù.
Questo luogo fu oggetto di culto nei primissimi anni del Cristianesimo.
La pellegrina Egeria attorno al 380 scrisse che "...non lontano da Cafarnao si vedono i gradini di pietra sopra i quali il Signore stette". Su questa pietra venne costruita una cappella nel IV-V secolo (della quale sono state trovate le tracce archeologiche), più volte ristrutturata fino al 1263, quando il luogo fu definitivamente abbandonato.
L'attuale edificio venne ricostruito dai francescani nel 1933, ricalcando le strutture di quello antico; e come quello antico incorpora in sé la roccia, nota come la "mensa domini", sulla quale avrebbe mangiato Gesù con i discepoli, con i gradini visti da Egeria che sporgono dal muro della chiesa, sul lato sud verso il lago.
Il secondo degli avvenimenti accaduti a Tabgha, tramandato dai Vangeli di Matteo e Luca, è quello noto come "Il discorso della montagna", o anche "delle beatitudini".
Il lago di Tiberiade visto dal santuario delle beatitudini sulla montagna.
"«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli...»"
(Matteo 5, 3)
"«Beati voi poveri,
perché vostro è il regno di Dio...»"
(Luca 6, 20)
La localizzazione precisa del posto dove Gesù pronunziò il discorso delle beatitudini di fronte ad una grande folla, anche se documentata a Tabgha da antichi testi letterari, resta imprecisa.
Ed in questo non ci aiutano i vangeli che, anzi, sembrano contraddirsi.
"Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante..."
(Luca 6, 17)
"Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna..."
(Matteo 5, 1)

C'è un'apparente contraddizione tra quanto scrivono i due evangelisti: Gesù parlava alle folle in un luogo pianeggiante o dall'alto di una montagna?
In realtà i due evangelisti vogliono semplicemente indicare che Gesù, per arringare le persone, sceglieva un luogo nel quale poteva essere udito da tutti: poteva stare in basso, e la gente lo udiva stando sulle pendici di un'altura, come poteva lui stesso mettersi in una posizione elevata, per farsi udire dalle genti in basso. Una volta addirittura si mise su una barca per farsi udire dalla folla a riva:
"Si cominciò a raccogliere attorno a lui tanta folla che dovette salire su una barca; là si pose a sedere, mentre tutta la folla rimaneva nella spiaggia.
Egli parlò di molte cose..."
(Matteo 13, 2-3)
L'interno a tre navate della chiesa che commemora il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Secondo la tradizione più antica il discorso avvenne sulla strada che da Cafarnao porta a Tabgha, poco dopo l'area su cui sorge la chiesa del "primato di Pietro": qui i Francescani scoprirono nel 1935 un edificio religioso la cui parte più antica risale alla fine del IV secolo.
Oggi il discorso delle beatitudini viene commemorato nell'omonima chiesa costruita nel 1938 su progetto di Antonio Barluzzi sulla sommità del monte che domina il lago di Tiberiade, ispirandosi al testo di Matteo: ottagonale (le otto beatitudini) con ogni lato dedicato ad una beatitudine; sul pavimento i simboli delle tre virtù teologali e delle quattro cardinali.
Anche il terzo degli avvenimenti della vita di Gesù collegati a Tabgha non è di sicura collocazione.
Si tratta della moltiplicazione dei pani e dei pesci, un fatto del quale scrivono tutti e quattro gli evangelisti ed anzi due, Matteo e Marco, ne parlano due volte.
Secondo molti esegeti la moltiplicazione dei pani e dei pesci sarebbe avvenuta a nord-est del lago di Tiberiade e solo motivi pratici avrebbero fatto preferire questo luogo più accessibile e più sicuro.
La chiesa più antica che qui fu edificata risale al 352 d. C. ed era ad una sola navata. La pellegrina Egeria scrive che l'altare era costituito dalla roccia sulla quale Gesù aveva posato i pani.
Sopravvivono alcuni resti di questa antichissima chiesa visibili nel transetto settentrionale ed a destra dell'altare.
Questo santuario venne distrutto da un terremoto e subito ne venne costruito un altro, bizantino, verso la metà del V secolo. Si trattava di una chiesa molto più ampia della precedente, con tre absidi, abbellita di splendidi mosaici, parte dei quali si può ammirare ancora oggi.
Il mosaico bizantino che rappresenta il miracolo.
 
Il "nilometro" raffigurato sul pavimento bizantino.
Anche la chiesa bizantina andò distrutta, rasa al suolo dai persiani nel 614, e tutto restò dimenticato nei secoli.
Solo nel 1932 furono scoperte le antiche strutture con i mosaici ed una nuova chiesa, copia moderna di quella bizantina, venne consacrata nel 1982 ed è oggi custodita da monaci benedettini tedeschi.
Sotto l'altare è collocata la pietra venerata dai pellegrini e raccontata da Egeria e tra i mosaici, risalenti al V secolo, ritenuti tra i più belli tra quelli che si possono ammirare in Israele, fa spicco quello famosissimo che commemora il miracolo con la raffigurazione di una cesta di pani con due pesci ai lati.
"Gli risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci!»"
(Matteo 14, 17)
"E accertatesi, riferirono: «Cinque pani e due pesci»."
(Marco 5, 38)
"Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente»."
(Luca 9, 13)
"«C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cos'è questo per tanta gente?»"
(Giovanni 6, 9)

A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi come mai nel canestro raffigurato nel mosaico bizantino si vedono solo quattro pani, quando i Vangeli unanimemente parlano di cinque.
Quel mosaico è posto ai piedi dell'altare, e su quell'altare c'è il quinto pane, quello eucaristico.
Tra le tante cose interessanti che si possono ammirare in questa chiesa ne scelgo ancora una: si tratta di un ampio frammento di mosaico bizantino che raffigura chiaramente un "nilometro".
Il "nilometro" era uno strumento a forma di torre che, posto sulle rive del Nilo, serviva a misurare le piene annuali.
Alcuni vogliono che la sua presenza fosse giustificata dalla credenza popolare che le sorgenti locali (Tabgha sarebbe la corruzione della parola greca "Eptapegon" = "sette sorgenti") fossero alimentate sotto terra da quelle del Nilo. Ma è più probabile che gli anonimi artisti che realizzarono i mosaici della chiesa fossero egizi.
La piana di Esdrelon vista dalla cima del monte Tabor.
Il nostro viaggio continua per raggiungere il monte Tabor. E' un'altura completamente isolata dagli altri rilievi della Galilea che si eleva per quasi 600 metri. Ci si arriva comodamente fino alla base, poi la strada diventa stretta e tortuosa e per proseguire o ci si deve incamminare, o si prendono dei vecchi e sgangherati taxi che stazionano nel piazzale del parcheggio. Per il modo di guidare che hanno gli autisti, la salita non è meno emozionante.
Il monte Tabor è venerato dall'antichità: sulla sua cima sono stati trovati i resti di un tempio cananeo. Ne parla anche la Bibbia che vi ambienta la figura di Debora ai tempi dell'insediamento delle tribù d'Israele del nord nella pianura di Esdrelon.
"Essa mandò a chiamare Barak, figlio di Abinoam, da Kades di N`ftali, e gli disse: «Il Signore, Dio d`Israele, ti dà quest`ordine: Và, marcia sul monte Tabor e prendi con te diecimila figli di N`ftali e figli di Zàbulon.»"
(Giudici 4, 6)
"Fu riferito a Sisara che Barak, figlio di Abinoam, era salito sul monte Tabor."
(Giudici 4, 12)
"Debora disse a Barak: «Alzati, perché questo è il giorno in cui il Signore ha messo Sisara nelle tue mani. Il Signore non esce forse in campo davanti a te?». Allora Barak scese dal monte Tabor, seguito da diecimila uomini."
(Giudici 4, 14)
Ma soprattutto Origene (183-253) ci racconta che i Cristiani della Palestina lo consideravano il monte dove era avvenuta la trasfigurazione di Gesù.
"Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro..."
(Matteo 17, 1-2)
Nel IV secolo sulla cima vi erano degli edifici religiosi e l'anonimo piacentino nel 570 d. C. testimoniava l'esistenza di tre basiliche, dedicate a Gesù, Elia e Mosè. I Crociati vi costruirono nel 1099 un'abbazia benedettina ed una basilica: distrutte più volte, abbandonate e poi riconquistate, è con il 1631 che il monte Tabor torna in mani cristiane. Nel 1924 venne eretta l'attuale basilica, opera dell'architetto Antonio Barluzzi.
Il silo di Megiddo al quale si accedeva per due rampe concentriche.
 
L'attuale discesa attrezzata al tunnel per raggiungere il pozzo sotterraneo di Megiddo.
Il tunnel sotterraneo di Megiddo lungo 62 metri per accedere al pozzo nascosto.
Dall'alto del monte Tabor si gode di una splendida vista sulla pianura di Esdrelon.
Esdrelon è la variante ellenistica del nome della pianura più vasta d'Israele: infatti è chiamata anche piana di Yizre'el (= Dio semina).
E' stata abitata oltre seimila anni fa. Era attraversata dalla "via Maris" e quindi era un passaggio obbligato tra oriente ed occidente.
I suoi 365 km² hanno visto lo svolgersi di tutte le battaglie possibili per quattromila anni: Egiziani, Assiri, Babilonesi, Hyksos, Greci, Romani, Arabi, Crociati si combatterono qui, ed in tempi più recenti Napoleone, Arabi ed Israeliani.
E noi qui raggiungiamo Megiddo (pronuncia "meghiddo"), il luogo simbolo della piana di Esdrelon abitato per sei millenni di seguito, circa dal 7000 al 500 a. C. e poi occupato sporadicamente per un altro millennio.
Qui gli archeologi hanno contato venti fasi di insediamenti successivi ad altrettante distruzioni.
Fu talmente spesso al centro di guerre, da essere presa a simbolo dell'eterna lotta tra le forze del Bene e quelle del Male.
Ed è qui che l'Apocalisse localizza lo svolgimento della battaglia finale tra il Bene ed il Male chiamandola Armaghedòn (da "Har Megiddo", cioè monte di Megiddo).
"E radunarono i re nel luogo che in ebraico si chiama Armaghedòn."
(Apocalisse 16, 16)
La nostra visita alle rovine inizia dalla "porta a tenaglia" che risale ai tempi di re Salomone, sovrapponendosi però a rovine più antiche del XVIII e XVI secolo a. C., proseguendo poi verso il palazzo reale e le scuderie di Salomone che potevano contenere quasi 500 cavalli.
Poco distante un grande altare, la cui costruzione risale al tempo delle grandi piramidi d'Egitto, ed un tempio.
Ad un silo a pianta circolare con un diametro di una dozzina di metri scavato nel terreno si accede tramite due rampe concentriche: una per la discesa, l'altra per la risalita, in modo che le persone che vi accudivano non avessero ad intralciarsi.
Poco lontano, da un punto più elevato, possiamo ammirare ancora una volta la piana di Esdrelon, chiusa dal monte Carmelo con l'importante passo che Megiddo controllava, a nord i monti della Galilea, il monte Tabor ad est e verso sud quelli della Samaria: una posizione strategica perfetta.
Ma la cosa che lascia stupefatto il visitatore è il pozzo che rendeva Megiddo completamente autonoma ed autosufficiente per quanto riguardava l'approvvigionamento idrico, anche durante i lunghi e frequenti assedi.
Si tratta di un pozzo verticale, profondo 35 metri, nascosto sotto terra.
Gli assediati potevano raggiungerlo tranquillamente tramite un tunnel sotterraneo scavato nella roccia lungo più di 60 metri.
Questo complesso era in parte già esistente nell'età del bronzo, ma l'attuale sistemazione risale all'epoca di Achab.


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Pagina aggiornata il 19 settembre 2017.