Venezia alle Galápagos

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Lido, Malamocco,
riva degli Schiavoni
Il viaggio
della "Vettor Pisani"
Punta Lido, punta Malamocco,
arrecife Schiavoni
 
Lo scoglio Kircker, chiamato anche "Leon Dormido".
Giungiamo così all'ultima parte del nostro racconto.
Come abbiamo scritto, nel corso del suo quarto ed ultimo viaggio di circumnavigazione del globo la Vettor Pisani visitò l'arcipelago delle isole Galápagos.
Dopo aver trasferito a Panamá l'equipaggio della corvetta Archimede sul trasporto ad elica Conte di Cavour, il 12 marzo 1884 la nave fece rotta per quell'arcipelago che avvistò al tramonto del 20 marzo.
Raggiunta l'isola di Chatham (San Cristóbal), della quale scriviamo subito sotto, il 26 marzo la Vettor Pisani si recò all'isola Floreana (chiamata anche Santa Maria a ricordo di una delle caravelle di Cristoforo Colombo) dove aveva avuto inizio la storia moderna dell'arcipelago.
Infatti, scoperte casualmente nel 1535 dal vescovo di Panamá Tomás de Berlanga, furono per molto tempo rifugio dei pirati e nessuna nazione, fino al 1831, ne aveva rivendicato il possesso.
In quell'anno il generale
ecuadoriano José de Villamil (1789-1866) propose di stabilirvi una colonia: il 9 febbraio il colonnello Ignacio Hernández prese possesso dell'isola Charles, nome dato dai pirati inglesi in onore di Carlo II Stuart, Re d'Inghilterra, ribattezzandola Floreana in omaggio al Presidente della Repubblica Juan José Flores (1800-1864).
Il Villamil vi portò inizialmente 80 soldati ribelli condannati alla pena di morte che venne commutata nella deportazione ai lavori forzati; importò inoltre numerosi capi di bestiame. La colonia prosperò nei primi anni, ma poi subentrarono dissidi tra Villamil ed il Governo che nel 1837 vi nominò un nuovo Governatore il quale non si distinse per la sua onestà: abbandonata a se stessa la colonia penale contava oltre 200 galeotti e ribellioni e lotte sanguinose si ripetevano frequenti.
Quando Villamil vi tornò nel 1842 quasi non esisteva più, cessò del tutto e l'isola tornò ad essere dimenticata.
La Vettor Pisani non ancorò nel porto del Post Office, così chiamato perché nel passato le navi in transito lasciavano qui la propria corrispondenza che veniva raccolta da altre navi che, durante la navigazione, trovavano modo di inoltrarla a destinazione, come avveniva anche in un porto del golfo di Penas, nella Patagonia cilena, ma preferì ormeggiare a Ovest dell'isola, alla baia Playa Prieta: questo era lo scalo dell'antica colonia.
Gli uomini della Vettor Pisani con un paio d'ore di camminata raggiunsero le piantagioni abbandonate: videro abbondanza di banani, fichi ed agrumi, incontrarono numerosi buoi, asini e maiali e si imbatterono in una rozza pietra sepolcrale con un nome, forse una vittima delle faide fra i detenuti della colonia.
Durante la breve permanenza a Floreana non mancò la raccolta di campioni zoologici, tanto marini quanto terrestri.
Il giorno successivo la Vettor Pisani entrò nella baia di Conway dell'isola di Santa Cruz ("Santa Croce", o Indefatigable, come venne chiamata a seguito dell'esplorazione dell'arcipelago fatta nel 1812 dal vascello inglese HMS Indefatigable, comandato da John Fyffe).
Al tempo l'isola era completamente vergine e gli uomini della Vettor Pisani fecero fatica ad aprirsi un varco tra gli alti arbusti ed i crepacci di lava. Restarono meravigliati nel vedere come i numerosi piccoli uccelli si lasciassero avvicinare dall'uomo senza alcun timore.
Non videro però tartarughe. Venuti a sapere dalla guida che questo animale era invece numeroso nel vicino isolotto di Duncan (dall'ammiraglio inglese Adam Duncan (1731-1804), ma oggi meglio conosciuta come isola Pinzón per ricordare i due fratelli Pinzón, capitani della Niña e della Pinta al seguito di Cristoforo Colombo) organizzarono una escursione. Dopo una faticosa camminata tra le masse vulcaniche, riuscirono ad incontrarne quattro, delle quali una grandissima. Tuttavia, a causa del tempo limitato e per l'impossibilità di trasportarle a riva per imbarcarle, dovettero lasciarle lì, considerando che comunque a bordo ne avevano già due esemplari avuti a Guayaquil, senza dimenticare di lasciare sul luogo un'iscrizione a ricordo della venuta della Vettor Pisani.
Dopo Santa Cruz, la nave si diresse a Chatham (San Cristóbal) per i rifornimenti prima di prendere la rotta per Callao.
A Chatham era già stata: era stata la prima isola dell'arcipelago che visitò dopo averla avvistata al tramonto del 20 marzo 1884.
Avvicinandola il giorno dopo, gli uomini della Vettor Pisani riconobbero la punta conica del monte Pitt, poi navigando parallelamente alla costa settentrionale restando a distanza per evitare gli scogli Hobbs a pelo d'acqua riconobbero altri punti caratteristici, già segnalati da Fitz Roy: il promontorio Finger, lo scoglio Kircker, oggi meglio conosciuto come Leon Dormido, e lo scoglio Dalrymple.
Oltrepassato lo scoglio Kircker venne avvistata la baia Stephens all'interno della quale fu gettata l'ancora. Venne fatto il rilievo di questa baia abitata da una grandissima quantità di foche.
Non sappiamo se Chatham (San Cristóbal) sia stato il primo approdo nell'arcipelago per il sol fatto che era la prima isola che si incontrava provenendo da Panamá  piuttosto che ci fosse già questa intenzione «...essendo pensiero del nostro Comandante di mettersi in relazione col signor Manuel Cobos, che sapevamo stabilito a Chatham con una piccola colonia...».
Venne inviata una spedizione a terra per prendere contatto con il capo della colonia: dalla baia Stephens si poteva scorgere del fumo che indicava il luogo dell'insediamento.
Alla sera la spedizione fu di ritorno accompagnando Manuel Julián Cobos il quale accolse con molta gentilezza la venuta della nave italiana e consigliò di cambiare ormeggio: invece di Puerto Grande (come chiamava la baia Stephens) la nave poteva ancorare a Puerto Chico (cioè "porto piccolo": oggi si chiama Puerto Baquerizo Moreno).
 
Porto Baquerizo Moreno (Foto cortesia di Dennis Harbach).
  
Il mattino seguente il comandante Palumbo inviò il Sottotenente di vascello Bertolini ad ispezionare Puerto Chico che sulle carte di Fitz Roy era appena tracciato senza alcuna particolare indicazione: fu ritenuto idoneo e ben protetto dalla risacca.
Dopo l'ancoraggio, lo stato maggiore scese a terra per dirigersi verso la colonia. Da Puerto Chico esisteva una strada, fatta costruire dal signor Cobos, che si snodava per circa sette chilometri fino all'Hacienda el Progreso; non fecero la strada a piedi: il signor Cobos aveva messo a disposizione degli ospiti dei cavalli.
Ma chi era il capo di questa colonia?
Manuel Julián Cobos (circa 1845-1904) era nato a Cuenca, nella provincia di Azuay. Da giovane, pieno di ambizioni, lasciò la sua città per trovare lavoro.
A Guayaquil, nel tentare un imbarco per terre lontane in cerca di fortuna (era quasi riuscito a salpare per la Norvegia, ma all'ultimo momento non riuscendo ad intendersi con l'equipaggio norvegese per via della lingua non se ne fece più nulla) il suo interesse fu attirato dalle isole Galápagos dalle quali arrivava un grande quantità di una specie di licheni chiamati orchilla o orcella (Rosella tinctoria) dai quali si ricavava una sostanza colorante molto richiesta dall'industria della preparazione dei pigmenti dei colori.
Con questo commercio il Cobos fece molti guadagni, nonostante nel frattempo il Governo avesse introdotto una tassa governativa sulla sua raccolta.
Tuttavia egli non trascurò altre possibilità, come quella di sfruttare gli animali abbandonati da Villamil (con il quale fece un accordo verbale) per allevarli per l'industria della concia e del cuoio.
Nel 1869 Cobos non partecipò all'asta indetta dal Governo per la raccolta dell'orchilla; ormai le isole erano state ampiamente sfruttate: pare che il solo Cobos avesse raccolto 2.400 quintali di questo prezioso lichene.
Intanto era giunta la notizia dell'esistenza di grandi estensioni di orchilla in Messico. Per di più il commercio del lichene aveva ricevuto un colpo mortale dall'impiego sempre più diffuso dell'anilina.
Cobos partì per la Baja California, viaggiando poi negli Stati Uniti dove acquisì esperienza e conoscenze che mise a frutto al suo ritorno, accompagnato da un centinaio di uomini che avevano avuto problemi con la giustizia inviati dal Governo al fine di stabilire una colonia a San Cristóbal: ne fece una vera e propria hacienda che chiamò el Progreso.
Oltre alla lavorazione ed al commercio del cuoio, si dedicò alla coltivazione della canna da zucchero, di agrumi, yucca, caffè, all'estrazione del sale e della calce ed alla distillazione di una specie di grappa ricavata dalla canna da zucchero.
Ricevette le maggiori soddisfazioni dalla canna da zucchero che cresceva particolarmente rigogliosa sul suolo dell'isola.
L'aveva piantata in modo di ottenere raccolti costanti tutto l'anno che gli consentivano di inviare sul continente la melassa dalla quale poi veniva estratto lo zucchero. Per l'invio dei prodotti Cobos disponeva di proprie golette a vela: per un certo tempo le comandavano anche dei capitani italiani, tali Accame e Ferretti.
Per la spremitura della canna utilizzò inizialmente una macina mossa dalla forza dei buoi, costruì un molo nel porto per le sue navi ed un acquedotto con cisterne per sfruttare l'acqua del lago vulcanico el Junco.
La casa di Manuel Julián Cobos era ad un piano, in legno, in posizione strategica, rialzata rispetto alle capanne dei coloni sparse attorno.
Agli ufficiali della Vettor Pisani evocava un'atmosfera manzoniana "alla don Rodrigo", anche per la presenza di tante armi a portata di mano e per «...i fidi servi simili ai bravi medio-evali...».
Gli ufficiali italiani avevano raccolto alcune notizie non troppo confortanti sui metodi tenuti dal Cobos con il proprio personale (il fatto che arrivasse a fucilare con troppa facilità chi sgarrava, anche se subito dopo veniva presentata come attenuante la circostanza «...che in parte vi entra pure la gelosia di donne»), tuttavia la colonia fece complessivamente una buona impressione: «La sua hacienda (...) è benissimo organizzata ed in ogni sua parte riflette (...) colui che la dirige, nonché la saviezza dei suoi provvedimenti.»
Ma gli ufficiali italiani non potevano immaginare cosa sarebbe successo solo vent'anni dopo a questa hacienda che avrebbe dovuto meritare «...il plauso del mondo civile».
Negli anni seguenti alla visita della Vettor Pisani a el Progreso Cobos continuò ad applicarvi migliorie ed rinnovazioni: non si accontentò più della forza dei buoi ed installò una macchina a vapore, produsse energia elettrica, organizzò delle officine meccaniche in grado di costruire le attrezzature di cui aveva bisogno rendendosi indipendente dal continente, collegò le piantagioni alla fabbrica con un sistema di carrelli su rotaia, coniò una propria moneta in rame con cui pagava i propri uomini che poteva essere spesa solo sull'isola negli spacci che lui stesso deteneva, ma costruì anche una prigione con strumenti di tortura per tenere sotto controllo, e punire, i lavoratori-schiavi che avessero trasgredito le sue regole.
Il Cobos, che amava definirsi «el Rey de San Cristóbal», aveva posto delle regole ferree per la propria autodifesa che si basavano sul principio «Si no mato, me matan» (se non uccido, mi uccidono) contrapposto a quello dei suoi esasperati lavoratori-schiavi «Si no lo matamos, nos mata» (se non lo uccidiamo, ci uccide).
Così non si contavano i casi in cui puniva severamente i coloni colpevoli di mancanze più o meno gravi: la reclusione nella prigione, la punizione della frusta, la fucilazione, l'esilio in qualche vicino isolotto disabitato, che equivaleva a morte certa.
All'inizio del 1904 ormai erano in troppi a non volere più Cobos vivo. Un prigioniero era appena morto mentre era sottoposto alla punizione di cinquecento colpi di frusta. Il 15 gennaio uno dei suoi capireparto che gli era restato fedele, il colombiano Elias Puertes, non ci vide più e si ribellò; riuscì a sfilare la pistola a Cobos e gli sparò da vicino in faccia e sull'addome. Ma Cobos non morì: nonostante fosse ferito così gravemente, saltò attraverso una finestra e riuscì a scappare nella boscaglia, ma venne raggiunto da altri uomini che lo finirono a colpi di machete.
Fu la fine di Manuel Julián Cobos.
Allora moltissimi coloni si impadronirono di una delle navi del Cobos portando con sé donne e bambini per abbandonare l'isola. Giunti sulla costa sudamericana, nei pressi del confine tra Colombia ed Ecuador, vennero tutti arrestati. I funzionari governativi stentavano a credere ai racconti dei prigionieri circa le torture e le sevizie alle quali erano stati sottoposti dal Cobos, così andarono a verificare sul posto e scoprirono una realtà ancora peggiore. Si racconta che un prigioniero, esiliato quattro anni prima da Cobos su un isolotto dell'arcipelago, sia stato trovato ancora miracolosamente in vita.
 
Quello che resta ai nostri giorni dei vecchi edifici dell'Hacienda el Progreso di Manuel Julián Cobos. (Foto: cortesia di Adam Eckert).
 
Forse, se gli ufficiali della Vettor Pisani avessero avuto la possibilità di conoscere tutte queste cose sarebbero stati più prudenti nel tessere le lodi dell'Hacienda el Progreso.
Nei giorni in cui si trattennero a San Cristóbal, il Tenente di vascello Serra completò la sua raccolta zoologica con esemplari endemici; non riuscì purtroppo a catturare nessuno dei due tipi di iguane che aveva descritto Charles Darwin. Raccolse anche 56 piante terrestri che dopo, giunto in Perù, riuscì a farsi classificare dal professor Antonio Raimondi.
Altri ufficiali invece si dedicarono ai rilievi idrografici; oltre alla baia Stephens, tracciarono l'esatta cartografia di varie miglia di coste, compreso Puerto Chico del quale esistevano pochissime indicazioni. Il nome di "porto piccolo" in realtà era stato dato dagli uomini dell'Hacienda el Progreso: le carte di Fitz Roy non dicevano nulla mentre secondo un portolano inglese era chiamato Enderly Cave e non sarebbe stato adatto altro che per piccole imbarcazioni.
Così, d'accordo con Manuel Julián Cobos, gli venne dato il nome di Vettor Pisani per ricordare il nome della nave di una certa importanza che per prima, per quanto si sapeva, vi ancorò.
  
La cartografia di "Porto Vettor Pisani nell'isola Chatham" (oggi Puerto Baquerizo Moreno) rilevata dagli ufficiali della Vettor Pisani nel marzo 1884. Sono precisate anche le coordinate della capanna (indicata nel disegno) dell'Hacienda el Progreso: latitudine 0° 53' 16'' S., longitudine 89° 37' 37'' O. Gr. Il porto è compreso tra la "P. (punta) di Malamocco" a sinistra del disegno e la "P. (punta) di Lido" a destra; al largo, sopra Punta Malamocco, è indicato il "B. (banco) degli Schiavoni".
 
Ad un'altura dell'isola, in onore del "padrone di casa" Manuel Julián Cobos, venne dato il nome di "monte Cobos", indicando un'elevazione sul livello del mare di 344 metri.
Durante le rilevazioni cartografiche furono attribuiti altri nomi a punti significativi per l'orientamento del navigatore.
Ad esempio, per entrare nel porto era necessario avvicinarsi allo scoglio Dalrymple che ha attorno a sé un buon fondale e poi tenersi allineati con un monticello in fondo alla baia: in questo modo si restava lontani da una pericolosa scogliera sotto il pelo d'acqua. A questa scogliera venne dato il nome di "banco degli Schiavoni".
Altri toponimi vennero dati
«...a ricordo lontano della patria, come Punta Lido, Punta Malamocco...» alle due punte che delimitavano l'ingresso a Puerto Vettor Pisani.
Si chiude così il nostro racconto che era iniziato da un portolano inglese degli anni Venti del Novecento e che cercava di trovare l'origine di questi tre toponimi veneziani sull'isola di Chatham (San Cristóbal).
Resta però una curiosità: questi nomi sono sopravvissuti fino ad oggi?
Di Puerto Vettor Pisani abbiamo appena detto: quella piccola baia mal disegnata da Fitz Roy che nel 1884 ospitava solo una capanna-magazzino di pertinenza dell'Hacienda el Progreso ora vede affacciarsi la città di Puerto Baquerizo Moreno (che deve il nome al Presidente dell'Ecuador Alfredo Baquerizo Moreno) di circa 6100 abitanti (censimento 2006), capitale amministrativa della Provincia de Galápagos.
La baia sulla quale prospetta Puerto Baquerizo Moreno è chiamata baia del Naufragio.
 
Punta Lido (a destra) segnalata in questa mappa della baia del Naufragio (Wreck Bay) pubblicata nella guida turistica di Pierre Constant "Guide de l'Archipel des Galapagos", Lyon, 1983.
Punta Lido, Punta Malamocco e Arrecife Schiavoni segnalati in una mappa recente della baia del Naufragio (Wreck Bay). (Cortesia del sito galapagos.to)
La petroliera "Jessica" incagliata nell'Arrecife Schiavoni nel gennaio 2001 (Foto: La Repubblica).
  
Dalla pubblicazione "Sailing Directions (Enroute) - West Coast of South America" (National Geospatial-Intelligence Agency, Bethesda, 2010) veniamo a sapere che la baia «...è compresa tra Punta Lido (...) e Punta Malamocco, circa 0,8 miglia oltre».
Quindi Punta Lido e Punta Malamocco esistono tutt'ora con questo nome (anche se il portolano inglese aveva "rubato" una «C» a Punta Malamocco facendola diventare «Punta Malamoco»).
E come Punta Malamoco (con una «C» sola), la troviamo elencata nel registro internazionale dei fari (numero G3103, nel registro del National Geospatiale-Intelligence Agency numero 334 ed in quello dell'Amateur Radio Lighthouse Society ARLHS GAL 012): il faro di Punta Malamocco consiste in una torre metallica bianca che emette lampi di luce bianca in un periodo di 10 secondi (flash di 0,2 secondi, buio per 9,8 secondi) con una visibilità fino a 18 miglia.
Anche sopra Punta Lido oggi si trova un faro che porta questo nome: consiste in una lanterna elettrica montata su una struttura cilindrica in cemento armato dipinta di rosso, bianco e rosso con un portata di 9,2 miglia; di notte emette lampi di luce bianca con un periodo di 10 secondi (durata del flash 1,5 secondi) e serve all'ingresso della baia. Il numero internazionale assegnato al faro di Punta Lido è G3101, nel registro del N.G.A. il numero 328 e nel registro ARLHS porta la sigla ARLHS GAL 011.
 
Il faro di Punta Lido.
 
Il «banco degli Schiavoni» veniva descritto dagli ufficiali della Vettor Pisani come una scogliera pericolosa per chi volesse entrare nella baia: «...da qualunque parte si venga, bisogna andare vicino allo scoglio Darlympe, che ha intorno a sé fondo a picco, e poi governare sulla congiungente di esso (...) col porto; così si schiva il frangente che è sulla dritta entrando, e che è troppo immerso per essere visto bene.»
Sono praticamente le stesse istruzioni che sono date ancora oggi ai naviganti che vogliono entrare nella baia del Naufragio (Puerto Baquerizo Moreno): «Occorre prestare attenzione quando ci si avvicina alla baia (del Naufragio - N.d.T.) soprattutto da Ovest. Da una posizione di circa 0,5 miglia a Sud dello scoglio Dalrymple, seguire una rotta di 165°, quando lo scoglio scade di poppa assumere una rotta di 345°. A circa 0,3 miglia a Ovest di Punta Lido, quando il faro in testa della baia si trova a 165°, cambiare la rotta a 165° e procedere per l'ancoraggio (...) L'Arrecife Schiavoni, con una profondità minima di 0,3 metri, si trova all'ingresso (della baia - N.d.T.) ed aiuta a proteggerla dal maltempo da Nord-Ovest. (...) L'Arrecife Schiavoni e le scogliere vicine non sono visibili in una giornata luminosa con il mare calmo se non per il colore dell'acqua più chiaro sopra di essi.» (Tradotto da "Sailing Directions (Enroute) - West Coast of South America" - 2010).
Il 16 gennaio 2001 non seguì di certo queste raccomandazioni il capitano Tarquino Arévalo Escandón della petroliera Jessica della società Acotramar che, proveniente da Guayaquil carica di 730 mila litri di gasolio e 360 mila litri di carburante marino, si incagliò proprio sull'Arrecife Schiavoni.
La nave si inclinò e cominciò la fuoriuscita del carico.
L'incidente provocò una catastrofe ambientale che interessò soprattutto le isole sud orientali dell'arcipelago destando la preoccupata attenzione del mondo intero.
 
L'autore ha cercato di rintracciare i detentori delle immagini. E' disponibile a citare tutti coloro che non è riuscito a contattare.
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Lido, Malamocco,
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Pagina aggiornata il 27 aprile 2012