Il tabacco a Venezia

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Una licenza per prelevare a Bassano il tabacco da trasportare a Marostica il 28 ottobre 1768: il trasporto doveva essere effettuato entro due giorni.
La Repubblica di Venezia si prodigò lungamente ad evitare il contrabbando del tabacco.
La lotta al contrabbando avveniva principalmente operando rigorosi controlli su qualsiasi quantità di tabacco che circolasse per i territori della Repubblica, sia che fosse in transito, sia che venisse importato, sia che fosse prodotto nelle piantagioni autorizzate, per assoggettarlo ai tre dazi che esistevano, d'entrata, d'uscita e di transito, oltre all'imposta di consumo. Lo stesso Partitante Generale (colui che aveva preso in appalto il "Partito del Tabacco", cioè la ferma del dazio del tabacco) poteva importare tabacco solo a certe condizioni, da determinate località ed in precise quantità: solo in caso di necessità (naufragio della nave, ecc...) poteva ottenere particolari dispense.
Sempre comunque il tabacco introdotto a Venezia doveva esser pesato in dogana; così iniziava un verbale di pesatura: «A dì 2 ottobre 1694. Balle otto tabacco in foglia capitate in questa pubblica Dogana et pesate da M. Tomaso Scorzetti, pesator pubblico....» e seguivano le singole pesate, le detrazioni della tara, ecc.
Per essere trasportato all'interno del territorio veneziano, il tabacco doveva essere accompagnato dalla licenza dei dazieri o dalla bolletta d'uscita, sotto pena d'una multa di 100 ducati, di tre tratti di corda da essere inflitti subito ed il sequestro della merce. Quando poi il tabacco entrava in un'altra città della Repubblica Veneta, veniva redatta da parte del console del luogo, o d'altro pubblico ufficiale, un'altra fede giurata, con indicati «...il preciso numero, peso e qualità delle balle, colli, involti e fagotti de' tabacco», in modo che confrontando questo documento con gli altri che accompagnavano il carico, ne risultasse sempre la perfetta corrispondenza nel peso, quantità e qualità.
Una volta introdotto a Venezia il tabacco non poteva essere messo subito in vendita: «Tutti li tabacchi, che nell'avvenire saranno (...) introdotti o fatti introdurre in questa città, dovranno per gl'importanti e gelosi riguardi di salute esser sottoposti alle contumacie de' Lazzaretti...». Quando si era certi che la merce non portava il contagio e non vi erano pericoli di epidemie, veniva avviata nel pubblico fondaco, e qui veniva annotato il nome della persona cui era diretta. Il destinatario del tabacco poteva ritirarlo solo dopo aver effettuato il pagamento dell'imposta di consumo, che era fissata in 6 grossi per libbra (un grosso era la ventiquattresima parte del ducato). La metà di questa somma (cioè 3 grossi per ogni libbra) era destinata a pubblica beneficenza: nel 1704, ad esempio, veniva devoluta all'Ospedale della Pietà. Si può dire che il vizio del tabacco aveva anche una importante funzione sociale.
La pena contro i trasgressori era piuttosto forte; nel 1694 era confermato «...in pena a trasgressori de' Ducati 200 per cadauna volta, da esserle irremissibilmente levata, e altre ad arbitrio de' Eccellenze.» Chi avesse denunciato il trasgressore, avrebbe ricevuto metà della multa come ricompensa, ed il suo nome sarebbe restato segreto.
Ma non bastava: il contrabbando diveniva sempre più massiccio: nel 1706 venne approntata una «barca armata», con il solo compito di vigilare sul contrabbando del tabacco per mare.
    
   
Il contrabbando, se portava danno all'erario pubblico, danneggiava direttamente anche gli appaltatori (o "partitanti"): questi inviavano continue petizioni invocando misure repressive severe, denunciando le persone che intrattenevano il contrabbando ed offrendo taglie e ricompense a chi ne denunciava altre. Si lamentavano particolarmente delle popolazioni e delle autorità di alcune valli, accusandole di favorire i contrabbandieri.
Le loro richieste furono presto accolte in vari proclami pubblicati nel 1729 e negli anni successivi: chi avesse veduto un contrabbandiere doveva denunciarlo immediatamente suonando la campana a martello, e avrebbe ricevuto «...gli animali che fermassero con il tabacco» e 30 ducati di ricompensa da parte degli appaltatori: in caso contrario sarebbe stato accusato di complicità e gli sarebbe stata applicata la stessa pena riservata al contrabbandiere: questi subirà le «... più severe pene dalle leggi comminate di bando, priggione, corda, galera...». E ancora: «...e perché s'intende che il male principale derivi dalla scandalosa tolleranza delle Valli Trompia, Sabbia e Camonica, restano espressamente statuite pene più severe...» ed i capi delle valli, i consoli ed i reggenti dei paesi in quelle valli dovevano fare un rapporto giurato ogni due mesi, ed al minimo indizio di una loro connivenza sarebbero stati severamente puniti.
Oltre ad ordinare di «fermare li contrabbandieri vivi o morti in caso di resistenza», si invogliavano i militi a compiere il loro dovere, assegnando loro la ricompensa di 60 ducati per ogni contrabbandiere arrestato.
Infine venivano resi pubblici, attraverso proclami, i nomi dei contrabbandieri di tabacco recidivi ed abituali, con l'indicazione delle pene subite, perché fossero di pubblico esempio e monito (ma molti di questi si erano resi latitanti): così si sa di un Francesco Gavagnin, detto "Senzacul", condannato nel 1727 a dieci anni di galera, di un Simon Zaccaria, bandito con pena capitale nel 1730, mentre un Giacomo Fanton, il 22 novembre 1713, se la cava con soli due anni di galera.
Intanto si verificava un altro fenomeno: soprattutto nelle campagne del padovano, del vicentino e del veronese, i contadini coltivavano abusivamente il tabacco negli orti, nei campi, nei giardini: magari poche piante, tanto per soddisfare i bisogni personali, ma quanto bastava per suscitare vari decreti del Senato (1707), con cui si ordinava ai sudditi di distruggere queste piantagioni, restando proibito di compiere nuove semine, per evitare il danno al patrimonio pubblico.
Fu quindi emanato il 20 luglio 1729 un nuovo proclama, dove però si camuffava l'esigenza di porre fine alle colture abusive che danneggiavano l'erario (infatti sfuggivano al dazio) con il fatto che il Senato voleva por fine alla sovrapproduzione di tabacco. Venivano perciò incaricati tutti i capi dei comuni, con l'ausilio dei loro soldati «...a tamburo batente e con il tocco della campana a martello, in ogni luoco del loro distretto a farne le più diligenti perquisizioni per rinvenire se sia possibile semine o impianti de tabacchi, e trovandone debbano sradicarlo...». I capi dei comuni venivano ritenuti responsabile dell'esecuzione del proclama; diversamente sarebbero stati condannati alle stesse pene cui andavano incontro i contravventori.
Il proclama venne eseguito puntualmente e portò alla scoperta di piantagioni di «erba regina» (tabacco) in luoghi dove non si sarebbe mai sospettato: nei conventi.
In questi luoghi, che sarebbero dovuti essere destinati alla meditazione ed alla preghiera, i religiosi avevano installato dei veri e propri laboratori di produzione del tabacco, certamente non con l'intenzione di prepararsene un po' per uso personale.
   
   
Nei pressi di Padova, ad esempio, era stato trovato «...nel recinto de Padri di Monte Santo (...) piantato il tratto di due campi circa d'una gran quantità d'erba regina cresciuta già all'altezza d'un braccio circa (...) Estesa anco la perquisision per il Convento ritrovarono sotto una scala due tamisi et un pestone inservienti alla manipolazione de tabacchi (...) Nella camera poi di quel Padre Priore trovarono un tamiso, un sacchetto di pelle lordo da tabacco in polvere (...) et un cassone vuoto con le reliquie di foglie...». La relazione pi continuava con l'inventario degli altri utensili rinvenuti nel convento, che servivano a questa fabbrica clandestina.
I conventi, e non solo quelli maschili, ma anche quelli di monache, venivano spesso alla ribalta in materia di tabacco: quando non lo fabbricavano direttamente nel segreto delle loro mura, lo contrabbandavano.
Si assiste così ad una lunga serie di processi a religiosi colpevoli di contrabbando di tabacco: uno, ad esempio, riguarda il Convento della Madonna dell'Orto, a Venezia, ed è del 1696. Per porre un freno a questi episodi, il 27 maggio 1741 un proclama sanciva «...che resti espressamente proibita a qualunque superiore di qualsisia Monastero l'introduzione nei loro conventi de tabacchi di Contrabando, con preciso debito d'invigilare...» che non si praticasse il contrabbando o non avenissero lavorazioni delle foglie di tabacco «...sotto le pene ad arbitrio della Giustizia.»
L'inflessibile lotta della Repubblica Veneta contro i contrabbandi vide anche dei risvolti curiosi, come quando il 24 novembre 1729 vennero sequestrate ad alcuni mercanti turchi poche libbre di tabacco, che essi avevano portato con sé a Venezia per loro uso personale, così che «...siamo restati senza ne pure una foglia, ed essendo cosa a noi tanto necessaria (...) imploriamo che ne sia permesso con gratiosa licenza la rilassatione di tante libre di tabacco per cadauno di noi (...) per un sì necessario bisogno.»
 
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Pagina aggiornata il 19 novembre 2017.