Viaggio effettuato nel dicembre 1982 - gennaio 1983
Comincia
già sull'altopiano il mostro trekking.
Lasciata la macchina, inizia il nostro trekking.
La pista prosegue per un po' su un altopiano roccioso di arenaria primaria
relativamente piatto, ricoperto di macchie di bassi cespugli ricchi di spine
e arsi dalla calura.
Siamo a circa 450 metri sul livello del mare, su quella che è chiamata Falaise
de Bandiagara.
Attraversiamo
zone rocciose...
...ma
anche zone piatte mentre Lorena tiene stretto il panettone per
festeggiare il nuovo anno.
Arriviamo fino quasi al limite
della falesia, il sentiero si fa stretto e cominciamo a scendere lungo un
dirupo impressionante di 2 o 300 metri che si affaccia sulla pianura di
Seno che intravediamo tra una roccia e l'altra. La discesa non è molto difficile e forse questo è il motivo per cui mi
tradisco: posato un piede su di un sasso, questo, che non era saldo,
rotola via sotto il mio peso e sento una forte fitta alla caviglia. Si
tratta evidentemente di una slogatura, speriamo leggera, perché siamo
proprio all'inizio del nostro trekking.
Si
scende lungo una gola versa la pianura di Seno
Continuando a scendere arriviamo alla pianura: alle nostre spalle c'è la
falesia a strapiombo, davanti a noi il primo villaggio dogon: Kani Kombole,
uno dei più meridionali.
Ma chi sono i Dogon?
Il loro nome è indissolubilmente legato a due personaggi, uno proveniente
dal mondo scientifico ed accademico, il francese Marcel Griaule
(1898-1956), l'altro un cacciatore cieco di etnia Dogon, Ogotemmeli (morto
il 29 luglio 1947).
Marcel
Griaule.
Ogotemmeli.
Marcel Griaule conobbe i Dogon nel
1931, nel corso della missione Dakar-Djibouti che attraversava anche la
falesia di Bandiagara. Da quel momento Griaule condusse una lunga serie di
studi che si interruppe nel 1939 con lo scoppio della guerra.
Le ricerche ripresero nel 1946: più che altro dovevano confermare gli
studi già compiuti da Griaule e dai suo collaboratori ed invece
l'incontro con il vecchio cacciatore cieco, Ogotemmeli, pur confermando i
risultati fino ad allora ottenuti, costrinsero Griaule a vedere il mondo e
la cultura dogon da un nuovo punto di vista: dare risalto al mito ed alla
cosmologia, al simbolismo, alla natura divina della parola.
Questo primo nuovo ed originale approccio si concretizzò nel libro di
Griaule "Dieu d'eau" (Dio d'acqua): altri studi, altri
approfondimenti dovevano seguire ma Marcel Griaule non poté farli,
morendo nel 1956.
Ma sul binomio Dogon-Griaule, come anche dell'inserimento della falesia di
Bandiagara nel Patrimonio Mondiale dell'Umanità dell'Unesco, si ha modo
di tornare più avanti,
soprattutto per fare delle considerazioni e sollevare delle perplessità.
L'origine dei Dogon non è del tutto chiarita. Secondo la generale
tradizione essi abitavano nel Mandé, regione che non è mai stata
localizzata con precisione, ed arrivarono qui per sfuggire al dilagare
dell'Islam probabilmente tra il XV ed il XVI secolo. Ma la falesia non era disabitata: era occupata dai Tellem, una popolazione
sulla quale abbiamo scarsissime notizie certe. Non è neppure sicuro se
fossero cacciatori pigmei e se fosse attribuito a loro l'appellativo di
"piccolo popolo rosso" e non piuttosto ad una precedente e più
antica popolazione.
In generale i Dogon hanno posto le loro abitazioni in basso, a ridosso
della falesia, per non sprecare terra arabile per le loro povere
coltivazioni in quanto spesso utilizzano persino i sottili strati di terra
che si sono depositati sopra quelli rocciosi.
Sulle pareti e negli anfratti del dirupo sovrastante ci sono piccole
grotte e piccole costruzioni di fango, una volta utilizzate dai Tellem
come abitazioni oppure forse anche come luogo di sepoltura.
Oggi sono i Dogon ad usarli: il morto viene fatto calare con delle corde
dall'alto della roccia fin dentro la tomba.
A
Kani Kombole incontro fra due fumatori di pipa con scambio dei
rispettivi tabacchi.
Kani Kombole
è il primo
villaggio che incontriamo e non si trova propriamente contro la parete. Si
trova all'estremità sud della falesia e dovrebbe essere uno dei primi
insediamenti Dogon in questa regione, se è vero che la loro migrazione
avvenne da sud-est verso nord-ovest.
Da qui ha inizio anche la pista carrabile di Bankass che prosegue poi
verso l'Alto Volta.
Non è comunque il luogo dove vogliamo fermarci per accamparci, ma
costituisce il nostro primo contatto con un villaggio dogon.
Tutti, a cominciare dai ragazzini, ci vengono incontro amichevoli e
sorridenti. Non credo che vedano tutti i giorni dei visitatori venuti da
lontano.
Noto un anziano con una pipa in bocca. Mi avvicino, tiro fuori la mia pipa
e gliela mostro, facendogli capire a gesti che anche io fumo la pipa. Poi
gli mostro anche il mio tabacco e glielo offro e lui da un sacchetto di
pelle mi porge il suo tabacco.
Così ci carichiamo le pipe, con grandi sorrisi ed ampi gesti di inchino
dal momento che a parole non riusciamo a comunicare. Il suo tabacco è
veramente pessimo, ma non lo do a vedere; d'altronde forse anche lui
potrebbe aver trovato disgustoso il mio trinciato di aroma inglese.
Degli uomini sono al lavoro per costruire un granaio.
Il granaio fu uno di quegli elementi materiali di cui si servì Ogotemmeli
per spiegare a Griaule il sistema del mondo ed il suo funzionamento
secondo la loro cultura.
Un
tipico granaio dei Dogon a Kani Kombole.
A
Kani Kombole un granaio in costruzione ci svela la concezione
del mondo secondo i Dogon.
Non possiamo qui descrivere
dettagliatamente la cosmogonia dei Dogon (per questo esistono
libri
scritti da seri ricercatori), ma un cenno può essere utile perché il loro
credo si riflette nel più banale oggetto di uso domestico, come abbiamo
visto anche per la tessitura,
e cerca di dare una spiegazione ad ogni fatto della vita.
Tutto comincia con un dio supremo, Amma, che crea la terra: dopo una prima
unione difettosa tra dio e la terra, a causa di un errore di dio che
produsse il primo disordine nell'universo, nasce, invece dei gemelli
previsti, lo Sciacallo, simbolo del disagio di dio. Dopo ulteriori
rapporti tra Amma e la terra nascono i due gemelli, i Nommo, coppia
maschio e femmina, ma anche essere unico, incarnazione omogenea di dio.
I Nommo sono anche la forza vitale del mondo, identificata nell'acqua. I
Nommo proseguono nella creazione della terra: il racconto del vecchio
cacciatore cieco si fa sempre più interessante, prendendo in considerazione
anche lo Sciacallo (nato dalla prima unione fra Amma e la terra), la bisessualità
(ogni essere umano è provvisto di due principi corrispondenti a due persone
distinte all'interno di ognuno: nell'uomo l'anima femminile s'insediò nel prepuzio,
nella donna l'anima maschile fu portata nel clitoride), la circoncisione.
I Nommo divennero la coppia rigeneratrice che poté proseguire l'opera di
Amma, con il suo consenso: generò otto Antenati primordiali i quali si
rimpicciolirono raggiungendo lo stato dell'acqua per mezzo della parola
che penetrava in loro. Il Settimo Antenato ricevette la conoscenza perfetta di un verbo destinato
agli uomini per portarli al progresso. Fino ad allora gli uomini abitavano
in tane scavate orizzontalmente nel suolo: per mezzo della parola impararono
a costruire case, camere per ammassarvi le provviste, staccionate per
riparare le case dall'assalto degli animali feroci.
L'uomo imparò dalla parola degli Antenati a costruire un cesto
intrecciato, con l'apertura circolare ed il fondo quadrato, come quelli
che i Dogon costruiscono ancora oggi: l'apertura circolare rappresentava
il sole, la base quadrata il cielo.
Questo cesto servì da modello per
costruire il granaio: nella ideologia dei Dogon il granaio rappresenta il
sistema del mondo: quattro compartimenti inferiori e sopra altri quattro.
Ogni compartimento avrebbe dovuto accogliere le otto specie di semi che
dio aveva dato agli Atenati. Ma "otto" era anche il numero degli
organi principali del Genio (e dell'uomo) con l'aggiunta del ventriglio;
nell'ordine: stomaco, ventriglio, cuore, piccolo fegato, milza, intestino,
grande fegato, vescicola biliare.
Al centro è posto un vaso, destinato ai semi o agli oggetti preziosi,
che simboleggia l'utero; sulla bocca del vaso è poggiato un vaso più
piccolo, contenente olio, che rappresenta il feto. Anche quest'ultimo
vaso ha l'apertura chiusa da un altro più piccolo vaso contenente
profumo o aromi simbolo dell'igiene.
Il vaso con il profumo viene chiuso con un doppio tappo, a forma di
ghianda, che ricorda la gemellarità.
Tutto il granaio è tenuto insieme dalle pareti e dai tramezzi interni che
dividono i vari compartimenti: essi simboleggiano lo scheletro.
I quattro sostegni agli angoli sono le quattro membra. Così tutto il
granaio è simbolicamente una donna sdraiata sul dorso (il sole) con le
gambe e le braccia alzate a sorreggere il tetto (il cielo).
Il granaio contiene gli organi interni che ricevono un nutrimento che non
è solo simbolico, ma anche reale, custodendo i vari tipi di semi.
Ma viene anche rappresentata la funzione dei vari organi: dal primo e
secondo compartimento (stomaco e ventriglio) il nutrimento passa al sesto
(intestino) e da lì raggiunge gli altri sotto forma di sangue e di
soffio che termina nel fegato e nella vescicola biliare. Questo soffio è
un vapore, un'acqua che porta ed è principio di vita.
Non è completo il granaio che vediamo; lo stanno ancora costruendo. Ma
proprio per questo possiamo scorgere come vengono innalzate le strutture
interne, molto simili a quelle che Ogotemmeli aveva raccontato e mostrato
a Griaule nel 1946.
A
Kano Kombole l'interno del granaio in costruzione ci rivela la
cosmogonia dei Dogon.
Possenti
e spettrali alberi di baobab.
La gente cordiale di Kani Kombole si informa sul dove siamo diretti e noi ne
approfittiamo per avere notizie di prima mano sul percorso che andiamo a
fare.
Data l'ora, ci piacerebbe cominciare il nostro trekking a ridosso della
falesia per accamparci, magari, a Teli.
Si
comincia a camminare sulla pianura tenendo a sinistra la
falesia.
Ci sono dei ragazzini che si
offrono di fare i portatori per i nostri bagagli fino a Teli. Il percorso
non è lungo, ma decidiamo di affidare loro il nostro bagaglio collettivo,
come la cassa cucina ed i borraccioni pieni d'acqua.
C'è anche chi si prende il portatore personale, come Nelco che ne ha due:
uno per il bagaglio, l'altro per la borsa fotografica. C'è un ordine
perentorio: il ragazzino con la borsa fotografica deve sempre stare a fianco
di Nelco, in modo che possa disporre della macchina fotografica con
rapidità, nel momento in cui vuole fare uno scatto! E' una scena che mi
ricorda troppo la fotografia che mostra Leni Riefenstahl in Sudan con il
portatore nuba che le regge la borsa fotografica!
La pista si sviluppa sulla pianura di Seno, un terreno di terra giallastra
con degli alberi tra cui, maestosi e quasi un po' spettrali, i giganteschi
baobab, l'albero contro il quale, secondo una leggenda, Dio si adirò,
strappò dal suolo per conficcarlo all'incontrario: infatti i rami contorti
ed apparentemente senza foglie danno l'impressione di essere le radici e si
può immaginare che l'albero sia messo all'incontrario, con la chioma
nascosta sotto terra e le radici in aria.
Molti baobab hanno il tronco scorticato alla base: infatti la corteccia
viene staccata per ricavarne fibre utili per fare corde.
Si leva qualche folata d'aria ed immediatamente si sollevano mulinelli di
polvere finissima. In certi momenti siamo noi stessi a trovarci immersi
nella polvere, che ci penetra addosso dappertutto.
Si
leva il vento e siamo immersi in una nuvola di sabbia finissima
e polvere rossa.
Al nostro arrivo a Teli ci presentiamo al capo villaggio.