Ai
Frari.
Antonio Coccio, detto il Sabellico (1436 ca.-1506), nel suo "De
situ Venetiae urbis" su questi luoghi si esprime
sinteticamente con un «Vassi per ponte di pietra antichissimo alla
chiesa di s. Stino. Quivi fuori che la vecchiezza della chiesa niente si
vede di meraviglia degno. Evvi innanzi un campo harenoso....».
La più antica raffigurazione di questa chiesa, se così possiamo dire, è
opera di fra Paolino (1270 ca.- 1344), frate minore conventuale che fu
anche Guardiano del Convento di Santa Maria Gloriosa dei Frari.
La sua famosa pianta di Venezia (conservata presso la Biblioteca Nazionale
Marciana (Cod. Lat. 399) venne fortunosamente scoperta nel 1730-31 da
Tommaso Temanza (1705-1789) il quale pensò bene, vista la fragilità
dell'originale ed anche per farla conoscere ad un più vasto pubblico, di
riprodurla con esattezza.
Ovviamente la chiesa di San Stin (Santo Stefano confessore) non è riprodotta fedelmente, ma solo
simbolicamente con il nome composto da due sillabe tronche, contratte e
con i simboli perfettamente leggibili: «ste[fano]» «con»+«fess[ore]»:
primo esempio di adozione da parte di Paolino di due sillabe tronche.
Il
simbolo della chiesa e la legenda «Stefano confessore».
San
Sin, la chiesa con il campo, nel 1500 (Jacopo de Barbari).
Per incontrare un'immagine più verosimile della chiesa e del campo bisogna
attendere il 1500, quando Jacopo de Barbari pubblica la sua veduta di Venezia
"a volo d'uccello": è visibile la chiesa con il campo dietro, in una
prospettiva da sud a nord.
Per avere una rappresentazione più realistica della chiesa con il campo, si
deve attendere Bernardo Bellotto (1721-1780), nipote di Antonio Canal, il "Canaletto",
che rappresentò il campo, con la chiesa, nella prospettiva inversa, cioè da
nord a sud, mettendo in evidenza il campo: in questo modo si dà anche una spiegazione
a quelle linee disegnate dal de Barbari che proseguono dall'angolo della chiesa
per piegare poi verso sinistra: si tratta della delimitazione della cisterna di
approvvigionamento dell'acqua per il pozzo in centro al campo.
Campo
San Stin nel quadro di Bernardo Bellotto.
Oggi
sul campo rimane ben visibile il muro di una cappella laterale della
chiesa.
La chiesa era dedicata a Santo Stefano
confessore, santo in genere identificato con quel Santo Stefano il Giovane che
fu martirizzato a Costantinopoli sotto l'imperatore Costantino V (718-775),
detto irriguardosamente anche il "Copronimo", perché durante il suo
battesimo avrebbe defecato nel fonte battesimale.
"Stin" è il diminutivo di Stefano, "Stefanino", ed in
genere si dice che era usato popolarmente per distinguerla dall'altra chiesa
veneziana dedicata a Santo Stefano martire, molto più grande.
Tuttavia abbiamo motivo di credere che il diminutivo non sia da imputare alle
più modeste dimensioni di questa chiesa, come riteneva Giuseppe Tassini
(1827-1899) ed altri dopo di lui, ma piuttosto alla minore importanza del santo
in confronto del protomartire cristiano: insomma, c'è santo e santo!
Campo
San Stin con la chiesa: Giacomo Guardi (1790 circa).
Flaminio Corner (1693-1778) nel suo "Notizie storiche delle chiese e
Monasteri di Venezia" (1758) richiama la Cronaca del Doge Andrea Dandolo
(1306-1354) secondo la quale questa chiesa sarebbe stata distrutta durante il devastante
incendio del 1105.
Venne
ricostruita nel 1295, forse a spese del
patrizio cretese Giorgio Zancani del quale, secondo Flaminio Corner, esisteva «...un antico ma
arbitrario ritratto».
Del santo confessore giunsero a Venezia alcune reliquie che si conservavano qui
assieme a quelle di Sant'Antipa martire.
La chiesa aveva sette altari, compreso quello maggiore.
Una
veduta panoramica di campo San Stin oggi.
L'"Assunta",
attribuita al Tintoretto, una volta sull'altare maggiore della
chiesa di S. Stin, oggi alle Gallerie dell'Accademia.
Del santo confessore giunsero a Venezia alcune reliquie che si conservavano qui
assieme a quelle di S. Antipa martire.
La chiesa aveva sette altari, compreso quello maggiore.
Tra le opere d'arte più insigni ospitate nella chiesa di San Stin, si deve
citare prima di tutto una "Assunta" di Jacopo Robusti, detto il Tintoretto
(1518/9-1594); entrata a far parte delle Gallerie dell'Accademia, ma tenuta in
deposito a Torcello dal 1928 al 1955: viene datata attorno al 1550 (restaurata
nel 1829 e poi nel 1955). La critica non è completamente d'accordo ad
attribuirla interamente al Tintoretto: potrebbe trattarsi di un'opera di bottega
dove il Tintoretto potrebbe aver messo le mani soprattutto sulla figura della
Madonna. Comunque riprenderà questo soggetto trent'anni dopo, per un'altra
"Assunzione" dipinta per la Scuola Grande di San Rocco.
Altre opere che sappiamo adornavano questa chiesa: tre quadri di Girolamo
Pilotti (1575?-1649), una delle prime opere di Matteo Ingoli (1586-1631), una
Trinità di Giacomo Petrelli, il Transito di San Giuseppe di Antonio Molinari
(1655, post 1730).
Come tante altre chiese veneziane, anche quella di San Stin ospitava alcune Scuole
di mestieri e di devozione, come quella degli Acquavitai, posta sotto la
protezione di S. Giovanni Battista, e quella della Beata Vergine Assunta,
proprietaria della pala del Tintoretto.
A seguito dei decreti napoleonici, la chiesa venne chiusa nel 1810 e
successivamente demolita, non senza prima averne completata la spogliazione.
Così già nel 1806 furono inventariati gli arredi di alcune confraternite, il
16 aprile 1812 quattro altari furono stimati 430 lire ed il 16 giugno 1813 il
parroco di Sant'Andrea di Chioggia, Giuseppe Bonivento, acquistò alcune
balaustre e Giacomo Florian un altare per 65 lire.
Nel 1839 un San Girolamo di «...un forestiere di molto merito...»,
stimato 150 lire, risultava dato in deposito all'arciprete di Castelfranco
Veneto.
Una volta demolita, sulla sua area sorsero delle case: un'abitazione, in fondo
al campo è in parte costruita su un moncone del campanile della chiesa che è
stato incorporato, mentre si conserva anche un frammento di una cappella
laterale, un tempo laboratorio di un artigiano, oggi una piccola locazione
turistica.
Sotto la terrazza di una abitazione costruita sopra i resti della chiesa c'è,
con accesso dalla fondamenta
Contarini, un locale di controllo della rete cittadina antincendio: se si ha
la fortuna di poterci entrare, si potrà notare almeno una colonna, proveniente
dalla chiesa demolita, che sorregge parte della terrazza sovrastante.
Stemma
Lin al civico n. 2396.
Stemma
Lin al civico n. 2504.
Due
stemmi Barbaro all'angolo con la calle del Tabacco: a sinistra nel
2014, a destra nel 2021. Quello di sinistra, sul lato campo San Stin,
prima completamente visibile, è stato nascosto da una colonna di
scarico.
Un numero romano inciso su
un architrave verso lo sbocco di calle
de la vida.
Oggi, tra le costruzioni che si sono
sostituite alla chiesa, si nota quella che ospita una farmacia che prende il
nome "Ai due San Marchi", che apparteneva ad una spezieria (farmacia)
che si trovava all'angolo con calle
Donà o de lo Spezièr.
Al centro del campo San Stin si fa notare una importante vera da pozzo divisa in
cinque specchiature.
Il
pozzo al centro di campo San Stin.
Il pozzo venne fatto costruire da Jacopo Barbaro nel 1508, per pubblica utilità,
come ancora oggi ci ricorda la scritta che si può leggere su uno dei cinque settori:
«IACOBVS BARBARO
PROVISOR COMVNIS
AD VNIVERSITATAE
COMODVM CO
STRVI FECIT MDVIII»
Su un altro settore sono parzialmente leggibili altre due scritte, con relativi
stemmi, riguardanti rifacimenti o restauri del pozzo rispettivamente nel 1588 («PAVLUS
DO...» che «REEDIFEC...») e «1757» (stemma con arma completamente
illeggibile).
Non manca naturalmente un'immagine a rilevo che mostra l'immagine barbuta di
Santo Stefano confessore, mentre su un quarto settore (dei cinque, uno è
liscio) l'immagine di San Giacomo maggiore si accompagna ad una santa non meglio
identificata, o identificabile, che reca la palma del martirio ed al centro una
croce con il Golgota ed i simboli della Passione.
Campo San Stin è caratterizzato anche da una sequenza di
barbacani che ampliano
la superficie dei piani superiori degli edifici, oltre che mettere al riparo
dalle piogge le botteghe al piano terra ed i rispettivi ingressi.
Barbacani
in campo San Stin.
Come per tanti altri spazi veneziani, i muri conservano tracce del passato,
incisioni, stemmi, numeri: così anche in campo San Stin, e li riportiamo a
fianco con un breve commento/descrizione.
Purtroppo abbiamo solo il ricordo, e non la testimonianza fotografica, di una
scritta che apparve sullo scivolo in marmo di una spalletta laterale del ponte
di San Stin durante il periodo "caldo" che visse anche Venezia dopo il
maggio francese del 1968: una scritta in vernice (che durò anche parecchi mesi
prima che sparisse) con un glorioso slogan di quel periodo (diciamo la verità,
sempre valido!): «LA CULTURA E' COME LA MARMELLATA: MENO CE N'È, PIÙ SI
SPALMA».
La chiesa di San Stin era frequentata dal
capitano Carlo Zen (italianizzato in Zeno, 1334-1418) dalla vita avventurosa,
destinato alla carriera ecclesiastica, ma attratto dalle belle donne (si sposò
tre volte!), comandante di galea, che sconfisse i genovesi nell'assedio del
1379.
Fu anche in predicato di divenire doge, ma alla fine venne eletto Michele Steno
(1331 ca.-1413).
Abitava qui vicino, nell'omonimo palazzo che si affaccia sul rio di San Stin, al
quale si può accedere dal vicino campiello
Zen: «Ciascun dì -si legge nella sua vita scritta dal vescovo di
Feltre Jacopo Zeno- andava nella chiesa di S. Stefano, presso alla sua casa,
ai divini uffici». In campo San Stin, ci informa Marin Sanudo
(1466-1536), il 22 marzo 1506 uno studente ebreo ungherese, tale Isacco, venne
accusato di tenere nascosto sotto le sue vesti un fanciullo cristiano di due
anni e mezzo, con lo scopo di ucciderlo. Per evitare che venisse linciato dal
popolo, fu immediatamente imprigionato: il giorno dopo tuttavia fu rimesso in
libertà, risultando nulla a suo carico.
L'8 novembre 1768 morì in parrocchia di San Stin, all'età di 94 anni, Luigi
Gonzaga che era stato principe di Castiglione e Bozzolo: venne seppellito ai
Frari.