Maya 80

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Città del Messico, Tenochitlan,
Teotihuacán, Tula
Uxmal,
Palenque
Agua Azul, San Cristóbal de
las Casas, Comitán,
Montebello, Huehuetenango
Chichicastenango
Lago Atitlán, San Lucas
Tolimán, Antigua,
Città del Guatemala
Copán,
Quiriguá
Rio Dulce, Foresta del Petén,
Flores, Tikal,
Melchor de Mencos
Belmopán, Belize City,
Tulum, Playa del Carmen,
Cozumel, Isla Mujeres
Chichén Itzá, Mérida,
New York
 
  Si tratta di una "galoppata" di tre settimane molto intense che ci porta a visitare i principali e più importanti centri della civiltà Maya in Messico, Guatemala, Honduras e Belize.
Alla fine resterà una gran voglia di ritornare per approfondire qualcuno dei tanti temi che questo viaggio offre.

   Viaggio effettuato nell'aprile 1980
   
In ricordo di Giancarlo De Sanctis, "Papero".
Il nostro volo Pan Am 111 parte da Roma con un'ora di ritardo.
Sono le 16.45 (ora locale) quando giungiamo a New York. Avevamo già indirizzato i bagagli su Città del Messico, tuttavia noi non possiamo restare in transito, in quanto abbiamo la connessione con un domestic flight, e quindi siamo costretti a passare attraverso il controllo passaporti dell'immigrazione e quello doganale per poi trasferirci di gran corsa al terminale da dove parte il nostro volo successivo.
Lungo il percorso di trasferimento all'interno dell'aeroporto veniamo fermati da un anziano, abbastanza malconcio e male in arnese, che si rivolge a noi con delle parole incomprensibili.
Ci mostra un bigliettino tutto spiegazzato che tiene in mano: c'è scritto qualcosa che non riusciamo a capire. E' scritto in una lingua per noi sconosciuta, probabilmente la stessa con cui cerca di comunicare.
La nostra impressione è che si sia smarrito all'interno dell'aeroporto di New York e che non sappia più da che parte andare. Purtroppo anche noi non sappiamo come comprenderlo ed aiutarlo, anche perché abbiamo poco tempo per il nostro volo Pan Am 001 per Houston.
Sono solo due ore di volo, ma quando arriviamo abbiamo veramente i minuti contati (appena un'ora) per raggiungere l'area dei voli internazionali dove dobbiamo prendere il Pan Am 51 per Città del Messico che, per fortuna, parte con un quarto d'ora di ritardo, forse proprio per attendere il nostro gruppo, visto che si tratta della stessa compagnia.
Finalmente, quando ormai è quasi l'una di notte, atterriamo a Città del Messico: in origine l'aeroporto si trovava fuori della città, ma la crescita vertiginosa di questa megalopoli lo ha conglobato entro le sue strade ed i suoi edifici della periferia. Così sembra di atterrare in città, tante sono le luci che vediamo nelle strade, con il traffico ancora sostenuto nelle arterie principali.
 
Un altare all'interno della Cattedrale di Città del Messico.
 
Un lustrascarpe su un marciapiede nel centro di Città del Messico.
 
Sono ormai le 3 di notte quando riusciamo a stenderci nei nostri letti dell'Hotel del Valle in Indipendencia 35, una posizione centrale rispetto al cuore della città.
La sveglia è libera: oggi è il giorno di Pasqua ed alle 9, dopo colazione, ci ritroviamo con alcuni (altri sono stati più mattinieri e sono già usciti) a fare una passeggiata d'orientamento al Zócalo, dove una volta c'era il recinto sacro di Tenochtitlan, la più grande città azteca, capitale dell'impero.
Qui non resta più traccia degli antichi palazzi, degli edifici, dei luoghi di culto della precedente civiltà: vennero distrutti con violenza sistematica dai conquistadores, quasi ad esorcizzare il passato.
Ma si verificò un fatto curioso (seppure usuale quando il vincitore occupa le città dei vinti): dopo essere stato devastato e spogliato di tutto, ogni vecchio edificio fu raso al suolo per ricostruire un altro monumento della nuova capitale.
In questo modo i templi principali di Tenochtitlan quasi dettarono l'ubicazione delle chiese che venivano erette dai conquistadores: un modo per rovesciare il simbolismo religioso. Le divinità azteche diventarono demoni ed i luoghi che avevano visto i sacrifici umani venivano consacrati da santuari per riscattare il male fatto in nome degli idoli.
 
La Cattedrale di Città del Messico.
 
Così la cattedrale di Città del Messico è costruita dove una volta si ergeva lo tzompantli, il recinto dove si raccoglievano i crani delle vittime sacrificate sulla cima del grande Teocalli (o "casa degli dei"), che si elevava appena più avanti.
Anche il grande Palacio Nacional che vediamo sull'altro lato della piazza è stato costruito sul luogo dove prima c'erano le «Casas Nuevas» dell'imperatore Moteczoma Xocoyótzin (Moctezuma II o, come si dice anche più semplicemente, Montezuma II): «Montezuma aveva nella città il suo palazzo, il quale era così meraviglioso che mi sembra quasi impossibile descriverne la bellezza e la grandiosità. Mi limiterò a dichiarare che non vi è nulla di simile in Spagna.» ("Cartas  de relación de Hernán Cortés al Emperador Carlos V. Segunda Relación, 30 de octubre de 1520").
L'appuntamento per tutti è a mezzogiorno, al museo antropologico che raggiungiamo con la metropolitana: alla stazione del Zócalo un display mostra le cifre (in rapidissimo vertiginoso aggiornamento) relative al numero dei viaggiatori che entrano nella metropolitana.
Scendendo per raggiungere i binari vediamo esposti, in un'apposita vetrina inserita abilmente nella moderna architettura della stazione, alcuni reperti archeologici aztechi dell'antica Tenochtitlan (dove oggi sorge Città del Messico) trovati (da quello che abbiamo capito) durante i lavori di costruzione della metropolitana.
La stele 50 proveniente da Izapa al Museo Nacional de Antropología di Città del Messico.
Ci ritroviamo dunque tutti a mezzogiorno davanti al Museo Nacional de Antropología nel Bosque de Chapultepec, una tappa obbligata per orientarci prima di iniziare il nostro viaggio nel mondo delle culture precolombiane.
Si tratta di un museo scientifico che non si limita ad esporre, in modo ordinato, vestigia del passato appartenute a differenti civiltà mesoamericane precolombiane, ma riesce ad essere estremamente didattico, aiutando il visitatore a dipanare il filo della storia, ad orizzontarsi in una matassa complessa che vede l'intrecciarsi ed il sovrapporsi di antichi popoli.
Per far questo si serve di numerosi pannelli esplicativi e di ricostruzioni tridimensionali, tipo diorama: si passa da una sala di orientamento ad altre sale, disposte quasi a ferro di cavallo attorno ad un patio centrale coperto, ciascuna dedicata ad una cultura.
 
"El Paraguas", la fontana-colonna che sorregge la copertura del patio interno del Museo Nacional de Antropología di Città del Messico.
 
Al piano superiore altrettante sale sono dedicate alle etnie che sono raccontate con le loro abitazioni, le usanze, gli indumenti, gli utensili da lavoro di tutti i giorni.
Alla sera è d'obbligo andare tutti in Plaza Garibaldi, dove si esibiscono gruppi di mariachi con le loro caramellose storie d'amore, spesso tristissime e sempre struggenti.
Qui in Plaza Garibaldi c'è un grande mercato coperto, il Mercado dos alimentos San Camilito, dove baracchini e ristorantini sono specializzati soprattutto nel cucinare enormi porzioni di carne alla griglia che viene arrostita a vista.
La "Ciudadela" di Teotihuacán.
 
Particolari del tempio di Quetzalcoatl a Teotihuacán.
 
La Piramide del Sole a Teotihacán. 
Aggirandoci per questo inusuale mercato, scegliamo quello tra i ristorantini che ci sembra più simpatico e "sfizioso".
Subito ci preparano una tavolata in grado di accoglierci tutti e sedici: tutti ordiniamo delle bisteccone alla brace, chi la chiede cotta "a termine medio", chi "tres cuartos". Di contorno arriveranno frijoles, i fagioli neri messicani e naturalmente birre e tacos. Ci sono dei grandi barattoloni in vetro che contengono una specie di salsa di pomodori a pezzetti con cipolla. Inganniamo l'attesa mettendo grandi cucchiaiate di questa verdura sui tacos... ma non consideriamo che in realtà molto del rosso di quella salsa non apparteneva ai pomodori, ma a tantissimi peperoncini rossi: è piccantissima, vero fuoco in bocca anche per chi è abituato ai cibi piccanti! E tutto questo non fa che aumentare i giri di birre.
La serata continua tranquilla con l'arrivo delle bistecche che dobbiamo imparare a mangiare senza coltello e forchetta, ma aiutandoci solo con i tacos che ci serviranno anche per mangiare i fagiolini neri.
Dedichiamo l'indomani ad una visita più ordinata agli edifici che si affacciano sulla Plaza de la Constitución, entrando così all'interno del Palacio Nacional per vedere i drammatici murales di Diego Rivera che ripercorrono sommariamente la storia della civilizzazione messicana dall'arrivo di Quetzalcóatl, il dio-serpente-piumato, alla rivoluzione del 1910, e poi nella cattedrale metropolitana, el Sagrario, il Museo de las Culturas.
Dopo uno spuntino mangiato al volo, ci imbarchiamo sull'autobus che ci porterà a Teotihuacán, «el lugar donde los hombres se convierten en dioses».
Attraversiamo chilometri e chilometri di periferia degradata costituita dai sobborghi di Città del Messico: baracche in lamiera, plastica e cartone e solo qualche muro di mattoni.
Non possiamo restare indifferenti quando vediamo su uno di questi miseri muri, tra le catapecchie, una pubblicità dipinta con un elegante caballero ed una altrettanto elegante dama con lo slogan: «Felicidad por la votra familia».
Nella pianura di Teotihuácan, quando mancano ancora diversi chilometri, cominciamo a scorgere il profilo delle due grandi piramidi che inizialmente si confondono con la sagoma dei monti più lontani.
Pensando che al tempo del suo massimo splendore quest'area era densamente popolata per almeno trenta chilometri quadrati, dobbiamo immaginare che quelle due piramidi, visibili così da lontano, rappresentassero il polo d'attrazione per tutti gli abitanti della zona: e se sopra queste piramidi erano presenti le divinità, allora si capisce che nessuna azione umana poteva passare inosservata agli occhi degli dei, che da lassù tutto vedevano, tutto controllavano.
Giunti all'ingresso del complesso archeologico di Teotihuacán, compiamo una visita superficiale al museo locale: l'eccitazione di trovarci in questo luogo mitico è troppo grande, come la voglia di cominciare ad esplorarlo subito.
E si comincia dal complesso più vicino, la Ciudadela (cittadella), un ampio recinto che comprende anche il famoso tempio di Quetzalcoatl, il "serpente piumato", caratterizzato dalla sequenza di teste di serpente piumato che si alternano con la maschera stilizzata di Tlaloc, il dio della pioggia, e con una serie di vari tipi i conchiglie marine, mettendo così in relazione Quetzalcoatl con il mondo acquatico.
Da qui percorriamo la "via dei morti" che, nonostante il nome, non aveva alcuna relazione con il culto dei defunti. Il nome di "via dei morti" pare sia stato dato dagli aztechi, che ormai già ignoravano a cosa si riferissero quelle rovine, e credettero fossero tombe.
Lunga oltre due chilometri, ma in origine misurava oltre cinque chilometri terminando a sud a fianco delle colline, è fiancheggiata da numerosi edifici, piattaforme, costruzioni, fra le quali emerge per le sue spettacolari dimensioni la piramide del Sole, che forma il centro del complesso sacro di Teotihuacán: base quasi quadrata di 225 metri per 220 metri che occupa una superficie di quasi cinquantamila metri quadrati, con l'ultima terrazza, sulla quale era collocato il tempio, a 63 metri d'altezza. In tutto un milione di metri cubi riempiti da più di due milioni e mezzo di tonnellate di materiali.
Durante la nostra passeggiata siamo assaliti frequentemente da ragazzini che ci propongono l'acquisto di oggettini in pietra ossidiana. Anche anticamente, al tempo del suo massimo splendore, Teotihuacán aveva il controllo delle vicine miniere di ossidiana e con questo materiale i suoi abili artigiani costruivano oggetti e strumenti per l'uso interno alla città, ma anche per esportarli alle vicine popolazioni.
In fondo alla "via dei morti" troviamo l'altra grande piramide, quella della Luna, il secondo edificio di Teotihuacán.
Più piccola di quella del Sole (base di soli metri 150 x 140, altezza di 42 metri) domina la sottostante Piazza della Luna sulla quale è collocata una piattaforma con numerosi altari. Non riusciamo a visitare l'interno di edifici vicini, forse palazzi destinati a dignitari e sacerdoti, in quanto tutta l'area è sottoposta  interventi di scavo o di restauro.
Restiamo ancora un po' a passeggiare tra le rovine fino al tramonto, prima di riprendere la strada che ci riporta a Città del Messico.
La piazza principale della cittadina di Tula, a tre chilometri dalle rovine.
 
Un posto di ristoro a Tula, dove ci fermiamo per mangiare qualcosa prima di visitare il sito archeologico.
 
Si vede da lontano la Piramide di Tlahuizcalpantecuhtli di Tula
 
L'indomani il pulmino che ci aveva accompagnato a Teotihuacán ci viene a prendere in albergo per un'altra vicina escursione alle rovine di un altro importante centro: Tula, l'antica capitale e cuore della civiltà tolteca, fondata nell'856 d. Cr.
Veramente questa attribuzione non fu così scontata nel passato, quando l'antica capitale dei Toltechi veniva identificata addirittura con Teotihuacán: fu Desiré Charnay il primo a sostenere nel 1863 di aver scoperto qui le rovine dell'antica Tula, ma non venne subito creduto. Trent'anni dopo uno studioso tedesco confermò la teoria di Charnay, ma occorsero ulteriori scavi (e anni) fino a quando nel 1940 l'archeologo messicano Wigberto Jiménez Moreno poté provare che ci si trovava veramente davanti alle rovine della leggendaria capitale dei Toltechi.
Non sono rovine così vaste come quelle di Teotihuacán, ma per questo non sono meno interessanti.
Il complesso più famoso di Tula è dato dalla Piramide "B", o Piramide di Tlahuizcalpantecuhtli, la divinità della stella del mattino. La stella del mattino si intreccia con la figura di un personaggio famoso nella mitologia mesoamericana, Quetzalcoatl, il serpente con le piume di quetzal. Molte sono le leggende che sono fiorite attorno a lui, tra cui quella secondo la quale si trasformò in una fiammeggiante stella, quella che per la sua lucentezza brilla anche quando il sole comincia ad albeggiare: la stella del mattino, appunto.
Su questa piramide sono collocate quattro colonne antropomorfe, dette "atlanti", che sorreggevano assieme ad altre il tetto del tempio eretto sulla piattaforma.
Per tanti anni sono restate abbandonate ai piedi della costruzione, poi con i lavori di restauro alla piramide di Tlahuizcalpantecuhtli sono state ricollocate sul luogo originario.
 
I quattro "atlanti" sulla piattaforma della Piramide di Tlahuizcalpantecuhtli a Tula.
 
Un primo piano degli "atlanti": l'ultimo è una copia che sostituisce l'originale conservato al Museo Nacional de Antropología di Città del Messico.
 
Un particolare del "Coatepantli", o "Muro dei Serpenti", che separa l'area sacra dal resto della città: oggi ne restano una quarantina di metri.
Si tratta di quattro sculture a tutto tondo in basalto che rappresentano altrettanti guerrieri toltechi (quella di sinistra è una copia, in quanto l'originale è esposto al Museo Nacional de Antropología di Città del Messico).
Gli "atlanti", alti metri 4,60, non sono monolitici, ma composti ciascuno di quattro pezzi separati. Portano un copricapo piumato ed un pettorale a forma di farfalla.
Non vorremo abbandonare questo luogo, ma è d'obbligo completare la visita, anche perché troviamo i prototipi di una statuaria che verrà diffusa fino nello Yucatán e che ritroveremo nel corso del nostro viaggio.
Uno di questi è il Chacmool: un personaggio scolpito a tutto tondo, steso all'indietro ed appoggiato sui gomiti con la testa sollevata rivolta da un lato, mentre le mani sorreggono un piatto scolpito sul ventre. Su questo piatto venivano poste dai sacerdoti toltechi le offerte, ed a volte anche i cuori ancora palpitanti delle vittime umane sacrificate.
Un altro elemento che ritroveremo ricorrente nello Yucatán, seppure elaborato con maggiore finezza ed eleganza, è la colonna con il serpente con la testa poggiata a terra ed il corpo, con la coda, proteso in alto a sorreggere l'architrave del tempio.
Ritroviamo qui il serpente piumato su una parete lunga una quarantina di metri (il Coatepantli, o Muro dei Serpenti) che separa la piramide dalla corte nord, quella con lo sferisterio per il gioco della pelota n. 1. Qui file di serpenti divorano teschi umani.
Continuiamo ad aggirarci tra le rovine; a fianco della piramide c'è una serie di cortili e patii con alcuni bassorilievi: probabilmente erano usati per cerimonie. Di fronte invece c'è la piazza principale con, al centro, una piattaforma cerimoniale, forse un altare. Su un lato si eleva la Piramide "C" che tuttavia non è stata ancora recuperata; sull'altro lato un grande sferisterio per il gioco della pelota (detto n. 2 per distinguerlo dall'altro) lungo più di cento metri.
Conclusa la visita riprendiamo la strada per la capitale, dove ciascuno avrà qualche ora a disposizione per girare, fare spese, riposare.
Proprio in una laterale di Calle Indipendencia, a pochi minuti dal nostro albergo, scopro uno strano ristorante vegetariano. E' organizzato a self service, con i vassoi: si passa davanti alle varie specialità vegetariane, si sceglie questo o quello e poi si paga. Segnalo un paté di patate americane con uva sultanina, un paté di frijoles (fagioli) e da bere succo di banana e succo di fagioli!
Una volta pagato si avanza con il vassoio pieno superando una libreria fornita di volumi e riviste su cibi macrobiotici, vegetariani, proprietà dei vari cereali, eccetera e si cerca posto in un ambiente nel quale sono state riprodotte (in scala) piramidi egiziane: si mangia seduti su cuscini a terra, sotto una di queste piramide "aperta", della quale ci sono solo gli spigoli mentre il vertice in alto racchiude una piccola piramide con le pareti di rame.
Non so se ci sono stati degli influssi particolari per via del "potere della piramide", comunque il cibo, sicuramente per me non consueto, era gradevole.
Fatte le ultime spese e ricomposti i bagagli, il gruppo si ritrova davanti all'Hotel del Valle per raggiungere l'aeroporto.
 
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Pagina aggiornata il 3 marzo 2017. Io ho fatto molti importanti viaggi con Avventure nel Mondo