Trekking tra i Dogon e navigazione sul Niger

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Bamako
(arrivo)
Da Bamako a Mopti Bandiagara, Kani Kombole
(trekking)
Teli, Enndé, Guimini
Yawa, Dourou (trekking)
Sokolo, Djenné
da Nombori a Banani
(trekking)
Da Banani a Sanga
(trekking)
Da Mopti a Kabara
(navigazione)
Timbuctù Da Timbuctù a Mopti
Bamako, Dakkar (ritorno)
 
  
Viaggio effettuato nel dicembre 1982 - gennaio 1983
 
   
Comincia già sull'altopiano il mostro trekking.
 
Lasciata la macchina, inizia il nostro trekking.
La pista prosegue per un po' su un altopiano roccioso di arenaria primaria relativamente piatto, ricoperto di macchie di bassi cespugli ricchi di spine e arsi dalla calura.
Siamo a circa 450 metri sul livello del mare, su quella che è chiamata Falaise de Bandiagara.
 
Attraversiamo zone rocciose...
 
...ma anche zone piatte mentre Lorena tiene stretto il panettone per festeggiare il nuovo anno.
Arriviamo fino quasi al limite della falesia, il sentiero si fa stretto e cominciamo a scendere lungo un dirupo impressionante di 2 o 300 metri che si affaccia sulla pianura di Seno che intravediamo tra una roccia e l'altra.
La discesa non è molto difficile e forse questo è il motivo per cui mi tradisco: posato un piede su di un sasso, questo, che non era saldo, rotola via sotto il mio peso e sento una forte fitta alla caviglia. Si tratta evidentemente di una slogatura, speriamo leggera, perché siamo proprio all'inizio del nostro trekking.
 
Si scende lungo una gola versa la pianura di Seno 
 
Continuando a scendere arriviamo alla pianura: alle nostre spalle c'è la falesia a strapiombo, davanti a noi il primo villaggio dogon: Kani Kombole, uno dei più meridionali.
Ma chi sono i Dogon?
Il loro nome è indissolubilmente legato a due personaggi, uno proveniente dal mondo scientifico ed accademico, il francese Marcel Griaule (1898-1956), l'altro un cacciatore cieco di etnia Dogon, Ogotemmeli (morto il 29 luglio 1947).
Marcel Griaule. Ogotemmeli.
Marcel Griaule conobbe i Dogon nel 1931, nel corso della missione Dakar-Djibouti che attraversava anche la falesia di Bandiagara. Da quel momento Griaule condusse una lunga serie di studi che si interruppe nel 1939 con lo scoppio della guerra.
Le ricerche ripresero nel 1946: più che altro dovevano confermare gli studi già compiuti da Griaule e dai suo collaboratori ed invece l'incontro con il vecchio cacciatore cieco, Ogotemmeli, pur confermando i risultati fino ad allora ottenuti, costrinsero Griaule a vedere il mondo e la cultura dogon da un nuovo punto di vista: dare risalto al mito ed alla cosmologia, al simbolismo, alla natura divina della parola.
Questo primo nuovo ed originale approccio si concretizzò nel libro di Griaule "Dieu d'eau" (Dio d'acqua): altri studi, altri approfondimenti dovevano seguire ma Marcel Griaule non poté farli, morendo nel 1956.
Ma sul binomio Dogon-Griaule, come anche dell'inserimento della falesia di Bandiagara nel Patrimonio Mondiale dell'Umanità dell'Unesco, si ha modo di tornare più avanti, soprattutto per fare delle considerazioni e sollevare delle perplessità.
L'origine dei Dogon non è del tutto chiarita. Secondo la generale tradizione essi abitavano nel Mandé, regione che non è mai stata localizzata con precisione, ed arrivarono qui per sfuggire al dilagare dell'Islam probabilmente tra il XV ed il XVI secolo.
Ma la falesia non era disabitata: era occupata dai Tellem, una popolazione sulla quale abbiamo scarsissime notizie certe. Non è neppure sicuro se fossero cacciatori pigmei e se fosse attribuito a loro l'appellativo di "piccolo popolo rosso" e non piuttosto ad una precedente e più antica popolazione.
In generale i Dogon hanno posto le loro abitazioni in basso, a ridosso della falesia, per non sprecare terra arabile per le loro povere coltivazioni in quanto spesso utilizzano persino i sottili strati di terra che si sono depositati sopra quelli rocciosi.
Sulle pareti e negli anfratti del dirupo sovrastante ci sono piccole grotte e piccole costruzioni di fango, una volta utilizzate dai Tellem come abitazioni oppure forse anche come luogo di sepoltura.
Oggi sono i Dogon ad usarli: il morto viene fatto calare con delle corde dall'alto della roccia fin dentro la tomba.
A Kani Kombole incontro fra due fumatori di pipa con scambio dei rispettivi tabacchi.
Kani Kombole è il primo villaggio che incontriamo e non si trova propriamente contro la parete. Si trova all'estremità sud della falesia e dovrebbe essere uno dei primi insediamenti Dogon in questa regione, se è vero che la loro migrazione avvenne da sud-est verso nord-ovest.
Da qui ha inizio anche la pista carrabile di Bankass che prosegue poi verso l'Alto Volta.
Non è comunque il luogo dove vogliamo fermarci per accamparci, ma costituisce il nostro primo contatto con un villaggio dogon.
Tutti, a cominciare dai ragazzini, ci vengono incontro amichevoli e sorridenti. Non credo che vedano tutti i giorni dei visitatori venuti da lontano.
Noto un anziano con una pipa in bocca. Mi avvicino, tiro fuori la mia pipa e gliela mostro, facendogli capire a gesti che anche io fumo la pipa. Poi gli mostro anche il mio tabacco e glielo offro e lui da un sacchetto di pelle mi porge il suo tabacco.
Così ci carichiamo le pipe, con grandi sorrisi ed ampi gesti di inchino dal momento che a parole non riusciamo a comunicare. Il suo tabacco è veramente pessimo, ma non lo do a vedere; d'altronde forse anche lui potrebbe aver trovato disgustoso il mio trinciato di aroma inglese.
Degli uomini sono al lavoro per costruire un granaio.
Il granaio fu uno di quegli elementi materiali di cui si servì Ogotemmeli per spiegare a Griaule il sistema del mondo ed il suo funzionamento secondo la loro cultura.
Un tipico granaio dei Dogon a Kani Kombole.
 
A Kani Kombole un granaio in costruzione ci svela la concezione del mondo secondo i Dogon.
 
Non possiamo qui descrivere dettagliatamente la cosmogonia dei Dogon (per questo esistono libri scritti da seri ricercatori), ma un cenno può essere utile perché il loro credo si riflette nel più banale oggetto di uso domestico, come abbiamo visto anche per la tessitura, e cerca di dare una spiegazione ad ogni fatto della vita.
Tutto comincia con un dio supremo, Amma, che crea la terra: dopo una prima unione difettosa tra dio e la terra, a causa di un errore di dio che produsse il primo disordine nell'universo, nasce, invece dei gemelli previsti, lo Sciacallo, simbolo del disagio di dio. Dopo ulteriori rapporti tra Amma e la terra nascono i due gemelli, i Nommo, coppia maschio e femmina, ma anche essere unico, incarnazione omogenea di dio.
I Nommo sono anche la forza vitale del mondo, identificata nell'acqua. I Nommo proseguono nella creazione della terra: il racconto del vecchio cacciatore cieco si fa sempre più interessante, prendendo in considerazione anche lo Sciacallo (nato dalla prima unione fra Amma e la terra), la bisessualità (ogni essere umano è provvisto di due principi corrispondenti a due persone distinte all'interno di ognuno: nell'uomo l'anima femminile s'insediò nel prepuzio, nella donna l'anima maschile fu portata nel clitoride), la circoncisione.
I Nommo divennero la coppia rigeneratrice che poté proseguire l'opera di Amma, con il suo consenso: generò otto Antenati primordiali i quali si rimpicciolirono raggiungendo lo stato dell'acqua per mezzo della parola che penetrava in loro.
Il Settimo Antenato ricevette la conoscenza perfetta di un verbo destinato agli uomini per portarli al progresso. Fino ad allora gli uomini abitavano in tane scavate orizzontalmente nel suolo: per mezzo della parola impararono a costruire case, camere per ammassarvi le provviste, staccionate per riparare le case dall'assalto degli animali feroci.
L'uomo imparò dalla parola degli Antenati a costruire un cesto intrecciato, con l'apertura circolare ed il fondo quadrato, come quelli che i Dogon costruiscono ancora oggi: l'apertura circolare rappresentava il sole, la base quadrata il cielo.
Questo cesto servì da modello per costruire il granaio: nella ideologia dei Dogon il granaio rappresenta il sistema del mondo: quattro compartimenti inferiori e sopra altri quattro. Ogni compartimento avrebbe dovuto accogliere le otto specie di semi che dio aveva dato agli Atenati. Ma "otto" era anche il numero degli organi principali del Genio (e dell'uomo) con l'aggiunta del ventriglio; nell'ordine: stomaco, ventriglio, cuore, piccolo fegato, milza, intestino, grande fegato, vescicola biliare.
Al centro è posto un vaso, destinato ai semi o agli oggetti preziosi, che simboleggia l'utero; sulla bocca del vaso è poggiato un vaso più piccolo, contenente olio, che rappresenta il feto. Anche quest'ultimo vaso ha l'apertura chiusa da un altro più piccolo vaso contenente profumo o aromi simbolo dell'igiene.
Il vaso con il profumo viene chiuso con un doppio tappo, a forma di ghianda, che ricorda la gemellarità.
Tutto il granaio è tenuto insieme dalle pareti e dai tramezzi interni che dividono i vari compartimenti: essi simboleggiano lo scheletro.
I quattro sostegni agli angoli sono le quattro membra. Così tutto il granaio è simbolicamente una donna sdraiata sul dorso (il sole) con le gambe e le braccia alzate a sorreggere il tetto (il cielo).
Il granaio contiene gli organi interni che ricevono un nutrimento che non è solo simbolico, ma anche reale, custodendo i vari tipi di semi.
Ma viene anche rappresentata la funzione dei vari organi: dal primo e secondo compartimento (stomaco e ventriglio) il nutrimento passa al sesto (intestino) e da lì raggiunge gli altri sotto forma di sangue e di soffio che termina nel fegato e nella vescicola biliare. Questo soffio è un vapore, un'acqua che porta ed è principio di vita.
Non è completo il granaio che vediamo; lo stanno ancora costruendo. Ma proprio per questo possiamo scorgere come vengono innalzate le strutture interne, molto simili a quelle che Ogotemmeli aveva raccontato e mostrato a Griaule nel 1946.
 
A Kano Kombole l'interno del granaio in costruzione ci rivela la cosmogonia dei Dogon.
Possenti e spettrali alberi di baobab.
La gente cordiale di Kani Kombole si informa sul dove siamo diretti e noi ne approfittiamo per avere notizie di prima mano sul percorso che andiamo a fare.
Data l'ora, ci piacerebbe cominciare il nostro trekking a ridosso della falesia per accamparci, magari, a Teli.
 
Si comincia a camminare sulla pianura tenendo a sinistra la falesia.
 
Ci sono dei ragazzini che si offrono di fare i portatori per i nostri bagagli fino a Teli. Il percorso non è lungo, ma decidiamo di affidare loro il nostro bagaglio collettivo, come la cassa cucina ed i borraccioni pieni d'acqua.
C'è anche chi si prende il portatore personale, come Nelco che ne ha due: uno per il bagaglio, l'altro per la borsa fotografica. C'è un ordine perentorio: il ragazzino con la borsa fotografica deve sempre stare a fianco di Nelco, in modo che possa disporre della macchina fotografica con rapidità, nel momento in cui vuole fare uno scatto! E' una scena che mi ricorda troppo la fotografia che mostra Leni Riefenstahl in Sudan con il portatore nuba che le regge la borsa fotografica!
La pista si sviluppa sulla pianura di Seno, un terreno di terra giallastra con degli alberi tra cui, maestosi e quasi un po' spettrali, i giganteschi baobab, l'albero contro il quale, secondo una leggenda, Dio si adirò, strappò dal suolo per conficcarlo all'incontrario: infatti i rami contorti ed apparentemente senza foglie danno l'impressione di essere le radici e si può immaginare che l'albero sia messo all'incontrario, con la chioma nascosta sotto terra e le radici in aria.
Molti baobab hanno il tronco scorticato alla base: infatti la corteccia viene staccata per ricavarne fibre utili per fare corde.
Si leva qualche folata d'aria ed immediatamente si sollevano mulinelli di polvere finissima. In certi momenti siamo noi stessi a trovarci immersi nella polvere, che ci penetra addosso dappertutto.
 
Si leva il vento e siamo immersi in una nuvola di sabbia finissima e polvere rossa.
 
Al nostro arrivo a Teli ci presentiamo al capo villaggio.
 
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Pagina aggiornata il 19 novembre 2017. Io ho fatto molti importanti viaggi con Avventure nel Mondo