Viaggio effettuato nel dicembre 1982 - gennaio 1983
Scorci
architettonici a Niafounké.
E' quasi mezzogiorno e dobbiamo pensare di raggiungere Kabara, il vicino
porto sul Niger di Timbuctù. Infatti noi al momento non abbiamo ancora un mezzo con cui tornare a Mopti.
Arriviamo con un camioncino, carichi dei nostri bagagli. Il porto è animato
di piroghe, pinasses ed altre barche. C'è un gran lavoro nello
scaricare imbarcazioni e caricarne altre.
Chiedendo in giro troviamo subito un passaggio su una pinasse che ha appena
completato il carico; l'equipaggio sta mangiando e si muoverà alla volta di
Mopti subito dopo aver finito. Così anche noi ne approfittiamo per mangiare
qualcosa, dopo aver sistemato borse e zaini a bordo.
Si parte a mezzogiorno e mezzo, sotto un sole che picchia feroce:
fortunatamente la pinasse è coperta, quindi siamo all'ombra, anche
se qualcuna del gruppo ha scoperto che ci si può stendere sul tetto della
barca per prendere il sole!
La navigazione continua monotona e tranquilla tra i paesaggi che avevamo
già visto ieri mentre il Niger lambisce le dune del deserto.
Ripassiamo davanti a Danga,
ma questa volta senza fermarci; si procede anche dopo che è calato il sole.
Alla mattina entriamo in quel ramo del Niger che incuneandosi tra i cordoni
di dune prende il nome tuareg di Issa Ber, sul bordo settentrionale del
delta interno.
Arriviamo a Niafounké, dove la pinasse compie una sosta.
Niafounké ci appare come un villaggio relativamente grande con molte
costruzioni in argilla cruda che è quasi dello stesso colore del deserto
alle sue spalle il deserto qui viene chiamato Erg di Niafounké.
Un
edificio ad Akka.
Da lontano le case sembrano dei parallelepipedi
di sabbia costruiti su una duna di sabbia. Sabbia che arriva fino alle
abitazioni, che si insinua nelle vie, portata dal vento.
Il
vento porta la sabbia del deserto a Niafounké.
E' un villaggio abitato da Peul sedentari. Al nostro arrivo sembra che
l'intero villaggio sia lì ad spettarci, tutta la gente è ammassata alla
passerella di legno quasi impedendoci di scendere.
Vediamo quella che dovrebbe essere un'officina meccanica con delle Land Rover parcheggiate
fuori: per scrupolo chiediamo informazioni sulla pista diretta per Mopti,
via Saraféré e Korientzé, ma ci rispondono che è un tragitto troppo
difficile e rischioso. Concludiamo che abbiamo fatto bene ad affidarci
alla pinasse anche per il ritorno.
Tornati al porto fluviale troviamo ad attenderci alcune donne che
ci mostrano tessuti di cotone dai colori molto vivaci e coperte di lana,
molto grezza, forse di capra; le decorazioni di queste coperte sono
islamizzate: infatti il motivo decorativo è rappresentato dalla stilizzazione,
ripetuta più volte per ogni striscia di tessuto, di una moschea.
Si riparte. Come all'andata, anche questo pilota è molto attento a
dirigere la barca per non arenarla nei fondali bassi, dai quali emergono
tratti di dune di sabbia.
Alla sera siamo già ad Akka; durante il viaggio di andata vi eravamo
transitati quando era notte; questa volta ci fermiamo per trascorrere la
notte, naturalmente a bordo, ormeggiati.
Domani ci aspetta infatti l'attraversamento del lago Débo.
Alla mattina, prima di ripartire, scendiamo a terra.
Akka è un villaggio di pescatori e di allevatori di bestiame. Anche qui
tutto è costruito in banco grigio ed è incredibile vedere la
plasticità che riescono ad ottenere sui loro edifici con questo materiale
povero. La moschea, ad esempio, richiama sorprendentemente quella di Mopti.
Il
Palazzo Presidenziale a Dakar.
La sosta è necessariamente breve,
così verso le otto della mattina cominciamo a fare il nostro ingresso nel
lago Débo.
Ad un tratto uno dei barcaioli attira la nostra attenzione indicandoci
qualcosa in mezzo all'acqua: è un gruppo di ippopotami, qualcuno più
discosto, gli altri più vicini. Probabilmente stanno attraversando il
lago che in quel punto non è ancora così largo, oppure stanno riposando su
un banco di sabbia.
Ippopotami
nel lago Débo.
Incredibilmente alle 11.30 stiamo già uscendo dal lago. All'andata
avevamo impiegato molto più tempo, ma avevamo un forte vento contrario che
ostacolava la navigazione.
Prepariamo l'ultimo pranzo a bordo: è un festival di avanzi! Infatti
abbiamo fatto un censimento di quello che ci era restato e mettiamo dentro
tutto, con arditi accostamenti, per un risotto che sicuramente non faremo
mai più così in vita nostra!
La navigazione appare interminabile, soprattutto ora che sentiamo di
essere giunti alla fine del nostro viaggio. Finalmente alle 11 di sera
sbarchiamo nel porto di Mopti. Nonostante l'ora, passiamo per il
"Restaurant Bozo", sulla solita terrazza con vista notturna sul
Niger, per il solito ultimo eccellente capitaines, poi raggiungiamo
la missione cattolica dove ritroviamo quella parte dei bagagli che avevamo
lasciato e piombiamo in un sonno ristoratore.
Il nostro viaggio è finito. In realtà era già terminato con il nostro
arrivo a Timbuctù, ma c'è ancora tutto il ritorno da fare. Un lungo
trasferimento senza storia.
Ci siamo dati la sveglia alle cinque: oggi ci aspetta il viaggio per
rientrare a Bamako.
Partiamo alle sei e mezza, a San facciamo una sosta di mezz'ora poi, prima
di giungere a Segou, incrociamo un piccolo autobus di linea in panne. I
passeggeri sono tutti scesi mentre gli autisti stanno guardando attorno ad
una ruota. I nostri autisti si fermano e cercano di dare un aiuto: si
tratta di sollevare l'autobus per cambiare la ruota. I nostri hanno
qualche attrezzo e un po' alla volta riescono a sollevare il mezzo. E'
quello che bastava: gli altri autisti non hanno problemi per cambiare la
ruota, mancava loro solo un martinetto per sollevare l'autobus che ora è
tenuto in quella posizione da un mucchio di grosse pietre.
Tutti, passeggeri compresi, ci ringraziano mentre noi ripartiamo per Segou
dove siamo a mezzogiorno e mezzo. Una sosta per mangiare qualcosa ed
all'una e un quarto siamo nuovamente in strada.
Ad una ventina di chilometri da Bamako veniamo fermati dalla polizia: ci
contestano che abbiamo troppi bagagli sul bagagliaio su tetto della
macchina. Secondo la polizia il bagaglio non deve superare in altezza i
bordi del portabagagli; nonostante le sponde siano abbastanza alte,
certamente i nostri zaini sono più alti, ma sono tutti saldamente legati.
I poliziotti non vogliono sentire ragioni. Gli autisti ci fanno capire che
quella dei poliziotti è tutta una sceneggiata: vogliono una mancia per
lasciarci passare e così con una cifra ridicola per noi, ma sostanziosa
per i poliziotti, possiamo proseguire senza problemi.
Giungiamo a Bamako quando sono quasi le cinque di sera.
Troviamo il signor De Weerd a casa in piscina. Saremo suoi ospiti per la
cena e trascorreremo la notte nella veranda che già conosciamo nei nostri sacchi a pelo.
Il giorno dopo abbiamo ancora qualche ora per lo shopping al mercato di
Bamako, poi prepariamo i bagagli ed i signori De Weerd ci accompagnano
all'aeroporto.
Ci sono brutte notizie: a causa di una tempesta di sabbia e mancanza di
visibilità, l'aereo che dovremo prendere non può atterrare a Bamako e
sarà dirottato in un altro aeroporto.
Pare non ci siano voli alternativi disponibili.
Si torna a casa dai signori De Weerd. Il signor De Weerd si mette al
telefono ed esordisce all'incirca così: «Pronto, sono De Weerd, delle
Nazioni Unite...». Immediatamente trovano per noi i posti su un volo
alle otto di sera!
Nonostante l'autorità indiscussa delle Nazioni Unite, alla sera il volo
non c'è perché non è arrivato l'aereo per il perdurare della tempesta
di sabbia. Veniamo così trasbordati a spese di Air Afrique nel lussuoso Hôtel
de l'Amitié di Bamako che, sul lato destro del Niger, domina dall'alto,
con i suoi quattordici piani, il quartiere dei pescatori Bozo.
E' un complesso dove l'architettura moderna si accompagna a riferimenti di
cultura locale nella scelta dei materiali, legno, marmi, pelli, e degli
oggetti, tessuti, stuoie, sculture.
All'arrivo in albergo notiamo la presenza di un gran numero di automobili
da rally, camion attrezzati ad officina, motociclette ed altri mezzi: sono
quelli della Parigi-Dakar.
La mattina dopo, nella sala dove facciamo colazione, vediamo aggirarsi i
piloti nelle loro tute, meccanici ed accompagnatori. Ma siamo noi a
partire per primi con un pulmino dell'Air Afrique che ci conduce
all'aeroporto: il nostro volo RK109 c'è anche se è completamente fuori
orario: partiamo alle 11.40 per arrivare a Dakar alle 13.30.
Ovviamente saltano tutte le coincidenze che avevamo nel piano dei voli.
Così la compagnia aerea emette dei nuovi biglietti per il rerouting
su Bruxelles in sostituzione dell'originario instradamento su Parigi.
Dobbiamo attendere le undici di sera per il volo verso l'Europa.
Impieghiamo queste ore facendo un breve giro per il centro della città.
Non ne restiamo molto ben impressionati: forse è ancora troppo vicina
l'esperienza che abbiamo avuto con i dolcissimi Dogon, il loro interminabili
saluti quando ci si incontrava, la loro amabilità nell'accoglierci
nei loro villaggi. Forse è il mondo rurale che è diverso dal mondo di
città, in questo caso addirittura di una capitale. Fatto è che abbiamo
avuto l'impressione di incontrare persone quasi ostili quando non
assecondavamo i loro desideri. I venditori sono particolarmente
asfissianti nel vendere i loro oggetti e quando diciamo di no,
perché è troppo caro o perché non è di nostro interesse, dopo mille
insistenze diventano quasi aggressivi.
Nel nostro giro capitiamo davanti al Palazzo Presidenziale, una
prestigiosa costruzione immersa nel verde e circondata da un vasto parco.
Davanti al cancello principale fanno la guardia alcune sentinelle in una
colorata uniforme mentre sul prato passeggia indisturbato un gruppo
di gru coronate.
Una
gru coronata ospite del parco del Palazzo Presidenziale a
Dakar.
Ma ormai è giunto il momento di
rientrare all'aeroporto per il nostro volo notturno verso l'Europa.
E' il volo Sabena SN430 che decolla quando è ormai mezzanotte.
Dopo cinque ore e mezza il DC10 è a Bruxelles. Ormai ci sentiamo quasi a
casa.
Recuperiamo i bagagli e riusciamo a fare l'imbarco su un AZ1271 con
partenza prevista alle 11.05. Ma è il ritardo dei ritardi: il DC9 dell'Alitalia
parte con quasi un'ora di ritardo!
Siamo finalmente a Milano alle 13.