A Rialto, nel cuore della città, pochi
veneziani conoscono questa strana porta.
Jacopo de' Barbari incise una veduta prospettica "a volo
d'uccello" della città di Venezia come appariva nell'anno 1500. Si
tratta di un'imponente opera xilografica incisa su sei tavole di legno di
pero che misurano ciascuna circa 100 cm. x 70 cm. Una volta stampate le
sei tavole, rifilati i bordi ed unite assieme , se ne ricava una veduta di
Venezia che misura cm 282 x 139.
Nella parte di mappa qui riprodotta si vede una delle due curve che fa il
Canal Grande attraversando la città, il ponte di Rialto ancora in legno
(era un ponte levatoio per permettere il passaggio delle navi con la loro
alberatura) e l'area di Rialto, di cui parliamo, limitata in alto dalla
"calle dei Boteri" (in rosso; dove il colore è più chiaro, la
calle non risulta visibile perché coperta dalla prospettiva delle case
davanti) ed in basso dalla "riva del Vin" (evidenziata in
giallo).
L'area di Rialto si trova a ridosso dell'omonimo ponte.
Quando il governo della città si trasferì attorno all'810 da Metamauco
(l'odierna Malamocco) a Rivoaltum, con Rivolatum (Rialto) si intendeva
non solo l'area attuale, ma praticamente tutto il centro della città, quindi
anche la zona attualmente occupata dalle chiese di S. Bartolomio, S.
Salvador, S. Maria Formosa e S. Marco. Ma con l'andar del tempo in
quest'ultima parte della città si concentrarono le attività politiche ed
amministrative, lasciando che in quell'area, che anche noi adesso
conosciamo come Rialto, si stanziassero le attività mercantili, facendola
diventare importante centro per i commerci.
Si costruirono un'erbarìa ed una pescarìa, magazzini, uffici, negozi,
banchi di vendita.
A Rialto arrivava di tutto: dall'importazione e l'esportazione di merci
pregiate come spezie, sete e metalli preziosi, alle derrate alimentari che
arrivavano dalle isole o dalla terraferma, fino ai commerci al minuto di
vino, verdura, frutta, pesce.
E come zona di commerci c'erano naturalmente locande, alberghi e
persino banche: il famoso "Banco Giro" che funzionava come banca, per
il trasferimento di danaro, per prestiti, ed anche un po' come circolo dei
commercianti più facoltosi. E naturalmente dove girava gente foresta,
commerci e danaro, la zona era frequentata da chi praticava altro genere
di commercio: le meretrici, favorite anche da quegli albergatori (detti
"cameranti") che, infischiandosene del divieto, offrivano all'ospite il
"letto guarnito", cioè fornito di tutto: cena, riscaldamento, camera e
compagnia.
Le insegne toponomastiche a Venezia sono del tutto particolari. Sono chiamate
"ninzioleti" (pronuncia "ninsioleti"), cioè "piccole lenzuola" (il lenzuolo infatti si
dice in veneziano "ninziolo").
Sono dei riquadri rettangolari in malta, tinteggiati in bianco (originariamente in
calcina) con una cornice dipinta in nero, con pennello a mano libera con l'aiuto
di un asse di legno.
I caratteri sono dipinti con l'aiuto di forme di latta in cui sono sagomate (dime) e
l'abile dipintore sa disporli "ad occhio" in modo da centrare le scritte e riempire
simmetricamente il
"ninzioleto".
Anche dopo il gravissimo incendio che devastò l'area nel 1514,
successivi rimaneggiamenti fecero sì che oggi Rialto si presenta divisa tra
la Pescarìa e l'Erbarìa, con negozi e banchi all'aperto.
Se osserviamo le denominazioni toponomastiche dell'area di Rialto,
vediamo che conservano traccia delle attività passate e presenti del
luogo.
Dell'Erbarìa abbiamo già detto: sulla fondamenta (cioè sulla riva;
fondamenta a Venezia è singolare ed al plurale fa fondamente) si
vendevano le verdure che arrivavano con le barche dalle isole della
laguna e dalla terraferma già nel XIII secolo: la sponda era in legno e
sarebbe stata lastricata in pietra nel 1398.
Anche della Pescarìa abbiamo già detto e ne abbiamo notizia dal 1332;
qui si vendeva non solo pesce, ma anche uccelli.
La Naranzeria (si pronuncia "naranseria") deve il suo nome a piccoli e
bassi magazzini che ospitavano arance ed altri agrumi (arancia a Venezia
è la
"naranza", pronuncia "naransa").
Nella Casarìa si vendevano i formaggi e la "grassina", cioè carne di
maiale conservata sotto sale.
La ruga ed il sottoportico degli Oresi devono il loro nome agli orefici che qui avevano le loro botteghe. Gli orefici hanno origini molto antiche a Venezia, trovandosi citati in un documento del 1015. E' del 23 marzo 1331 la deliberazione del Maggior Consiglio che li obbligava a commerciare, lavorare e vendere l'oro esclusivamente nell'isola di Rialto.
Il Campo delle Becarie, dai "becheri" (macellai), vicino a quello che dal 1339 era un pubblico macello.
La Calle dello Stivaletto, da una bottega di calzolaio che aveva l'insegna di uno stivaletto.
La Calle del Capeler (cappellaio), da un negozio di cappelli di feltro che ancora esisteva nella seconda metà del 1800.
Calle del Marangon (falegname), probabilimente da una bottega di falegname che esisteva qui.
Calle del Manganer (manganatore), ossia "lustradori da seda" o
"da lana" (dei panni di seta o di lana): qui nel 1661 si affittava una
"casa e bottega con comodità del mangano, voda, di ragion della sig. Angela q. Benetto q. Piero Baron" (casa e bottega con l'uso del mangano, vuota, di proprietà della signora Angela di Benetto di Piero Baron).
Calle dei Varoteri (pellicciai) per le botteghe di pellicciai che si trovavano in questa calle.
Calle dell'Erbarol (erbaiolo, venditore di verdure) per la presenza di una bottega di vendita al minuto di verdure.
Un particolare del celebre quadro "Miracolo della Reliquia della Santa
Croce" che Vittore Carpaccio dipinse attorno al 1494. Il quadro nel suo
insieme (che in questo particolare non vediamo) fornisce preziose notizie sull'architettura delle case e dei palazzi lungo il Canal Grande ed altre
curiosità. Nonostante questo sia solo un particolare, si nota ad esempio in
fondo a destra un dettaglio del ponte di Rialto levatoio ed ancora in legno.
Cerchiata in giallo è l'insegna dell'"Osteria allo Sturion".
Un particolare ingrandito mostra l'insegna dell'osteria allo Sturion
(storione).
Calle delFondego: i "fondaci" erano a Venezia dei magazzini, pubblici
o privati, di merci, come il "Fondaco della Farina", il "Fondaco del
Tabacco", o privati, e potevano anche essere stranieri, come il
"Fondaco dei Tedeschi", il "Fondaco dei Turchi", il "Fondaco dei
Siriani", che qui tenevano il loro emporio ed i loro uffici, quasi una
rappresentanza commerciale del loro paese di provenienza. A Rialto
venne aperto qui il primo Fondaco pubblico per la farina, nel 1178,
sotto il Doge Orio Mastropiero: "In questo tempo questo dose fese
far el fontego de la farina a Rialto"
(in questo tempo questo doge fece fare
il fondaco della farina a Rialto).
Ponte delle Spade, Calle della Scimia, Calle del Gambaro, Calle de la
Donzella, Calle del Sturion, Calle del Sol e Calle
dell'Osteria della Campana devono il loro nome ad altrettante osterie, o locande o alberghi.
L'osteria all'insegna delle spade è citata nel 1488: "Carlo de Zuane
hosto all'insegna delle
Spade" (Carlo di Giovanni oste all'insegna delle Spade).
L'osteria all'insegna della Scimia (scimmia) esisteva in un fabbricato donato alle monache di S. Lorenzo da Giovanni Venier il 5 settembre 1227. Le monache avevano dato in affitto il fabbricato ad uso di locanda.
La locanda all'insegna della Scimia andò distrutta nell'incendio che bruciò Rialto il 10 gennaio 1514 e ne parla anche il Sanudo nei suoi Diarii tra le cose maggiori che andarono
bruciate in quella notte: "hostaria de la Scimia che è di le muneghe di S. Lorenzo, et era nova" (osteria della Scimmia di proprietà delle monache di S. Lorenzo, che era nuova).
Dell'osteria all'insegna del Gambaro (gambero) troviamo notizia per un fatto di cronaca nera documentato in una sentenza del 25 settembre 1465: un Venturino
"hospes in hospitio Gambari in Rivoalto" (ospite della locanda al Gambero a Rialto) venne ucciso da certi Armano, cappellaio tedesco, Angelino e Leonardo, pure tedeschi.
L'"hostaria della Donzella" nel 1740 era gestita da un Piero de Pieri che pagava l'affitto per lo stabile al N.H. Filippo Donà.
Anche l'osteria all'insegna del Sturion (storione) è antichissima: l'11 luglio 1398
"Guilelmus hospes ad Sturionem in Rivoalto" è condannato assieme ad altri osti per aver adulterato il vino. Ma la locanda allo Sturion, che esiste ancora oggi, è anche famosa perché la sua insegna, che mostra un pesce, uno storione appunto, è raffigurata a sinistra del celebre quadro di Vittore Carpaccio "Miracolo della Reliquia della Santa Croce" databile attorno al 1494.
Dell'osteria al Sol (Sole) sappiamo che nel 1799 apparteneva alla famiglia Venier e veniva così descritta:
"Casa era aff.a a Giacomo Miotti, altra a Francesco Zanga, Botteghin a Bortolo Lioni, Casa era aff.a a Zuane Casarini, altra a Bortolo Lioni, ora ridotte tutte in un sol stabile per l'osteria all'insegna del Sol" (una casa era affittata a Giacomo Miotti, un'altra a Francesco Zanga, una botteguccia a Bortolo Lioni, una casa era affittata a Giovanni Casarini ed un'altra a Bortolo Lioni. Ora sono tutte riunite in un unico stabile ad uso dell'osteria all'insegna del Sole).
Mappa attuale dell'area di Rialto, racchiusa tra il Canal Grande e due
direttrici quasi parallele tra loro, la riva del Vin (vino) e la calle dei Boteri (bottai).
Il pallino in rosso indica la posizione dove si trova la porta di cui
scriviamo.
Dell'osteria della Campana abbiamo tracce dal 1341 e sappiamo che fu di proprietà della famiglia Sanudo che ne ricavava una buona rendita, come scrive Marino Sanudo:
"noi Sanuti che in Pescharia nova habiamo un'hostaria chiamata di la Campana. Sotto tutte botteghe, ed è picciol luogo, e tamen di quel coverto si cava più di ducati 800 di fitto ogni anno, che è cossa maravigliosa del gran afitto, e questo è per esser in bon sito l'hostaria" (noi Sanudo possediamo nella Pescheria nuova un'osteria, chiamata della Campana. E' inferiore a tutti i negozi, è un locale piccolo, tuttavia per quel locale si ricava un affitto di oltre 800 ducati l'anno, che è molto bello, perché l'osteria si trova in buona posizione).
E nell'area di Rialto non mancava la possibilità di certi divertimenti libertini, come ci attesta la Fondamenta de la
Stua (stufa), così chiamata per la presenza di una
"stufa", ovvero un locale pubblico molto simile al "calidarium"
romano. In questi luoghi non si effettuavano solo la cura del corpo ed
i bagni di vapore, essendo spesso l'occasione, nonostante espliciti
divieti, per rapporti sessuali mercenari, maschili e femminili. Non a
caso, proprio vicino alla fondamenta della Stua a Rialto troviamo il ponte
delle Tette (proprio nel senso di tette!), così chiamato per la vicinanza
di postriboli.
Il sotoportego (sottoportico) del Bancogiro ricorda che in quel luogo
aveva sede questa banca mercantile, chiamata appunto "Bancogiro",
istituita nel 1157.
Tutta l'area mercantile di cui stiamo parlando è praticamente racchiusa
da un lato dal Canal Grande, che compie una delle due curve del suo
percorso ad "S" dividendo in due la città, dalla riva del Vin
(vino) e, parallela verso l'interno, dalla calle dei Boteri
(bottai)..
Simbolo dell'arte dei "boteri" (bottai), bassorilievo su pietra (XVII
sec.) in campo Rialto Novo.
Gli archi che sovrastano questa calle ne danno anche il nome: calle
dell'Arco. Non avevano funzione statica, ma stavano solo ad indicare che le
case da un lato e dall'altro della calle, unite dall'arco, appartenevano
allo stesso proprietario, o famiglia.
Entro questo dedalo di calli si svolgevano tutte quelle attività mercantili
che hanno fatto ricca e potente la Venezia di un tempo.
La riva del Vin anticamente era chiamata riva del Ferro, ma poi questo nome
passò ad identificare la riva opposta del Canal Grande. Questo accadde
quando su questa riva cominciarono ad approdare ed a stazionare barche
cariche di vino; questo uso si protrasse almeno fino alla metà
dell'Ottocento, come attesta il Tassini nel suo "Curiosità
Veneziane".
Del fatto che qui ormeggiassero le "barche da vin" ne
abbiamo notizia leggendo anche altre cronache veneziane: come quella che
racconta che Bajamonte
Tiepolo, dopo il fallimento della sua congiura del
1310, per proteggersi la fuga fece tagliare il ponte di Rialto e per
impedire di essere inseguito da barche, fece ritirare "le barche da
vin che avevano stazio a Rialto".
Sopra questa riva esisteva un edificio (demolito nel 1842) dove aveva sede "l'Uffizio
del Dazio del Vin". I mercanti da vino erano riuniti in una
confraternita che si raccoglieva presso la vicina chiesa di S. Silvestro. Ma
in un'altra "scuola" (cioè confraternita) erano riuniti i "Venditori,
Portatori e Travasadori da Vin", e questo la dice lunga su quanto
era prospero a Venezia il commercio del vino.
E' evidente che con tutto quel vino che arrivava a Rialto c'era una gran
necessità di contenitori e recipienti, primi fra tutti le botti.
Come abbiamo già detto i "boteri" erano bottai, cioè
costruttori di botti: erano chiamati anche "bottiglieri" ed
erano riuniti in una "scuola" (cioè confraternita) della
quale abbiamo sicure tracce già nel 1290, perché esiste una lapide in
pietra di questa "scuola" di fronte alla chiesa dei Gesuiti
con questa data.
I "boteri" avevano l'obbligo di riparare gratuitamente le
botti del Doge "colla somministrazione però dei cerchi, dei vinchi,
e delle cibarie agli operai".
E con tante osterie, con tante locande, con tanti commercianti
in vino, erano necessari dei magazzini dove riporre le botti colme di vino.
Passeggiando per Rialto imbocchiamo la calle dell'Arco. Siamo nel cuore di
Rialto. Il nome della calle deriva dai numerosi archi che sovrastano la via.
Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare questi archi, numerosi a
Venezia, raramente avevano una funzione statica. Il più delle volte stavano
ad indicare che le case unite dall'arco, da un lato e dall'altro della
calle, appartenevano allo stesso proprietario o alla stessa famiglia.
Proseguendo per calle dell'Arco, questa cambia nome diventando calle
dell'Ochialer (occhialaio).
L'originale porta con gli stipiti smussati per consentire il passaggio delle
botti.
Non tutti sanno forse che è a Venezia
che per la prima volta al mondo sono menzionati gli occhiali: è in un
documento del 1284.
Si tratta dello statuto dell'"Arte dei Cristalleri", dove
viene detto ad un certo punto che gli "oglarios" dovevano
essere fatti di buon cristallo e non di vetro. Questa norma è poi
ripetuta in un documento del 1301, a dimostrazione che a Venezia in quegli
anni, magari artigianalmente, venivano fabbricati occhiali.
La cosa non deve stupire, se si pensa che da sempre Venezia è stata la
città del vetro, con le sue fornaci a Murano. Niente di sorprendente se
un anonimo artigiano del vetro scoprì che il frapporre davanti agli occhi
dei particolari pezzettini di vetro poteva migliorare la visione dei
particolari che prima magari non riusciva di veder bene. Il passo poi di
incastonare i due dischetti di vetro su di un ponte da appoggiare al naso
deve essere stato molto breve.
In questa calle dell'Ochialer dunque doveva aver bottega un fabbricante di
occhiali, e la conferma la troviamo in una annotazione dei Necrologi del
magistrato alla Sanità dove leggiamo: "Adì 12 ottobre 1619.
Battista fiol de Zuane ochialer, morto da variole, amalato g.ni 10 - S.
Mattio" (Giorno 12 ottobre 1619. Battista figlio di Giovanni
occhialaio, morto di vaiolo dopo dieci giorni di malattia - S. Matteo).
Il riferimento a S.
Matteo (in veneziano S. Mattio) indica la parrocchia in cui morì questo
Battista: la chiesa parrocchiale di S. Mattio era proprio qui accanto. Era
stata fondata nel 1156, ricostruita e rifabbricata più volte, venne poi chiusa nel 1807 a seguito degli editti napoleonici:
fu quindi in parte distrutta, in
parte trasformata in abitazioni private.
Particolare dello slargo della porta per far passare agevolmente le botti.
Proprio dove la calle dell'Arco
diventa calle dell'Ochialer una volta doveva esistere uno di questi
magazzini del vino.
Botti che entravano e uscivano, piene e vuote, in una posizione
strategica: al centro di Rialto, a metà strada tra la riva del Vin, dove
arrivavano le barche cariche di vino, e la calle dei Boteri, dove erano i
fabbricanti di botti.
All'attuale anagrafico 456 (indicato con un pallino rosso nella mappa di
Rialto) devono aver pensato che per la stretta porta le botti facevano
fatica a passare.
Ed è così che ancora oggi, per chi sa trovare e sa osservare, si può
vedere questa originale (e forse unica) porta con gli stipiti smussati a
misura giusto di una botte.